L'ex vicesegretario del Psi
“Il Pd deve aggregare per contrapporsi alla destra, il partito a vocazione maggioritaria non basta più”, intervista a Valdo Spini
«Sarebbe di giovamento ai dem un’area che abbia una radicalità nei valori e nei principi e che nel metodo sia pluralistica. Apriamo un dialogo»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Una vita a sinistra. Da socialista. Con l’orgoglio di una identità, di una storia, di battaglie e principi che non sono stati spazzati via da Tangentopoli.
Deputato al Parlamento per otto legislature (fino al 2008) e vicesegretario nazionale del Partito socialista (1981-1984), ministro dell’Ambiente, sottosegretario all’Interno (1986-1992) e agli Esteri, presidente della Commissione Difesa della Camera, è stato cofondatore dei Democratici di sinistra di cui è stato eletto presidente della direzione nel 2000.
Ed oggi dice a l’Unità: “Potrebbe essere senz’altro di giovamento al Pd un’area chiaramente riformista, che abbia, come avevano Matteotti e Rosselli, una radicalità nei valori e nei principi, e che nel metodo sia pluralistica, aperta, senza egemonie precostituite”. La parola a Valdo Spini.
Il voto sardo. Una parentesi positiva o l’inizio di una possibile rivincita sulle destre?
Questo magari glielo potrei dire meglio dopo le prossime elezioni regionali a cominciare da quella di domenica in Abruzzo. Ma il significato del voto sardo va oltre il dato numerico della vittoria di Alessandra Todde. Perché era stato preceduto dal “licenziamento” dall’alto del presidente uscente Christian Solinas della Lega-PSd’Az, a beneficio di un candidato di Fratelli d’Italia, il sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, che è poi risultato battuto nella sua città. In altre parole, quello che è stato battuto è stato il tentativo di Fratelli d’Italia di affermare un’irreversibile egemonia della maggioranza di centro-destra e all’interno della maggioranza di centro-destra, del governo centrale di Giorgia Meloni verso i territori. Viceversa, il PD e la sua segretaria, Elly Schlein, hanno avuto l’avvedutezza politica di non porre problemi di partito, ma di accettare quella che si è rivelata un’ottima candidata, appunto Alessandra Todde, del Movimento 5stelle, che ha fatto registrare un cospicuo ammontare di voti disgiunti a suo favore. Né il PD è stato danneggiato da questa scelta, perché è risultato il primo partito nelle elezioni per il consiglio regionale, registrando un aumento, anche se lieve, rispetto alle regionali precedenti. Il PD ha dato un buon esempio che spero altri vogliano seguire in successive occasioni. Aggiungiamo che il voto della Sardegna si è svolto all’indomani delle manganellate sulle studentesse e sugli studenti di Pisa e di Firenze, e certamente gli elettori non hanno premiato questo tipo di comportamenti. Anche il tal senso il voto è stato importante.
Dal “campo largo” al “campo giusto”: l’alleanza PD-5Stelle è la prospettiva politica dell’anno elettorale e della sfida alle destre?
È chiaro che ad un centro-destra unito devi saper contrapporre uno schieramento di centro-sinistra unito se vuoi avere delle possibilità di vittoria. È quello che il PD non è riuscito a fare nelle ultime elezioni politiche. Oggi il PD deve via via aggregare forze e aree politiche in una prospettiva di alternativa. Diverso è il discorso per le elezioni europee dove ogni partito si presenterà con le proprie liste per correre con la proporzionale (e con lo sbarramento del 4%) e dove è importante il riferimento che ciascuna forza politica italiana può fare allo schieramento europeo di appartenenza. Mi sembra che il successo del Congresso del partito Socialista Europeo a Roma dell’1 e 2 marzo dimostri l’importanza politica di questo dato. A Roma sono venuti vari capi di governo dal tedesco Olaf Scholz, allo spagnolo Pedro Sanchez, dalla danese Mette Frederiksen, al portoghese Antonio Costa. E la sfida verso la destra è stata posta sul piano giusto, su quello europeo, perché è questo il vero campo della battaglia in corso. Le destre europee lo hanno detto chiaramente: vogliamo togliere i socialisti europei da una posizione determinante all’interno della maggioranza che guida le istituzioni europee. E il congresso romano del Pse ha espresso una prima risposta: siamo l’unica barriera all’avanzata della destra in Europa. Il congresso socialista ha anche lanciato un chiaro altolà al tradizionale alleato, il Partito Popolare Europeo: aperture alle forze di estrema destra non sarebbero accettabili
Al di là delle alleanze e del tatticismo, una sinistra senza una visione del mondo, senza un pensiero forte sui grandi temi che scuotono il pianeta, non è una sinistra che si condanna alla marginalità e all’inefficacia?
È chiaro che autodefinirsi, come aveva fatto il PD, un partito a vocazione maggioritaria, non basta più, soprattutto quando la maggioranza non si detiene più. Bisogna quindi lavorare sull’identità in termini di ideali, di valori e di programmi. Ma qui mi fa piacere riferirmi ad un’altra intervista che avete pubblicato.
Quale?
Si tratta dell’intervista a Roberto Morassut del 1° marzo. Alla luce di quanto è successo al PD negli ultimi anni, Morassut chiede un vero processo costituente. Non c’è dubbio che dopo il doppio risultato dell’ultimo congresso, favorevole a Stefano Bonaccini nei circoli di partito e invece a Elly Schlein nel voto aperto ai non iscritti, un processo del genere si impone per rimescolare le carte e impedire situazioni di paralisi. Ma il deputato Pd va più avanti: afferma che in questo processo costituente vi deve essere quella che chiama “un’area di impronta socialista”. Un bel salto rispetto alla “fusione a freddo” tra tradizione postcomunista e tradizione post-democristiana che aveva caratterizzato una certa fase della vita del Partito democratico. E mi sembra che nel nuovo clima che si è creato, questa possibilità ci possa essere. Spetta proprio a chi, come il sottoscritto, viene dalla tradizione socialista, di aprire un dialogo in questa direzione. Potrebbe essere senz’altro di giovamento al Pd un’area chiaramente riformista, che abbia, come avevano Matteotti e Rosselli, una radicalità nei valori e nei principi, e che nel metodo sia pluralistica, aperta, senza egemonie precostituite. Il socialismo liberale di Rosselli si propone proprio questo: di operare una sintesi tra l’iniziativa individuale, economica o di qualificazione personale, con l’etica della responsabilità collettiva verso una società giusta, che impedisca alle disuguaglianze di diventare insostenibili. Oggi quella che era un tempo la distanza di reddito tra il padrone e l’operaio è cresciuta a dismisura tra lavoratori da un lato, e managers, operatori finanziari etc. dall’altro, mentre la funzione redistributrice del sistema fiscale viene radicalmente messa in discussione.
L’attualità della lotta di classe. Tema sollevato da Paolo Franchi in un impegnato intervento su questo giornale. la questione della lotta di classe. Rimarca Franchi: “La sinistra se l’è scordata. A partire da quando, al Lingotto, nel 2007, si negò che potesse esistere qualunque contrasto tra ‘padroni’ e lavoratori. Se la sinistra non torna a dar voce agli sfruttati, è spacciata”.
Dopo la caduta del muro di Berlino, si poteva pensare che la dialettica politica nei paesi democratici si sarebbe svolta prevalentemente su due assi. Uno socialista democratico o comunque democratico e sociale e l’altro liberal-conservatore. È invece si è affermato, sotto varie forme, un terzo protagonista, quello dei partiti populisti e sovranisti.
Perché?
Perché in genere è stata sbagliata l’analisi sulla globalizzazione. Questa ha fatto progredire le condizioni di vita e di lavoro di centinaia di milioni di persone in continenti come l’Asia, ma, al contrario di quanto troppi a sinistra o nel centro-sinistra hanno creduto, non ha fatto crescere le condizioni di vita e di lavoro delle classi lavoratrici e degli stessi ceti medi nei paesi industrialmente avanzati. Questo per le delocalizzazioni e per la concorrenza al ribasso sul mercato del lavoro che si è messa in atto sul piano internazionale. I ceti, che non si sono più sentiti difesi dalla sinistra o dal centro-sinistra si sono volti verso forze populiste o sovraniste. Tipico fu il risultato di due elezioni politiche fa a Roma. L’unico collegio vinto dal centro-sinistra fu quello dei Parioli. Allora, o riconquistiamo le classi lavoratrici e il ceto medio o non si va più avanti. Quindi giusto il riferimento, in termini moderni naturalmente, alla lotta di classe.
Tra le sfide del presente c’è anzitutto quello della guerra: dall’Ucraina al Medio Oriente: siamo già dentro quella “guerra mondiale a pezzi” avvertita da Papa Francesco?
Papa Francesco è stato profetico in questo. La situazione è sempre più preoccupante. La guerra è tornata in Europa e ai confini dell’Europa. La Russia ha invaso l’Ucraina, l’attacco di Hamas contro i kibbutz ha portato all’invasione della Striscia di Gaza da parte di Israele con conseguenze catastrofiche dal punto di vista umanitario. Dobbiamo prefigurare da subito una soluzione politica per il Medio Oriente con la formula due popoli, due stati. Oggi se vogliamo esercitare un’azione verso condizioni che producano un processo di pace è necessario che l’Europa sia veramente un soggetto politico e che riacquisti anche tutta la sua capacità di soft power, cioè di un potere basato sulle relazioni politiche, economiche, sociali e culturali. Voglio anche parlare dell’ambiente. La lotta contro i cambiamenti climatici era sembrata poter creare una convergenza tra Usa e Cina e che l’Europa potesse avere un ruolo di spinta in questa direzione. Non dobbiamo mollare ma dobbiamo operare per una collaborazione internazionale in questo campo.