Il caso del generale
Vannacci fa paura a Crosetto, le inchieste contro il generale scatenano la Lega
“Un’inchiesta al giorno, quanta paura fa il generale?”, sbotta Salvini. Che potrebbe perdere il candidato principe alle europee. Dopo il flop Sardegna, vacillano gli accordi su Umbria e Basilicata
Politica - di David Romoli
Con le elezioni in Sardegna si sono aperte non una ma due partite di estrema rilevanza politica. La prima, esplicita, è quella tra la maggioranza e un’opposizione che si è aggiudicata il primo incontro, con tutto quel che ciò comporta in termini di galvanizzazione.
La seconda, per forza di cosa tenuta quanto più nascosta possibile, è interna alla maggioranza: si tratta di una sfida altrettanto dura e determinante, fitta di incognite rilevanti. La prima si chiama Roberto Vannacci. Il generale, dopo una raffica di inchieste a suo carico diluviata in pochi giorni, è stato sospeso ieri dall’incarico, con dimezzamento dello stipendio, dal ministero della Difesa.
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È la conclusione dell’inchiesta interna avviata all’indomani della pubblicazione a sue spese del libro Il mondo al contrario. Pubblicando quel testo, secondo il ministero, Vannacci avrebbe “compromesso il prestigio” della Difesa e “leso il principio di neutralità e terzietà della Forze armate”.
Salvini si è subito levato in totale difesa: “Un’inchiesta al giorno. Siamo al ridicolo. Quanta paura fa il generale?”. Il difeso ha ringraziato senza ancora accettare la proposta di candidatura alle europee nelle liste del Carroccio: “Ci sto riflettendo”. In ogni caso fa sapere di essere ancora in marcia: “Vado avanti”. Alla fine, quasi certamente, accetterà il posto in lista.
Che Vannacci faccia paura è certamente vero. La domanda chiave è “a chi?”. Salvini evita saggiamente di porla perché la risposta non potrebbe che essere una: nel novero degli impauriti campeggia in prima fila il ministero della Difesa, il cui titolare, il fratello Crosetto, aveva commentato a caldo i contenuti del best seller con uno sprezzante “farneticazioni”.
Il problema è che quelle “farneticazioni” sono piaciute assai a un pubblico composto tutto e solo da elettori, conclamati o potenziali, del centrodestra. Mettere in campo Vannacci, se il generale scioglierà positivamente la riserva, significa sfidare direttamente Giorgia Meloni.
La premier, in realtà, ancora non ha deciso se candidarsi e il dilemma è corposo. Senza di lei il partito rischia di restare più o meno sulle percentuali delle politiche, forse anzi scivolare anche un po’ al di sotto.
Dopo un anno di governo e di sondaggi col botto sarebbe una sconfitta politica tonda. Con la premier in campo quel rischio si assottiglierebbe di molto, però l’asticella si innalzerebbe e non di poco. A quel punto un risultato al di sotto del 30% sarebbe increscioso e l’eventuale competizione diretta interna con una figura molto popolare a destra come Vannacci diventerebbe problematica.
Persino più rilevante, anche se con molto più tempo a disposizione per risolvere il problema, è il nodo del Veneto. Per quanto fragorose siano le dichiarazioni di imperitura concordia, è evidente che un Salvini in estrema difficoltà, minacciato di detronizzazione all’interno della Lega, con la sua intera linea politica bocciata dal potentissimo Zaia con un secco “Era meglio la Lega nord”, non può permettersi di cedere il Veneto all’alleata/rivale.
La “riflessione” che la premier ha promesso 24 ore dopo la batosta implica, anzi conta al primo posto la questione del terzo mandato per i governatori. Palazzo Chigi resta contrario, tanto da aver già deciso di mettere la fiducia sul dl Elezioni per impedire che in aula si torni a votare l’emendamento in materia della Lega.
Ma qualche crepa nelle granitiche certezze di Giorgia si è aperta, tanto che a Palazzo Chigi, sottovoce, ammettono che forse bisognerà tornare a ragionare sul terzo mandato. La Sardegna ha insegnato infatti che non si può mai dare niente per certo. Il 10 marzo si vota in Abruzzo.
Il governatore uscente Marsilio, FdI, è ancora in testa ma il vantaggio si assottiglia a vista d’occhio e già la partita con il candidato di centrosinistra sfiora la parità. In Abruzzo il campo vincente nell’isola si ripropone, allargato anzi al convertito Calenda. La partita è aperta e un secondo colpo sarebbe micidiale.
In Basilicata le posizioni già non solidissime del governatore azzurro Vito Bardi sono insidiate dallo scontro con la Lega, che vorrebbe sostituirlo con il suo ex senatore campano Pasquale Pepe. È vero che qui l’alleanza Pd-M5S non c’è ma non è detto che non spunti in tempo per il voto del 21 aprile.
In Umbria, dove si voterà in contemporanea con il Piemonte e le europee il 9 giugno, il quadro è simile ma a parti rovesciate. Qui è la presidente leghista Tesei a essere revocata in dubbio da Forza Italia. La realtà è che, per ora, l’intesa di centrodestra sui candidati non va oltre l’Abruzzo e il Piemonte, con la ricandidatura del forzista uscente Cirio.
Con tutte le regioni in bilico, dopo la doccia fredda sarda, la premier e i pochi collaboratori che ascolta si chiedono se non sia il caso di dare ascolto ai famosi “territori”. E anche a destra i “territori”, cioè gli amministratori locali, reclamano il terzo mandato. Non solo per i governatori ma anche per tutti i sindaci.