Le elezioni in Sardegna
“Alleanza tra PD e M5S è irreversibile, cioè antifascismo”, intervista ad Arturo Scotto
«Todde ha sintetizzato i valori comuni. Serve una moratoria sulla rincorsa identitaria, bisogna far prevalere un dato di generosità, Elly su questo ha dato più di una prova. La sua leadership è molto più forte di come viene descritta»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
La vittoria del centrosinistra in Sardegna e gli scenari nazionali che si aprono. L’Unità ne discute con Arturo Scotto, capogruppo PD alla commissione Lavoro della Camera e membro della Direzione nazionale.
Dopo un estenuante conteggio, Alessandra Todde è la nuova presidente della Regione Sardegna, strappata alla destra. Qual è il dato politico di questo risultato?
Intanto è un messaggio chiaro al governo della destra in quella regione. La Sardegna è stata amministrata male: non c’è un indicatore dalla sanità al lavoro, dal welfare all’ambiente che dica che l’esperienza Solinas è stata positiva. Siamo alla bancarotta di una esperienza politica. Tant’è che FdI ha preteso un cambio della leadership in corsa della coalizione. Una decisione tardiva e costruita con arroganza padronale. Questo ha pesato moltissimo e ha favorito probabilmente anche un po’ il voto disgiunto. Truzzu usciva da un’esperienza di governo a Cagliari disastrosa, sciupando un decennio di buone pratiche del centrosinistra di Zedda. Dall’altro lato la candidatura di Alessandra Todde ha rappresentato, come ha detto Pierluigi Bersani, un mix di innovazione, competenza e sardità ovvero capacità di avvertire su di sé le sofferenze di un popolo che ha vissuto una secessione di fatto dal resto del territorio nazionale. E ha battuto così anche quel tentativo maldestro di Soru e di una parte centrista di condannare ancora una volta lo schieramento progressista all’irrilevanza. Qualcuno abbia l’umiltà di prenderne atto.
La Sardegna può essere intesa, pur con tutte le sue specificità, come un laboratorio politico per un’alleanza a “tutto campo” tra PD e 5Stelle?
Io penso – e non da oggi – che il campo unitario dei progressisti sia la strada da perseguire. Alla destra non puoi sicuramente contrapporre un’operazione contraddittoria e troppo eterogenea, ma nemmeno la frantumazione desolante che c’è oggi. In questo quadro, con i Cinque Stelle bisogna continuare a parlare, riconoscendone la diversità e la specificità. Siamo diversi, ma abbiamo nel tempo visto emergere una base di valori comuni. Che la Todde ha sintetizzato con una parola: antifascismo. Non è uno slogan nostalgico, non è nemmeno l’accenno a una lettura comune della storia, è semplicemente un vasto programma. Antifascismo significa applicazione integrale della nostra Carta Costituzionale che la destra vuole abbattere con il premierato forte e con l’autonomia differenziata. Non mi pare una cosa da poco. Per queste ragioni penso che l’alleanza sia un dato irreversibile. Io preferirei che pur nella competizione proporzionale – che inevitabilmente alle europee accentuerà i punti di distanza – ci fosse una moratoria sulla rincorsa identitaria tra partiti diversi. Bisogna far prevalere un elemento di generosità. Elly Schlein su questo terreno ha fornito più di una prova. Anche a costo di mordersi la lingua qualche volta. Credo che sia un segnale da raccogliere per tutti. Abbiamo una destra di nuovo conio: protezionista, corporativa, reazionaria. Quella che davanti ai manganelli di Pisa e il richiamo senza a precedenti del Capo dello Stato, attacca l’opposizione dicendo che spalleggia i violenti. Il prossimo passo è l’accusa di sovversione e il tribunale speciale. Le cui prove generali sono state fatte con la scandalosa Commissione Covid contro Conte e Speranza. Dunque, l’unità conviene, oltre ad essere un dovere patriottico.
Elly Schlein è da tempo sotto esame. L’ “esame” sardo rafforza la sua leadership?
È passato un anno dalle primarie. La svolta è stata forte sui contenuti, il PD e la sinistra hanno ripreso a parlare con il mondo del lavoro dopo anni di silenzio imbarazzato. Un dato che andrebbe riconosciuto da tutti. Salario minimo, giustizia fiscale, lotta alla precarietà, riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, sicurezza sul lavoro: una piattaforma concreta e che parla a larghi strati del paese reale. Questa è stata la novità positiva della segreteria di Elly Schlein. Un partito si misura innanzitutto su un’idea di società. Se parte da un punto di vista chiaro sui diritti che vuole difendere. Io credo che questo passo in avanti sia stato fatto. E si vede. La Sardegna è dentro questa sfida per cambiare l’Italia: non c’è un esame, ma una conferma. Tant’è che il PD è di gran lunga il primo partito della coalizione progressista ma batte anche Fratelli d’Italia che pensava di sbancare con la sovraesposizione di Giorgia Meloni: in pochi ci avrebbero scommesso. Dobbiamo continuare a definire il profilo socialista ed ecologista del nuovo PD, continuare ad aprirlo a forze esterne che chiedono di partecipare e contare – io non abbandonerei la sfida della costituente -, investire sulla costruzione di alleanze politiche e sociali. Chi pensa che il distacco della sinistra da un pezzo di società che vive nel disagio, nella povertà, nel sottosalario si colma in un solo anno si illude. Sotto le macerie del trentennio liberista la sinistra ci è finita e talvolta si è persino illusa che ci avrebbe guadagnato. Si è affermata l’idea che la società di mercato è l’unico dei mondi possibili. Ribaltare questo postulato ideologico impone un percorso di lungo periodo che è fatto di ricostruzione di legami sociali, di polmoni culturali da ricostruire, di una volontà politica che non si ferma al primo sondaggio. Per questo la leadership di Elly è più forte di come viene descritta: perché si sottrae alla dimensione ormai patologica della quotidiana lotta nel fango in cui si è trasformata la politica italiana. E prova a delineare una prospettiva di lungo periodo. Non mi pare poco di questi tempi.