Il flirt tra le due leader
Cosa c’è dietro la tregua tra Meloni e Schlein: l’una oscura Salvini, l’altra Conte
Da un’opposizione responsabile Meloni ricava governabilità e l’oscuramento della Lega, che dal muro contro muro guadagna. E Schlein a sua volta mette nell’angolo Conte
Politica - di David Romoli
In un quadro politico stagnante, nel quale tutto si ripete sempre identico a se stesso sia nei rapporti tra maggioranza e opposizione che in quelli all’interno delle due aree in una specie di eterno giorno della marmotta, l’accordo tra Elly Schlein e Giorgia Meloni raggiunto martedì al telefono potrebbe costituire una novità deflagrante. Non è detto che sia così, naturalmente.
Per un gioco di circostanze non facilmente ripetibile le due leader si sono trovate di fronte a una convergenza oggettiva di interessi. Senza lo spostamento dell’amministrazione Biden la premier sarebbe stata molto meno disponibile a far passare un testo che per la prima volta chiede apertamente il “cessate il fuoco umanitario” oltretutto senza svincolarlo ma neppure condizionandolo alla liberazione degli ostaggi.
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Senza una sdegno diffuso in entrambi gli elettorati, ma particolarmente in quello del Pd, per il rischio di una imminente mattanza a Rafah, le resistenze dell’area più vicina a Israele all’interno del partito di Elly sarebbero state ben più forti e condizionanti.
Ma anche così il solo fatto che un canale di dialogo si sia aperto, che abbia prodotto una posizione politica comune significativa e che ciò si sia realizzato con entrambe le leader del tutto soddisfatte, di fatto senza vincitrice e vinta, potrebbe invece produrre cambiamenti rilevanti.
Elly Schlein, dopo un anno di segreteria nel quale ha collezionato pochissimi risultati, sa di dover uscire dalla dimensione politica della sola denuncia strillata. Quella tattica le è stata certamente utile nella prima fase, quando si trattava di imporre un’immagine diversa del suo partito, non più legata solo ai diritti civili come cavalli di battaglia e alle classi medio-alte come area di rappresentanza.
Ma l’idea di andare avanti ancora per oltre tre anni limitandosi a chiedere un giorno sì e l’altro pure le dimissioni di qualche ministro o sottosegretario è di ben scarso respiro e oltretutto su quel terreno la competizione con Conte, più dotato di lei sia in demagogia che in presenza scenica e capacità di comunicatore, è particolarmente insidiosa.
Per l’outsider che guida il Pd iniziare a fare politica e dunque, anche dall’opposizione, a conquistare qualche risultato, non è un’opzione ma un obbligo e fare politica è cosa diversa dal guidare un collettivo studentesco, come le ha rinfacciato Calenda, ma anche dall’indignarsi nei talk-show.
La premier ha lo stesso interesse. Per qualsiasi governo, dunque anche per il suo, un certo margine di dialogo con l’opposizione è importante quando non essenziale. Senza disporre di quel canale, la politica si riduce a un estenuante confronto-scontro continuo con le forze alleate sedicenti radicali, o più radicali.
Nella maggioranza Salvini ha tutto da guadagnare dalla polarizzazione dello scontro, dal continuo muro contro muro, esattamente come Giuseppe Conte nel peraltro ancora inesistente centrosinistra.
Non a caso, pur avendo votato a favore del passaggio della mozione del Pd sul “cessate il fuoco”, il leader del M5s martedì sera appariva come il principale sconfitto e il capo della Lega schiumava rabbia.
Per Meloni, inoltre, un dialogo anche limitato a pochi argomenti, parallelo allo scontro aperto su altri fronti, significherebbe portare a compimento quell’affrancamento dalle ombre delle radici neofasciste che è molto più avanti a livello internazionale di quanto non lo sia nei confini patrii.
Proprio questo, peraltro, è l’ostacolo principale: Schlein dovrebbe trovare il coraggio di sacrificare una parte consistente del proprio arsenale propagandistico, la chiamata alle armi in nome della difesa della democrazia minacciata da un moderno fascismo.
Per la premier l’ostacolo è anche più impervio: dovrebbe rinunciare a una visione della democrazia sostanzialmente autoritaria, secondo la quale chi vince comanda e chi perde aspetta il proprio turno schiamazzando e facendo propaganda ma senza pesare neanche un po’ nelle scelte concrete. Due atteggiamenti che fanno la lotta greco-romana con le fondamenta di una democrazia matura.
I fronti sui quali un dialogo, pur se necessariamente belligerante, potrebbe produrre risultati utili per tutti sono essenzialmente la politica economica, perché in una fase che promette di essere particolarmente difficile la salvaguardia di almeno alcuni spazi di collaborazione è essenziale anche per la riforma costituzionale.
L’ordalia è inevitabile, essendo la prospettiva obbligata quella del referendum. Però nulla impone di giocare la partita al grido di “tutto o niente” e provare a migliorare comunque un testo che al momento è anche tecnicamente disastroso, salvo poi provare comunque ad abbatterlo nel referendum, sarebbe un passo.