L'addio al socialista
Ricordo di Ugo Intini: caro compagno, caro nemico
Ugo Intini era uno di quelli che amava la politica perché la politica era politica, non perché era potere. Una delle persone che immaginava che per combattere le battaglie politiche bisognasse pensare, studiare, giudicare e scegliere. Sapeva scegliere. Secondo me molte volte sbagliava. Poi chissà: magari sbagliavo io.
Editoriali - di Piero Sansonetti
Ugo Intini è stato uno dei più importanti dirigenti socialisti dell’epoca di Craxi. Lo ricordo bene. È morto – così ha voluto il caso – proprio nel giorno del quarantesimo anniversario del decreto di San Valentino (per la precisione, il giorno prima). E questo mi mette in difficoltà.
Perché io sono un grande estimatore di Ugo Intini e al tempo stesso un vecchio militante del Pci, che ha apprezzato molte cose del craxismo, ma ha sempre pensato che il decreto di San Valentino sia stato l’errore più grande di quel gruppo dirigente del Psi e che sia costato ai lavoratori tantissimo.
Per chi non c’era, o non ricorda, accenno a quel decreto. Eravamo nell’inverno del 1984, primo governo guidato da un socialista nella storia d’Italia, inflazione sopra al 20 per cento. Qualche anno prima (1975) Confindustria (guidata da Gianni Agnelli) e sindacati (guidati da Luciano Lama) avevano firmato un accordo molto favorevole ai lavoratori che esaltava la scala mobile, cioè un meccanismo di adeguamento automatico dei salari all’inflazione.
Il governo Craxi decise di intervenire per fermare l’inflazione, frenando la scala mobile e riducendone gli effetti. Così i salari subirono un alt. E le imprese aumentarono il loro potere. Si aprì uno scontro feroce col Pci che portò a mesi di ostruzionismo in Parlamento (nel corso dell’ostruzionismo morì Berlinguer) e poi a un referendum vinto da Craxi contro molte previsioni. E che segnò il declino del Pci e del movimento operaio.
Naturalmente Intini, che allora era direttore dell’Avanti!, fu molto attivo in quella battaglia. Come era stato sempre attivo nelle battaglie craxiane. L’Avanti! conobbe negli anni della sua direzione un periodo di grande brillantezza.
Uno dei pezzi forti del giornale era il corsivo, sempre feroce e spesso anticomunista, firmato da un certo Ghino di Tacco, brigante un po’ alla Robin Hood, vissuto nel ‘300 nella campagne del senese ed esaltato dal Boccaccio. Dietro la firma di Ghino si celava Craxi in persona, e tutti lo sapevano, e quello fu una specie di anticipazione, in politica, di Twitter. Craxi e Intini erano persone alquanto moderne.
Io stavo all’Unità. E la polemica antisocialista era un cult. Michele Serra, corsivista feroce dell’Unità, aveva preso di punta Intini, che chiamava scherzosamente “Ugo Palmiro Intini”, per mettere alla berlina l’abitudine di Intini di polemizzare su Togliatti, e di accusare il Pci di essere ancora togliattiano. Qualche anno dopo, neanche tanto, fu proprio l’Unità, con un epico articolo di Biagio De Giovanni, a “scaricare” Togliatti, provocando le ire del vecchio gruppo dirigente e di parecchi militanti. (Forse non aveva torto Intini a giudicare il Pci ancora un po’ togliattiano…).
Poi la politica italiana corse veloce verso il precipizio. Lo sapete, ci fu Mani pulite, il Psi pagò il prezzo più alto. Fu spazzato via. Craxi costretto all’esilio, gran parte del gruppo dirigente a fuggire dalla politica.
Qualcuno di loro si mise in salvo sotto le ali di Berlusconi. Un’altra parte confluì nel partito di Occhetto e D’Alema e Veltroni. Intini restò lì dov’era. Intini era un compagno socialista e restò sempre un compagno socialista. Perciò ho titolato l’articolo che sto scrivendo: “Caro compagno, caro nemico”. La parola compagno non è per niente forzata, la parola nemico sì.
Ricordo di averlo incontrato in piazza di Spagna nel 1992, mese di settembre, mentre passeggiava insieme al mio vecchio amico Pio Marconi, anche lui socialista, ma che avevo conosciuto nel 1968, quando era rivoluzionario e trotzkista e militava nel Pci.
Ci salutammo con affetto e io mi accorsi che Intini era commosso. Stava quasi piangendo. Mi disse che tornava dal funerale di Sergio Moroni. Un dirigente socialista lombardo, perseguitato dalle Procure, che, disperato, si era sparato un colpo di fucile e aveva scritto una lettera bellissima a Napolitano. Intini era sconvolto. Emozionato. Prostrato.
Fu gentile con me, anche se ero dell’Unità, e l’Unità in quel periodo era scatenata al fianco dei magistrati. Forse fu proprio quell’incontro che mi convinse definitivamente che quella di Mani Pulite era una operazione orrenda, una colonna infame. Avevano ucciso Giovanni Falcone pochi mesi prima, e la morte di Falcone per me fu la prima spinta forte verso il garantismo. Quelle lacrime che Ugo tratteneva appena furono la spinta definitiva.
Poi l’ho incontrato varie volte, negli anni successivi. Ho discusso con lui ai tempi del movimento no global. Che Ugo non disprezzava affatto. E poi dopo ancora, abbiamo parlato di politica internazionale, di garantismo, di libertà, di storia. Sì, posso garantirvi, ora che è morto: Intini era un compagno. Ed era una persona serissima.
Uno di quelli che amava la politica perché la politica era politica, non perché era potere. Una delle persone che immaginava che per combattere le battaglie politiche bisognasse pensare, studiare, giudicare e scegliere. Sapeva scegliere. Secondo me molte volte sbagliava. Poi chissà: magari sbagliavo io.