Il film ambientato a Tokyo
Perfect days, Wim Wenders e una proposta di stile di vita alternativo e non frenetico
Stretto nella routine appagante fatta di un lavoro umile, fotografi a, libri e musica, il protagonista è felice perché libero dall’asfissiante caccia al successo e dall’adrenalina mortifera dei social...
Cinema - di Filippo La Porta
Elly Schlein, che ama il cinema e il rock, dovrebbe ripartire da Wim Wenders (e Lou Reed). Ammiro il suo impegno nel tenere insieme diritti sociali e diritti civili, nonché la sua politica fortemente inclusiva, ma ciò la aiuterebbe a liberarsi di quel tanto di ritualistico e di convenzionale che appesantisce il suo linguaggio.
“Perfect days” di Wim Wenders e del co-sceneggiatore Takuma Takasaki, ritratto di una persona solitaria, la mattina addetto alla pulizia dei bagni pubblici sotto il cielo di Tokyo, e la sera intento a coltivare le sue passioni (lettura di un libro, ascolto di musica prevalentemente in cassette vintage, etc.), è l’elogio di una vita saggia, perfettamente risolta, di una routine felice fatta di giornate metodiche, ripetitive, ma riempite di tutto ciò che basta. Sarebbe riduttivo darne una lettura solo politica – il film ha molte risonanze – , ma certamente il suo nucleo contiene quella “proposta”.
Il protagonista, magnificamente interpretato da Koji Yakusho, svolge ogni attività con attenzione (come un monaco zen), compresa la pulitura dei bagni con tutti gli strumenti e ingredienti richiesti (diventa un’attività artigianale) poi coltiva le sue passioni personali: oltre ai libri e alla musica (che ascolta anche in macchina: Rolling Stones, Velvet Underground, Patti Smith), la fotografia degli alberi (non ha una scheda di memoria dove incamerare migliaia di immagini ma ogni volta solo un rollino con 36 fotogrammi), la collezione di piante (questa è una invenzione poetica molto wendersiana), poi incontri più o meno casuali al pub e una relazione intensa con una nipotina che lo adora proprio perché è un outsider, e in lui percepisce una assoluta libertà (mentre la madre, che la va a prendere con un autista, lo considera uno sfigato).
Dal punto di vista sociale lui che è di estrazione medio-borghese ha scelto l’invisibilità, l’autoannullamento, ma non ha rinunciato a dare ordine alla sua esistenza, né si priva asceticamente di qualcuno dei suoi piaceri: “così è come se fosse più ricco”(Wenders). Ora, se una cosa del genere ce la dice Wenders e non un ideologo moralista e pauperista, né qualche improbabile teorico della decrescita felice, dovrebbe pur farci riflettere.
Quali sono i “giorni perfetti”? Cedo la parola a Lou Reed: “Proprio un giorno perfetto, bere sangria nel parco, poi, più tardi, quando fa buio, andare a casa”. Sono quei giorni in cui non ci affanniamo a rinforzare e potenziare l’io, in cui non inseguiamo ossessivamente il successo o il denaro (uno scrittore che stimo, Walter Siti, ci ricordava giorni fa che avere tantissimi follower “gratifica”: ne siamo proprio sicuri? È davvero questa la nostra massima e innominabile assicurazione?).
Possibile che bisogna ricordare ogni tanto che le cose più belle della vita – un’amicizia, un amore, un incontro, l’emozione di un paesaggio o di un brano musicale – non si comprano né si vendono? O che la più normale routine può appagarci, se la viviamo senza frustrazione e senza sentirci dei falliti, appunto scegliendola e liberandoci del superfluo? Siamo ancora a questo punto, dopo decenni di elogio estetizzante della trasgressione, del superfluo e del lusso?
Certo, Wenders – profondamente imbevuto della cultura del suo paese – non è un anima bella, non ci offre una immagine stucchevolmente idilliaca della vita autoappagata. Nell’ultima stupenda inquadratura l’attore – uno dei maggiori a livello planetario, come ha sottolineato il regista – ci fa percepire dentro la sua felicità minimale anche il tragico, la parte dell’ombra (potremmo dire: è la condizione umana, bellezza!).
Ultima notazione. Tutto va contestualizzato. Un bagno pubblico di Tokyo, prima di essere pulito è più pulito di un bagno pubblico a Roma dopo essere stato pulito! Né – immagino – lo stipendio di un lavatore di cessi giapponese è comparabile a quello del suo equivalente italiano. E infatti gli permette di trascorrere una esistenza materiale più che decorosa.
Però il grande merito di Wenders è quello di aver rappresentato tangibilmente, plasticamente – e senza alcuna retorica – la felicità possibile di una vita semplice e quietamente ripetitiva, priva di grandi ambizioni e senza il bisogno di riempirla di cose. Vengono in mente i versi di Auden: “Un uomo morto/ che non ha mai causato morte ad altri/ raramente si merita una statua”. Dedichiamo idealmente una statua al protagonista – ben vivo – di Wenders.