Il trofeo della Lega

La destra svende l’Italia, così tutela i possidenti e la ricchezza parassitaria

Svende l’Italia, con la nazione-spezzatino ciascuno decide come educare i “propri” studenti con i “propri” insegnanti. La Sanità? Ognuno per sé

Editoriali - di Nichi Vendola

24 Gennaio 2024 alle 15:30

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La destra svende l’Italia, così tutela i possidenti e la ricchezza parassitaria

Un vero atto di guerra: all’Italia, alla sua cultura, alla sua storia, al suo sofferto processo di unificazione, alla sua democrazia, ai suoi cittadini e cittadine. Che altro è, fuori dalla propaganda e dalle chiacchiere di Palazzo, la cosiddetta “autonomia differenziata” che il Ministro Calderoli, insuperabile esperto nella scienza delle porcate, ha confezionato come trofeo elettorale per il leghismo padano?

Una devoluzione di competenze e poteri, dallo Stato alle regioni, destinata a moltiplicare ed aggravare quelle diseguaglianze sociali, territoriali, di welfare, di diritti, che sono già da lungo tempo la principale causa del declino italiano e del desolante “deficit di futuro” che imprigiona la vita delle giovani generazioni.

E non c’è carosello propagandistico sui tanto sbandierati Lep (livelli essenziali di prestazione) che possa fungere da specchietto per le allodole: sono solo fuffa, cambiali in bianco, tabelline senza finanziamenti, illusioni ottiche.

Per i leghisti di Salvini, ridimensionate drasticamente le speranze di crescere come formazione nazionale, il ritorno a casa, nella ridotta padana, rischia di essere un principio di estinzione se non rimettono a reddito una narrazione separatista e identitaria. Per questo era ed è vitale la riforma di Calderoli, che non è solo racconto e ideologia ma molto di più, cioè una secessione fatta per via ordinaria, senza neppure nominarla e senza modifiche costituzionali.

Lo scambio con i post-fascisti di Giorgia Meloni avviene sul comune terreno dell’avversione alla democrazia parlamentare, ridotta a funzione notarile e pubblicitaria, e ci conduce con violenza nel più macroscopico dei paradossi: da un lato si sfascia lo Stato centrale, che sarà muto e inerte sulle questioni cruciali della salute, dell’istruzione, della protezione ambientale, dei fondamentali diritti di cittadinanza; dall’altro si mette in cantiere una riforma istituzionale che amplifica i poteri del premier, svilisce e marginalizza del figura del Presidente della Repubblica, allarga la forbice tra governanti e governati, ara il terreno per quella “dittatura della maggioranza” che altrove gli amici e sodali di Giorgia Meloni chiamano “democratura”.

Insomma un Paese sfasciato e una democrazia illiberale. A questo occorre reagire chiamando a raccolta tutte le migliori energie del Paese, costruendo una reazione popolare che possa essere un argine di civiltà contro il disegno sfascista. Occorre denunciare l’irresponsabilità di questa classe dirigente di nostalgici e incompetenti, di pistoleri e di trafficanti di paure: farlo in ogni piazza, nei luoghi di lavoro, nelle scuole.

Siamo ad una stretta decisiva, ci giochiamo la tenuta di equilibri delicati e assai complessi che hanno consentito all’Italia di superare prove durissime. Questa, come ha lucidamente detto l’economista Gianfranco Viesti, è la “secessione dei ricchi”. Che farà malissimo a tutta l’Italia e sarà una mina vagante sul suolo europeo. Ed è il disvelamento della natura profonda, direi costituente, della destra: il classismo camuffato da populismo, e cioè la tutela accanita dei ceti possidenti e della ricchezza parassitaria.

Una natura in cui, come l’acqua con la farina, si mescolano liberismo economico e autoritarismo politico, la libertà dalle tasse (ma solo per i ricchi) e il controllo poliziesco del dissenso, la cessione di sovranità al mercato in materia economico-sociale e l’isteria pan-penalista del “sorvegliare e punire” sui corpi e sui loro desideri: fino all’ascolto del battito del cuore di un feto.

E dunque: Fratelli d’Italia un corno! Son proprio loro, i patrioti di lotta e di governo, i cultori dell’elmo di Scipio, i petulanti crociati dell’italianità, sono loro che porgono la chioma della vittoria a quelli che con il tricolore ci si pulivano le terga.

Sono loro che svendono l’Italia, fanno vincere la nazione-spezzatino, ciascuno padrone a casa sua, ciascuno decide come educare i “propri” studenti con i “propri” insegnanti, ognuno si farà la sanità più consona ai propri interessi elettorali e privatistici, la “questione meridionale” sarà collocata in una campana di vetro di qualche museo, e così l’Italia imparerà a essere, uso il titolo di un libro di Alberto Arbasino, un “Paese senza”: ferito, frammentato, sottoposto al centralismo di venti “piccole patrie”.

Senza quell’anima che non è il mito fascista dell’identità, ma che è il senso civile e morale di una storia lunga e dolorosa di costruzione della libertà, della democrazia, della solidarietà e dell’emancipazione sociale, del destino di una “comunità” intesa come spazio pubblico e non strumento di discriminazione.

Possono le opposizioni costruire un fronte comune contro questa drammatica deriva? Non è questo il momento di un salto di qualità, di un inedito protagonismo sociale di quel centro-sinistra che nel corso del tempo ha creduto di difendersi dalla spinta leghista alla secessione con la logica della riduzione del danno, lasciandosi infiltrare da una “questione settentrionale” che non era la sorella gemella della “questione meridionale” ma semplicemente il suo killer? Ora è il tempo di cominciare a costruire l’alternativa anti-sfascista.

Ora è il momento di fare atti concreti, come organizzarsi per un referendum abrogativo di questo progetto delittuoso. Per difendere il Sud ma anche i tanti Sud che vivono nelle periferie e negli interstizi del Nord.

Per difendere qualcosa che non è la Nazione con la maiuscola, con i suoi confini ben tracciati e blindati, con il suo corredo di tronfia retorica patriottarda. Ma per difendere l’Italia, l’unità e la storia e la geografia e l’anima e il futuro e i diritti di un popolo. E di una nazione: uso la minuscola, perché nazione non è una parola innocente e tante carneficine si sono compiute per la gloria di questa parola.

24 Gennaio 2024

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