Il caso in Burundi
Burundi, il Paese del “devoto cattolico” Ndayishimiye che vuole lapidare i gay in piazza
“Se li trovassimo nel nostro paese li dovremmo portare negli stadi e lapidarli, e farlo non sarebbe un crimine”, ha detto nel messaggio di fine anno
Esteri - di Sergio D'Elia
Nell’antico libro è scritto che Caino era un agricoltore, Abele un allevatore. Erano fratelli, quindi diversi. Diverso il legame con la terra, diverso il rapporto con il cielo, il primo la abita e la coltiva, il secondo la possiede e la attraversa; anche i frutti sono diversi, beni poveri quelli del contadino, più belli e sostanziosi quelli del pastore. L’agricoltore e l’allevatore offrono a Dio in sacrificio i prodotti del loro lavoro.
La leggenda racconta che solo le offerte di Abele vengono accettate, e la preferenza accordata ad Abele suscita la gelosia e l’ira di Caino, che porta Abele nei campi e lo uccide. La storia millenaria del fratello che uccide il fratello è giunta fino ai giorni nostri, riscritta e descritta infinite volte da fatti e interpreti diversi ma egualmente atroci.
Una volta, nella regione dei Grandi Laghi nel cuore dell’Africa, Caino ha assunto le sembianze di un Hutu, Abele quelle di un Tutsi, il prediletto del Signore nella fattispecie della civilissima Europa, che dall’alto osserva, divide e impera.
La catena perpetua di vecchi rancori e odi insanabili, nel giro di poche settimane, tra uccisioni di massa e terribili vendette registra la cifra del genocidio. Al fine di uccidere sono usati mezzi di esecuzione propri della giustizia fai-da-te: forche e forconi, machete e bastoni, financo i copertoni accesi di benzina da esseri umani per bruciare vivi altri esseri umani. I metodi “civili” della giustizia coloniale di stampo europeo – la fucilazione, l’impiccagione, la decapitazione – appaiano quelli arcaici della giustizia di stampo tribale.
La lapidazione, quella no. La più terribile tra le punizioni islamiche in voga nei regimi dei talebani e dei mullah, nel cuore cristiano dell’Africa nera non è apprezzata e praticata. Fino ad ora. Potrebbe però accadere in Burundi, non in nome della sharia ma per il volere di un politico omofobo devoto di Cristo.
Évariste Ndayishimiye, così si chiama il Presidente del Burundi, da capo ribelle è diventato capo dello Stato. Nel suo ultimo messaggio di fine anno e come augurio per il nuovo ha chiesto la lapidazione pubblica dei gay.
“Per quanto mi riguarda, penso che se trovassimo queste persone in Burundi le dovremmo portare negli stadi e lapidarle, e farlo non sarebbe un crimine”, ha detto il Presidente in una conferenza stampa dopo che gli era stato chiesto se anche il suo Paese avesse subito pressioni dell’Occidente per la difesa dei diritti degli omosessuali.
Il Presidente ha definito il matrimonio tra persone dello stesso sesso una “pratica abominevole”, ha collegato l’omosessualità al satanismo e ha esortato i gay burundesi a trasferirsi altrove. “Se scegli Satana, vai a vivere in Occidente… Certe abitudini dovrebbero restare lì e non essere mai esportate da noi.”
L’omosessualità è stata criminalizzata in Burundi per la prima volta nella sua storia quando è stato promulgato il codice penale del 2009. In base alla legge, chiunque abbia rapporti sessuali consensuali con qualcuno dello stesso sesso rischia f no a due anni di carcere e una multa. A marzo, 24 persone sono state arrestate durante un evento organizzato da un’associazione umanitaria e accusate di “pratiche omosessuali”.
La costituzione del Burundi vieta anche il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Non esiste alcuna protezione legale contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale. Le convinzioni di Ndayishimiye coincidono coi sentimenti omofobi in aumento nella regione. Nel maggio scorso, nella vicina Uganda, il Presidente Yoweri Museveni ha firmato una severa legge anti-omosessualità che prevede la pena di morte nei confronti dei condannati per “omosessualità aggravata”.
Ma per il Presidente del Burundi la pena di morte non basta; fosse per lui, la sua esecuzione dovrebbe anche essere pubblica, da effettuare allo stadio e tramite lapidazione. Évariste Ndayishimiye è descritto come un devoto cattolico e nella conferenza di fine anno, infatti, ha fatto riferimento alla Bibbia per dire che Dio si oppone all’omosessualità.
Chissà se, dopo l’Antico, Évariste ha letto anche il Nuovo Testamento e il famoso passo del Vangelo di Giovanni sulla lapidazione dell’adultera. “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei”. Il monito di Gesù paralizzò gli uomini in procinto di lapidare la donna. Uno dopo l’altro, a partire dai più anziani, tutti abbandonarono il proposito e si ritirarono in pace. La buona novella è che l’adultera si salvò.
Ma la parabola è ancora più felice perché va oltre l’idea di una giustizia che lapida a morte. A ben vedere, il messaggio è ancor più radicale perché esorta a “non giudicare” l’altro prima di aver fatto un esame di coscienza di sé stesso. Quanta più civiltà v’era duemila anni fa rispetto al mondo d’oggi dove esistono ancora sulla faccia della terra capi di Stato che pensano di fare giustizia, “reprimere il vizio e promuovere la virtù” mettendo un cappio intorno al collo e lanciando pietre contro qualcuno.