La decisione della Cassazione
Cosa rappresenta il saluto romano e l’annosa questione sull’apologia del fascismo
Viola la legge? Le sezioni unite si riuniranno per dirimere una annosa questione, dopo varie sentenze contraddittorie.
Editoriali - di David Romoli
Oggi le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si riuniranno per decidere su un nodo che non si riesce a scogliere da oltre mezzo secolo e che è tornato sulle prime pagine, e nelle interrogazioni parlamentari, poche settimane fa, dopo la manifestazione dell’estrema destra in ricordo dei ragazzi del Msi uccisi il 7 gennaio 1978 in via Acca Larentia a Roma.
Con tanto di saluti romani a raffica. Se i saluti fascisti e in generale questo tipo di manifestazioni costituiscano reato è questione che divide la giurisprudenza da decenni.
Le sentenze sono molte e contrastanti. Per questo, nel settembre scorso, la Terza Sezione della Cassazione ha rimesso nelle mani delle Sezioni unite il caso di 8 militanti di Casa Pound denunciati per i saluti romani con i quali avevano ricordato, nel 2016, il neofascista ucciso a Milano nel 1975.
Assolti in primo grado sulla base di una precedente sentenza assolutoria del 2014 per lo stesso reato, sono stati poi condannati in appello con la spiegazione che gli imputati del 2014 erano accusati di aver violato la legge Scelba del 1952 sull’apologia di fascismo mentre quelli sotto processo ora avrebbero contravvenuto alla legge Mancino del 1993 sull’incitamento alla violenza per motivi razziali.
All’origine della eterna disputa c’è la XII disposizione Transitoria e Finale della Costituzione che recita: “È proibita la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del partito fascista”.
La formula fu suggerita in Costituente da Togliatti, sulla base di un precedente intervento di Concetto Marchesi, con il dichiarato obiettivo di circoscrivere il divieto alla ricostituzione di uno specifico partito già esistito, quello che “prese corpo in Italia dal 1919 fino al 25 luglio 1943”.
Togliatti sottolineò che “il movimento e il partito fascisti sono determinati storicamente… se un partito sorgesse con simili manifestazioni sarebbe facile riconoscere in esso il Partito fascista”.
La Corte Costituzionale si espresse per la prima volta il 16 gennaio 1957, presieduta dall’ex presidente della Repubblica De Nicola. Alcuni imputati per il reato di apologia di fascismo, introdotto dalla legge Scelba del 1952, avevano infatti contestato la costituzionalità di quella legge perché in contrasto con l’art. 21 della Carta, quello che sancisce il diritto a esprimere liberamente “il proprio pensiero con la parola, con lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
La Corte confermò la costituzionalità della legge Scelba, ma circoscrivendo in modo rigido la sua applicabilità. La legge non poteva punire la “difesa elogiativa” del fascismo ma doveva colpire solo “l’esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista… una istigazione indiretta a commettere un fatto rivolto alla detta riorganizzazione e a tal fine idoneo ed efficiente”.
L’anno successivo, il 25 novembre 1958, una seconda sentenza della Consulta, presieduta stavolta da Gaetano Azzariti, che negli anni del regime era stato tra i principali dirigenti del ministero della Giustizia nonché antisemita furibondo e firmatario del “Manifesto della razza” nel 1938, corresse parzialmente il pronunciamento precedente.
Il legislatore, scrivevano in giudici costituzionali in riferimento alla legge Scelba “ha compreso che la riorganizzazione del partito fascista può anche essere stimolata da manifestazioni pubbliche capaci di impressionare le folle; ed ha voluto colpire le manifestazioni stesse, precisamente in quanto idonee a costituire il pericolo di tale ricostituzione”.
Negli ultimi anni le sentenze contraddittorie di Cassazione si sono moltiplicate. Nel 2018 la Corte ha sentenziato che i saluti fascisti sono leciti se l’intento è “commemorativo e non violento”.
Quattro anni prima, in un caso identico, i saluti romani in una manifestazione in memoria delle vittime delle foibe, la sentenza della Cassazione era stata diametralmente opposta, con tanto di giustificazione storico-politica: “L’esigenza di tutela delle istituzioni democratiche non risulta, infatti, erosa dal decorso del tempo e frequenti risultano gli episodi ove sono riconoscibili rigurgiti di intolleranza ai valori dialettici della democrazia e al rispetto dei diritti delle minoranze etniche o religiose”.
La sentenza di Cassazione del 22 marzo 2023 invece di chiarire ha ulteriormente aggrovigliato la matassa. Il processo era a carico di 5 persone accusate di aver fatto il saluto romano durante una manifestazione non autorizzata, conclusasi con tafferugli.
La Corte ha confermato la sentenza di condanna, specificando però che c’era stata «forza fisica, violenza verbale e la plateale violazione dell’ordine legalmente dato di svolgere la commemorazione in uno specifico luogo» e che proprio quei comportamenti violenti «determinano il concreto pericolo che l’ostentazione di quei gesti e simboli vietati sia in grado di diffondere e divulgare l’idea fondante dell’ideologia fascista, così mettendo in pericolo l’ordinamento democratico».
Le sentenze che verranno discusse oggi confondono ulteriormente. I manifestanti infatti sono stati assolti sulla base di un precedente, fattualmente identico, che riguardava però la legge Scelba e condannati in appello sulla base della Mancino, stabilendo così un nesso diretto tra saluto romano e violenza razzista.
La Sezione I della Corte ha quindi invocato la chiarificazione delle Sezioni Unite, citando apertamente le sentenze contraddittorie in materia della stessa Corte.