Al Corriere della Sera
Narges Mohammadi, la premio Nobel per la pace dal carcere: “L’Iran si ribella, l’hijab è sottomissione”
A ritirare il premio a Oslo ci sono andati i figli, gemelli di 17 anni, che l'attivista non vede da otto anni. "Per me il Nobel è una dichiarazione di sostegno globale al movimento progressista d’Iran". È detenuta a Evin, arrestata 13 volte, condannata a 31 anni e 154 frustate
Esteri - di Redazione Web
Narges Mohammadi dice di lottare “per la realizzazione della democrazia, della libertà e dell’uguaglianza. Noi iraniani vogliamo una società civile forte e indipendente. La democrazia non esiste senza il rispetto dei diritti umani e quindi dei diritti delle donne”, continua anche a farlo dal carcere dov’è detenuta, dove sta portando avanti uno sciopero della fame. La settimana scorsa le è stato consegnato il Premio Nobel per la Pace. A ritirarlo a Oslo ci sono andati i figli gemelli di 17 anni, una sedia vuota a ricordare lei che dal 2021 è detenuta a Teheran, arrestata 13 volte e condannata a 31 anni e 154 frustate.
“Mi sono salvata solo grazie alla mia fede nella libertà per ogni essere umano. Così la sofferenza non diminuisce ma trova un senso. Non posso lamentarmi”, ha detto in un’intervista a Il Corriere della Sera. Mohammadi ha cominciato a protestare dopo che i funzionari del carcere le hanno negato il trasferimento in ospedale per cure urgenti perché si è opposta a indossare l’hijab. Soffre di problemi cardiaci e polmonari.
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Mohammadi è ingegnera, attivista, vicepresidente del Centro dei Difensori dei Diritti Umani. Alle domande di Greta Previtera ha risposto per iscritto dalla cella nel braccio femminile del carcere di Evin dove vengono rinchiusi i detenuti politici. Il marito e attivista Taghi Rahman, che non sente la voce della moglie da due anni, non ha svelato come la donna sia riuscita a comunicare con l’esterno. L’ultima volta che è stata fuori dalla prigione era il 2020, le fu proibito di raggiungere i figli e il marito in Francia. Ha parlato della violenza costante sulle donne in carcere.
Il movimento “Donna, vita, libertà”
Mohammadi ha continuato a protestare nonostante le condanne, ha appoggiato il movimento “Donna, Vita, Libertà” esploso con la morte di Masha Amini che ha scatenato le proteste più dure in Iran dalla fondazione della Repubblica islamica sciita nel 1979, e continuato con la morte di Armita Garawand. Crede che il movimento abbia accelerato la democratizzazione del Paese. “Il messaggio che ho mandato e che Ali e Kiana hanno letto durante la cerimonia iniziava con lo slogan ‘Donna, Vita, Libertà’, in onore della rivoluzione del popolo iraniano. Per me il Nobel è una dichiarazione di sostegno globale al movimento progressista d’Iran. È per l’Iran che si ribella”. Ha raccontato che oltre alle impiccagioni, per chi protesta contro il regime c’è la detenzione nei centri psichiatrici. Si aspetta attenzione da parte del mondo, da parte dell’opinione pubblica globale.
“L’hijab obbligatorio non è un dovere religioso o un modello culturale, né, come dice il regime, il modo per preservare la dignità e la sicurezza delle donne. L’hijab obbligatorio è uno strumento per sottometterci e dominarci. È uno dei fondamenti della teocrazia autoritaria e io lo combatto con tutta me stessa. L’uccisione di Mahsa-Jina Amini e di centinaia di manifestanti nelle strade, l’uccisione di Armita Garawand per me sono e saranno per sempre un dolore che mi è entrato in gola. Non indossare il velo nemmeno per una visita medica necessaria è la mia protesta e la mia forma di resistenza contro l’oppressore: non farò mai un passo indietro”.
Il premio Nobel a Narges Mohammadi
Il Comitato del Nobel aveva assegnato il premio a inizio ottobre all’attivista per “la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e la sua lotta per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti”. Mohammadi è nata a Zanjan nel 1972, è laureata in fisica ed è membro dell’ong Centro dei difensori dei diritti umani, la cui fondatrice Shirin Ebadi è stata anche lei premiata con il Nobel. Mohammadi ha messo al centro del suo attivismo i diritti dei carcerati e l’abolizione della pena di morte. È stata arrestata 13 volte e condannata cinque volte per complessivi 13 anni di prigione. Secondo le accuse di familiari e attivisti è stata sottoposta anche a pene corporali, come quella di 154 frustate.
Le proteste in Iran
Ha appoggiato le proteste esplose nell’ultimo anno in Iran dopo il caso della 22enne Mahsa Amini, a metà settembre 2022, una ragazza curda arrestata in un parco Teheran dalla polizia morale perché indossava male il velo e morta mentre si trovava in stato di detenzione. Lo scorso 28 ottobre l’agenzia di stampa iraniana IRNA aveva confermato la morte della 16enne Armita Geravand, che secondo diverse organizzazioni attive per il rispetto dei diritti umani sarebbe stata picchiata dalla polizia perché non portava il velo islamico nella metropolitana di Teheran. Un video aveva ripreso il momento del malore che però inquadrava soltanto l’esterno del treno e la banchina. Si vedeva la ragazza che scendeva e si piegava prima che venisse trasportata in barella. La ragazza era finita in coma, le autorità avevano parlato di un malore.