I controlli alle frontiere

Perché dieci paesi hanno sospeso Schengen: in Europa tornano i confini contro i terroristi o i migranti?

Il ripristino dei controlli alle frontiere interne può essere adottato solo come extrema ratio, in caso di minaccia concreta di attentati o di grave rischio per la sicurezza. Abusi sono già stati censurati in passato dalla Corte di giustizia Ue.

Editoriali - di Gianfranco Schiavone

20 Ottobre 2023 alle 15:30 - Ultimo agg. 20 Ottobre 2023 alle 16:46

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Perché dieci paesi hanno sospeso Schengen: in Europa tornano i confini contro i terroristi o i migranti?

Anche se in forme, estensioni territoriali e soprattutto durate diverse, ben 10 paesi europei hanno ripristinato i controlli alle frontiere interne giustificando, con pochi distinguo, tale misura in ragione della grave crisi internazionale e dei connessi rischi per l’ordine e la sicurezza pubblica. La libera circolazione nell’area Schengen rappresenta una delle evoluzioni più rilevanti che l’Europa (un continente martoriato nel ‘900 dalle guerre e dai nazionalismi) ha vissuto negli ultimi decenni e che ha cambiato la vita di milioni di persone che vivono, lavorano, studiano in paesi diversi dal proprio anche grazie a una mobilità impensabile in confronto al passato.

Il fondamento giuridico della libera circolazione si rinviene proprio nei fondamenti stessi dell’Unione. L’art. 67, par. 2, del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) prevede infatti che l’UE: “garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne”. Ai sensi dell’art. 77, par. 1, TFUE: “l’Unione sviluppa una politica volta a: a) garantire l’assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all’atto dell’attraversamento delle frontiere interne”. La consapevolezza dell’importanza del principio della libera circolazione in Europa per la crescita economica e sociale del continente è richiamata con chiarezza anche nel Codice Schengen laddove si afferma che “la creazione di uno spazio in cui è assicurata la libera circolazione delle persone attraverso le frontiere interne è una delle principali conquiste dell’Unione” (considerando 22).

Allo scopo di salvaguardare queste conquiste il Codice prevede che il ripristino dei controlli di frontiera interni può avvenire “solo come misura di extrema ratio (…) in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro” (Codice, art. 25) per il tempo più breve possibile. Il rischio di “attentati o minacce terroristiche” (Codice, art. 26) può motivare il temporaneo ripristino dei controlli di frontiera, ma tale rischio deve essere concreto e specifico.

Il ripristino dei controlli di frontiera in ogni caso non può comportare mai alcuna compressione o limitazione del diritto d’asilo in quanto “gli Stati membri agiscono nel pieno rispetto (…) del pertinente diritto internazionale, compresa la («convenzione di Ginevra»), degli obblighi inerenti l’accesso alla protezione internazionale, in particolare il principio di non-refoulement (non respingimento), e dei diritti fondamentali” (Codice, art. 3). Le motivazioni fornite dal Governo italiano per giustificare la decisione di ripristinare i controlli di frontiera con la Slovenia appaiono del tutto vaghe e inadeguate; in particolare in rinvio all’esistenza di presunto problema dell’arrivo in tutta la regione FVG di un modestissimo numero di rifugiati (circa 1.500 persone al mese nel corso del 2023), in prevalenza provenienti dall’Afghanistan, risulta del tutto risibile nonché privo di alcuna connessione logico-giuridica con i criteri richiesti dal Codice Schengen quali necessari per legittimare una scelta così estrema quale il ripristino dei confini interni.

Una vaghezza di motivazioni che purtroppo non investe solo il Governo italiano in carica la cui credibilità politica in Europa è a minimi termini, bensì tutti gli Stati che hanno deciso il ripristino dei controlli di frontiera nelle loro motivazioni hanno operato un generico riferimento alla gestione dei flussi migratori e ai connessi profili di sicurezza. La giurisprudenza europea è intervenuta più volte nel corso degli ultimi anni per contenere quella che appare una tendenza ad abusare della facoltà di adottare il ripristino temporaneo dei controlli di frontiera. La Corte di Giustizia UE con sentenza 26.04.2022 (cause riunite C-368/20, Landespolizeidirektion Steiermark, e C-369/20, Bezirkshauptmannschaft Leibnitz) ha evidenziato che “in caso di minaccia grave per il suo ordine pubblico o la sua sicurezza interna, uno Stato membro può ripristinare un controllo di frontiera con altri Stati membri ma senza superare una durata massima totale di sei mesi”.

Tale periodo massimo è da ritenersi “imperativo” (par.78), e il suo superamento comporta l’incompatibilità con il diritto dell’Ue di qualsiasi controllo di frontiera interna. Una eventuale nuova misura potrà essere adottata solo qualora lo Stato si trovi a far fronte a una nuova minaccia grave per il suo ordine pubblico o la sua sicurezza interna, distinta da quella inizialmente individuata, situazione che deve essere valutata in relazione alle circostanze e agli eventi concreti. Il messaggio che arriva dalla Corte è chiaro ed un netto no all’abuso della facoltà degli Stati di ripristinare più o meno quando vogliono i controlli di frontiera e non solo come extrema ratio.

Nella recente sentenza del 21.09.23 nella causa C-143/22, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) la Corte di Giustizia ha di fatto censurato la condotta della Francia (paese che forse più di altri sta abusando del ripristino dei controlli di frontiera con l’Italia per la mera gestione delle migrazioni). Secondo la Corte infatti il ripristino di detti controlli non può giustificare la prassi francese di attuare respingimenti immediati dei migranti alla frontiera franco-italiana in quanto, anche ad una frontiera interna “ai fini dell’allontanamento dell’interessato, devono comunque essere rispettate le norme e le procedure comuni previste dalla direttiva «rimpatri»” (CGUE comunicato stampa n. 145/23) ovvero lo straniero deve potere accedere alla procedura di asilo in caso manifesti tale volontà, o, in caso di irregolarità di soggiorno, deve poter accedere a tutte le garanzie previste dalla Direttiva rimpatri, a partire dal diritto al rimpatrio volontario.

La strenua ed indecorosa difesa delle riammissioni illegali attuate dall’Italia nel 2020 messa in atto da parte della classe politica nazionale e regionale del FVG rendono non infondato il sospetto che la decisione del ripristino dei controlli di frontiera attuata dal Governo italiano ben poco abbia a che fare con la difficile situazione internazionale, bensì rappresenti una misura propagandistica o persino un pretesto per provare ad attuare gravissime condotte illegali al confine italo-sloveno tramite respingimenti di richiedenti asilo che sono tassativamente vietati dal diritto internazionale ed europeo. Il ripristino dei controlli di frontiera con la Croazia e l’Ungheria deciso dalla Slovenia potrebbe infine facilmente degenerare nella ripresa dei respingimenti collettivi a catena lungo la rotta balcanica, pur radicalmente vietati dal diritto internazionale.

La gestione di un fenomeno generale come la gestione delle migrazioni, e a maggior ragione, dell’arrivo dei rifugiati, non può assolutamente rappresentare una motivazione per un continuo ricorso alla misura estrema del ripristino dei controlli alle frontiere interne. Questo orientamento, sempre più diffuso tra gli Stati UE può portare ad una costante elusione delle normative internazionali ed europee sul diritto d’asilo e sul rispetto dei diritti fondamentali, tra cui il divieto di respingimento, e può condurre alla demolizione pezzo per pezzo del principio della libera circolazione nell’area Schengen la cui importanza è così cruciale per la vita stessa dell’Europa, ovvero per la vita di tutti noi.

20 Ottobre 2023

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