La kermesse della Capitale

Mur di Kasia Smutniak contro i Muri della pavida Europa

Il documentario dell’attrice, alla prima da regista, denuncia la disumana barriera contro i rifugiati in costruzione in Polonia. Convince anche “Mi fanno male i capelli” di Roberta Torre

Cinema - di Chiara Nicoletti

20 Ottobre 2023 alle 18:30

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È maggiorenne, è donna, narratrice, autrice, regista, femminista, combattente, empatica, produttrice, distributrice, artista e musicista la Festa del Cinema di Roma, giunta al secondo giorno della sua 18esima edizione, quella, appunto, della maturità. Ha aperto infatti con una donna da sempre campione di incassi e garanzia di qualità, ironia e profondità, Paola Cortellesi con il suo primo film da regista, C’è ancora domani che fotografa le donne italiane in un momento fondamentale della storia d’Italia, il 2 giugno 1946, quando la possibilità di votare si aprì anche a loro.

Sono le donne a fare da guida emotiva ai film in programma della giornata, a partire da Roberta Torre, regista visionaria e in prima linea a raccontarle, che, questa volta, con Mi fanno male i capelli, mette in contatto una Monica interpretata da Alba Rohrwacher, afflitta da una patologia che le sta facendo lentamente perdere il ricordo di se stessa con le innumerevoli e sfaccettate donne diverse che un’altra Monica, la Vitti del nostro cuore cinefilo, ha interpretato nel corso della sua carriera. Monica e Monica dialogano, si confortano e confrontano e Mi fanno male i capelli diventa omaggio al cinema italiano e al suo momento magico.

“Questo è un film sulla memoria, sono parecchi anni che ci lavoro, anche Le Favolose intraprende questo percorso. Per un’attrice il rapporto con la memoria è continuo, fondamentale, è baluardo e paura”, dichiara Roberta Torre nel raccontare il punto di partenza del film, in sala da oggi. Chi era Monica Vitti prima e chi è diventata dopo essersi calata, letteralmente, nei suoi panni? Alba Rohrwacher riflette: “In effetti, c’è un prima e dopo nel senso che Monica Vitti è stata ed è un punto di riferimento per me attrice, per me studentessa di cinema e per me spettatrice. Un’interprete immensa, sublime, che ha nutrito la mia formazione e che ha nutrito il mio immaginario. Questo lavoro ha consolidato e spostato questo rapporto su un piano ancora più intimo, perché arrivare ad ipotizzare un dialogo immaginario con lei ha fatto sì che si creasse una sorta di spostamento del mio personaggio, processo a cui siamo arrivate in maniera autentica”.

I costumi della pellicola di Roberta Torre sono curati da un punto fermo del cinema italiano di questi ultimi anni, il due volte candidato all’Oscar e 5 volte Premio David di Donatello Massimo Cantini Parrini. Cantini Parrini li ha disegnati e fatti confezionare nella stessa sartoria dove era stato fatto l’abito blu indimenticabile di Polvere di stelle di e con Alberto Sordi. A proposito di questo vestito, Alba Rohrwacher racconta di aver assistito ad una magia: “Il signor Gabriele della sartoria – ricorda l’attrice – che all’epoca era un ragazzino, mi ha fatto provare l’abito originale. Bottone dopo bottone che si chiudeva alla perfezione era un accesso a Monica. Era come se qualcuno mi dicesse che la scarpetta di Cenerentola la potevo mettere.  È stata una delle giornate in cui ci siamo sentite che questo personaggio era un omaggio d’amore a Monica che da qualche parte ci osservava e diceva: ‘potete andare avanti.”

Tanti ricordi di Monica Vitti per ogni persona di cinema che si rispetti e Alba Rohrwacher racconta il suo più significativo: “Credo fosse una proiezione alle 8.30 di mattina de La notte al Centro Sperimentale di Cinematografia. Mi arrivò come una folgorazione, avevo 20 anni ed era la prima volta che vedevo un film della Vitti al cinema e in pellicola”. Per le similitudini con la storia personale di Monica Vitti e soprattutto con la malattia che l’aveva colpita negli anni prima della scomparsa (demenza a corpi di Lewy), inevitabile chiedere a Roberta Torre se ci fosse un riferimento del film a questo: “Ognuno può vedere quello che vuole, ci mancherebbe, da parte mia non era certo quella l’intenzione. Con il marito Roberto Russo abbiamo parlato all’inizio della lavorazione, il film è stato concepito prima che la Vitti morisse, ci lavoro dal 2018. I film che abbiamo scelto erano quelli che potessero interagire con le battute degli attori, per costruire un continuo dialogo tra il repertorio e le interpretazioni di Alba e Filippo (Timi)”.

Guidati dalla lungimiranza femminile, alla Festa di Roma, ci sono anche i Manetti Bros nel loro terzo capitolo su Diabolik, dal titolo Diabolik – Chi Sei? presentato in anteprima alla manifestazione prima dell’uscita nelle sale il prossimo 30 Novembre. Un faccia a faccia tra Diabolik e Ginko (Valerio Mastandrea), catturati da una banda di criminali che porterà il ladro a raccontarsi con l’ispettore per dare vita a una vera e propria origin story del personaggio nato dalla penna delle sorelle Giussani.

Si concentra su due donne in particolare Diabolik – Chi sei?: Eva Kant ( Miriam Leone) e la Contessa Altea (Monica Bellucci) la cui alleanza determina la salvezza dei loro compagni. Miriam Leone esalta questo legame: “le sorelle Giussani hanno scritto Eva Kant affinché lei salvasse sempre quel testone di Diabolik. In un mondo in bianco e nero Eva porta l’amore, l’unica cosa che può superare la violenza e la corruzione che ci sono nell’immaginaria Clerville. Per la prima volta finalmente trova un’altra donna Altea, come lei, libera, indipendentemente, perché entrambe amano i loro uomini al di fuori del matrimonio. Non dimentichiamo che siamo tra gli anni 60 e 70 e questo per l’epoca era scandaloso. Trovo una grande lungimiranza delle sorelle Giussani nell’immaginare un mondo migliore per noi donne finalmente complici. Portare in scena questo superamento delle rivalità è per noi un messaggio molto importante”.

Concorda Bellucci:È bello vedere due donne che diventano unite, anche se per poco e nonostante provengano da mondi opposti perché hanno una femminilità comune, sono emancipate, libere, sensuali, in un mondo ancora dominato dagli uomini”. Prende la parola Marco Manetti per ampliare il discorso di Miriam Leone: “Analizzando la scrittura delle Giussani ci siamo resi conto che Eva e Altea sanno porre l’intelligenza e la forza al servizio del sentimento mentre i loro compagni, Diabolik e Ginko non ne sono capaci”. Chiude il cerchio della seconda giornata e da oggi in sala, l’esordio alla regia di Kasia Smutniak con un documentario, Mur, che la vede tornare nella sua Polonia per un film che è allo stesso tempo un diario intimo e una denuncia.

La Polonia è il paese che si è distinto per tempestività e generosità nel dare asilo ai rifugiati della guerra in Ucraina ma è lo stesso paese che ha appena iniziato la costruzione del muro più costoso d’Europa per impedire l’entrata di altri rifugiati, il protagonista della storia raccontata in questo film. Mur vede Smutniak impegnarsi in prima persona, con il solo uso del cellulare a dare voce a questi luoghi unendo anche la sua memoria personale.

Una decisione chiara fin dall’inizio? “Questo non doveva essere un film su di me in realtà – dice. All’inizio volevo fare un’istantanea di denuncia su quello che stava accadendo ma mi sono ritrovata a raccontare le emozioni che poi erano più vicine a quello che sono io, visto che da attrice sono 20 anni che ci lavoro. Mi sono detta dunque: via la denuncia, ci vuole un’altra strada e siccome la mia storia non è tanto interessante da farne un film, ho voluto rendere straordinario quello che succedeva lì, che è la nostra quotidianità e utilizzare un linguaggio facilmente riconoscibile ed empatico”.

20 Ottobre 2023

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