Il dibattito
Ecco perché il numero chiuso a medicina non va cancellato
La risposta articolata dovrebbe essere: più investimenti nel sistema universitario, più coordinamento nella programmazione, migliore trattamento dei professionisti della sanità.
Editoriali - di Vito De Filippo
Qualcuno ha detto che la tendenza a semplificare fa molte vittime. Un esempio? Cancellare il numero chiuso a Medicina che è considerato causa di tutti i mali. E difatti in questi ultimi anni l’emergenza sanitaria, la carenza di personale e l’enormità dei tempi sulle liste di attesa hanno amplificato un pensiero, diventato parola d’ordine, propaganda ad alto volume: abolire il numero chiuso in Medicina è il ritornello fatto circolare nei talk e sui social. Si ripete a piè sospinto.
Fa sempre effetto perché risolve con una battuta questioni ben più complesse. Non mancano studi sull’imbuto formativo o la gobba pensionistica o ancora l’imbuto occupazionale. Sono a disposizione a “buon prezzo” anche sulla rete. Un manifesto, insomma, tanto efficace quando debole se si guarda bene. A ruota si sono incaricati di interpretare questo obiettivo capi politici, consigli regionali, parlamentari, organizzazioni varie. Comitati “spontanei” hanno organizzato petizioni. Sit in, Meetup, scioperi e vibranti proteste.
Qualcuno l’ha giudicata invece “pericolosa” questa prospettiva come il segretario nazionale dell’Anaao Assomed Pierino Di Silverio, il principale sindacato della dirigenza medica. Mancano medici, però. Si fanno cifre allarmanti: 2900 medici di famiglia dal 2025. Che fare? Anche la più grande federazione italiana di medici, la Fimmg, rileva questioni più complesse, nell’ultimo congresso tenuto in Sardegna: remunerazione, defiscalizzazioni, ed ancora una volta programmazione! Sono comunque incisive nell’opinione pubblica le posizioni semplici, soprattutto quando si parla del futuro dei nostri ragazzi. Si fa presa sulle tensioni e le insoddisfazioni per le carenti risposte del nostro sistema sanitario nazionale.
L’origine di questa ipotizzata disfatta, è una legge del 1999. A rileggerla poneva questioni importanti sul numero degli accessi ai corsi di laurea in medicina e chirurgia, in medicina veterinaria, in odontoiatria. Il numero non è chiuso ma programmato. Per evitare disoccupati e buona formazione. La parola dominante in quella norma è esattamente questa: programmazione. La legge richiamava gli standard formativi dell’Unione europea ed alcuni requisiti minimi come i posti nelle aule, attrezzature e laboratori scientifici. E niente popo’ di meno che il personale docente e quello tecnico! Insomma un elenco scontato dei problemi del nostro sistema universitario. Se si volesse ribaltare il ragionamento prima del cosiddetto numero chiuso bisognerebbe moltiplicare i numeri degli investimenti per le Università italiane come più volte ha segnalato la Conferenza dei Rettori.
Capita spesso che i combattivi protagonisti dell’abolizione del numero chiuso dimentichino, platealmente, che l’ordine è quello indicato da una legge ancora attuale. Il pasticciaccio si complica ulteriormente se nell’incrocio della programmazione ministeriale (salute ed università) si approfondisce il ruolo del tavolo della Conferenza stato-regioni che definisce fabbisogni e carenze nei sistemi sanitari regionali. Qualcuno dice che è proprio qui il vero problema. Nel frattempo i posti sono aumentati negli ultimi anni. Nel 2023 fra università pubbliche e private sfiorano i 20 mila (in lingua italiana, inglese e candidati di paesi non UE), dieci anni fa erano 10 mila, circa.
Qualche altro numero lo propone Agenas: nel periodo 2021/2030 i nuovi iscritti a Medicina, ad invarianza di programmazione, saranno circa 145 mila (media degli accessi programmati per gli anni 2021/2022/2023 proiettata a 10 anni, dei quali solo li 94% completerà con successo li percorso, circa 136 mila), mentre il numero dei contratti per la formazione specialistica sarà nello stesso periodo di circa 125.000, considerando i contratti finanziati dal 2017 al 2026 (in realtà il titolo di specialista sarà effettivamente conseguito da circa 103.000 medici se rimane la percentuale di non assegnazione dei contratti del 18% a cui aggiungere circa 21.000 borse per la formazione in Medicina Generale.
In sintesi ci dice Agenas, già ora si prospetta un differenziale di circa 32 mila posti tra stima delle uscite per quiescenza (113.000) dei medici attivi nel 2020 e posti di iscrizione al Corso di laurea in Medicina e Chirurgia (145.000). Mentre resta confusa la programmazione per i corsi di formazione in medicina generale, è peggio se si guarda alle borse di specializzazione. I numeri di quest’anno delle borse di specializzazione superano i partecipanti. Su 14.579 contratti statali di specializzazioni solo 11.012 ne sono stati assegnati. Circa il 25 per cento resteranno vacanti. Ci sono scuole di specializzazioni senza nemmeno uno specializzando.
Una Caporetto è stata definita, frutto di una errata programmazione e di una mancata riforma della formazione medica. Ancora una volta si fronteggiano due visioni: quella della semplificazione e quella delle riforme e della programmazione. Ovviamente restano scoperte le specializzazioni più carenti come medicina d’emergenza ecc… Per non parlare delle nuove regole dei test di ammissione (il famoso Tolc Med). Novanta minuti di tempo con tanti punti oscuri, secondo molti.
L’emergenza sanitaria di questi anni ci consiglia, insomma, di essere capaci di programmare, valutare e analizzare. Un grande sistema sanitario pubblico ed universale si difende con le riforme. Non ci sono scorciatoie. Non ci sono semplificazioni. La risposta articolata dovrebbe essere: più investimenti nel sistema universitario, più coordinamento nella programmazione, migliore trattamento dei professionisti della sanità.