80 anni fa

La storia del rastrellamento del ghetto di Roma: erano in 1000, tornarono in 16

Il 24 settembre del 1943 Himmler scrisse a Kappler: “Gli ebrei dovranno tutti essere deportati e poi liquidati”. Ci volle meno di un mese per organizzare la razzia

Editoriali - di David Romoli

15 Ottobre 2023 alle 14:30

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La storia del rastrellamento del ghetto di Roma: erano in 1000, tornarono in 16

L’ora precisa non si è mai riusciti a indicarla: forse le 5, forse le 5,30 del mattino del 16 ottobre 1943. A lanciare il primo urlo fu una ragazza che chiamavano Letizia l’Occhialona: “Oddio, i mamonni”. Ma a quel punto era troppo tardi. In giudaico-romanesco “mamonni” significava “guardie”. Quelle però non erano solo “guardie”, erano poliziotti tedeschi, circa 350, guidati da 14 SS agli ordini di Theodor Dannecker, stretto collaboratore di Kaltenbrunner, il generale che aveva sostituito il terribile Heydrich ucciso dai partigiani a Praga. Dannecker non aveva voluto essere coadiuvato da poliziotti italiani: non si fidava.

I tedeschi bloccarono le uscite del ghetto di Roma e, lista di indirizzi alla mano, deportarono le famiglie indicate. I poliziotti erano tutti riservisti: eseguirono il loro compito con burocratica efficienza ma senza eccessivo zelo: le persone che stazionavano per strada non furono toccate a meno che non portassero valigie e fossero quindi sospettati di star tentando la fuga. Gli arrestati furono 1259: 689 donne, 363 uomini, 207 bambini. Furono ammassati nel cortile del Collegio militare di palazzo Salviati in via della Lungara, di fronte al Tevere, e lì qualcuno riuscì a fuggire, persino con l’aiuto di qualche fascista.

Nel suo rapporto a Berlino, Herbert Kappler, comandante della Gestapo a Roma, scrisse: “Si poterono osservare chiaramente anche dei tentativi di nascondere i giudei in abitazioni vicine, all’irrompere della forza germanica ed è comprensibile che, in parecchi casi, questi tentativi abbiano avuto successo Durante l’azione non è apparso segno di partecipazione della parte antisemita della popolazione: ma solo una massa amorfa che in qualche caso singolo ha anche cercato di separare la forza dai giudei”.

Dopo la liberazione dei sangue misto rimasero nelle mani delle SS 1023 ebrei. La sera del 23 ottobre erano già ad Auschwitz, tutti tranne Lazzaro Sonnino, che era riuscito a buttarsi dal treno in corsa: già la mattina del 24 ottobre, 820 di loro furono portati alle camere a gas. Dei 201 giudicati abili al lavoro uscirono dai lager dove erano stati smistati dopo l’abbandono di Auschwitz solo 18 persone ma due morirono appena liberati. La comunità ebraica italiana era una spina nel fianco del Reich: l’Italia, il principale alleato, aveva varato leggi razziali già dal 1938. Però rifiutava le deportazioni nonostante le insistenze dei nazisti.

Nella zona francese occupata dagli italiani era capitato persino che le truppe italiane circondassero una caserma dove erano stati rinchiusi molti ebrei rastrellati giudicando la cosa “contraria all’onore dell’esercito italiano”. Dopo l’8 settembre l’ostacolo non c’era più. Himmler scrisse a Kappler: “I recenti avvenimenti impongono una immediata soluzione del problema ebraico”. Un paio di settimane dopo il Reichsfuhrer delle SS fu più chiaro, in una seconda lettera, del 24 settembre: “Tutti gli ebrei dovranno essere trasferiti in Germania e ivi liquidati”.

Due giorni dopo Kappler convocò il presidente della Comunità romana Ugo Foà e quello dell’Unione delle comunità Dante Almansi. Affabile come sempre spiegò se entro 36 ore la comunità non avesse consegnato 50 kg d’oro, ma niente contante prego, 200 ebrei sarebbero stati deportati. Poi ci ripensò e mise sul piatto la deportazione dell’intera comunità, specificando che si sarebbe nel caso occupato personalmente della cosa. I 50 kg d’oro furono trovati, con l’aiuto anche del Vaticano: tutti gli ebrei e anche molti cattolici portarono anelli e oggetti d’oro nella speranza di salvarsi dalla razzia. La mattina dopo i nazisti irruppero negli uffici della Comunità romana e requisirono tutti i documenti, inclusi gli elenchi degli iscritti con i relativi indirizzi che per quanto folle fosse erano stati conservati, aggiornati quanto possibile e in buon ordine.

Gli ebrei romani erano davvero convinti che i tedeschi, “persone d’onore”, avrebbero rispettato il patto. La sera prima della retata una donna, da Trastevere, arrivò di corsa nel ghetto, disse di aver saputo, dalla casa in cui lavorava a servizio, che il giorno dopo ci sarebbe stata una retata: nessuno la prese sul serio, nessuno dubitò dell’onestà dei nazisti. Il Vaticano, avvertito del rastrellamento già nel primo mattino, non disse una parola e per decenni critiche feroci si sono appuntate per decenni su Pio XII.

Giustificate solo in parte: Hitler non sarebbe stato fermato dalle proteste del papa e oltre un certo limite era pronto anche a deportarlo. Il Vaticano trattò discretamente con i nazisti, ottenne l’impegno a evitare nuove retate di massa, in una circolare segreta rivelata solo una quindicina d’anni fa ordinò agli ecclesiastici di fare il possibile per aiutare gli ebrei a nascondersi, e senza dubbio senza il riparo dei conventi il numero dei deportati sarebbe stato ben più alto. Forse Pio XII non poteva fare di più. Dei 16 deportati scampati ai lager non ne è rimasto nessuno. L’ultimo, Lello Di Segni, è morto nel 2018 a 92 anni. Quando lo presero aveva 17 anni.

15 Ottobre 2023

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