I caso della giudice

Un giudice può manifestare o no? Il dibattito su Iolanda Apostolico

Guai se non esistesse un giudice senza idee. La sensibilità non intacca l’imparzialità. Viceversa si rischia di diventare acritici strumenti del potere

Giustizia - di Livio Pepino

12 Ottobre 2023 alle 14:30

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Un giudice può manifestare o no? Il dibattito su Iolanda Apostolico

Gentile direttore.
Il suo commento di ieri all’appello di giuristi in difesa di Iolanda Apostolico contiene rilievi che sollecitano un approfondimento. In sintesi, la sua tesi è che gli attacchi e gli insulti nei confronti della giudice sono inaccettabili ma che lei e i suoi colleghi avrebbero fatto, e farebbero, bene a starsene a casa invece di andare a manifestare (nel caso specifico non – mi permetto di precisare – contro un ministro ma per ottenere l’autorizzazione allo sbarco di migranti trattenuti sulla nave Diciotti in condizioni di estrema precarietà sanitaria), perché ciò li rende uomini o donne “di parte” e, dunque, non credibili.

L’affermazione, sostenuta dall’intero establishment (a cui un po’ mi sorprende vederla allineato), è suggestiva ma, almeno a mio avviso, non condivisibile e addirittura pericolosa per l’equilibrio del sistema giustizia. Provo a dire perché. C’è, anzitutto, un dato non esorcizzabile. Non esiste – non può esistere, guai se esistesse – un giudice senza idee. Ci sono, invece, giudici tra loro diversi: per credo religioso, cultura, frequentazioni, estrazione sociale, censo, sesso, abitudini, colore della pelle (con le diverse sensibilità che queste caratteristiche portano con sé).

Ciò incide, inevitabilmente, sul loro approccio professionale e sulle loro (legittime) scelte interpretative: è così da sempre e in ogni parte del mondo ma ciò, di per sé, non ne intacca l’imparzialità, che non è indifferenza o neutralità culturale bensì estraneità agli interessi in conflitto ed equidistanza dalle parti in causa. Ma – si continua – non basta essere imparziali, occorre anche apparire tali; una cosa è avere delle idee, altro è manifestarle pubblicamente; quel che è visibile in sé (il sesso, il colore della pelle, le abitudini più naturali di vita…) passi, ma le convinzioni occultabili sarebbe bene occultarle. Ora, può darsi che la partecipazione dei magistrati alla vita sociale, culturale (e anche politica nel senso lato del termine) del Paese possa, in alcuni casi limite (peraltro assai rari e spesso montati ad arte), provocare reazioni negative in potenziali imputati, parti offese, attori o convenuti.

Ma qual è l’alternativa? L’isolamento, il silenzio e la chiusura dei magistrati in una torre d’avorio, che ne escluda, tra l’altro, la frequentazione di funzioni religiose (perché, altrimenti, gli atei li vedrebbero come avversari), l’impegno in attività solidaristiche (non solo di pericolose Ong ma anche della San Vincenzo o del Banco alimentare), l’acquisto di giornali o riviste (idonee a svelarne le simpatie politiche e culturali), la partecipazione a eventi di impegno e mobilitazione civile (per esempio contro le mafie o contro la violenza di genere o contro le morti sul lavoro) e via elencando. A meno di ritenere – ma non voglio pensarlo – che le manifestazioni precluse siano solo quelle sgradite alla maggioranza… Difficile pensare che ciò contribuirebbe a rendere la magistratura più indipendente, più adeguata al suo ruolo e più credibile agli occhi della generalità dei cittadini.

Ma c’è di più. Sino agli anni Settanta, quando ebbe inizio la deprecata esposizione mediatica di alcuni magistrati, infatti, giudici e pubblici ministeri erano prevalentemente – e non a torto – visti come i tutori acritici di una società ingiusta e disuguale: una parte (forse prevalente) del Paese li viveva come ostili, anche se – essendo la parte meno uguale della società – questa frattura non trovava audience sulla grande stampa e nel dibattito pubblico, ma solo in ambiti politici di opposizione e nelle parole di alcuni artisti capaci di dar voce a diffusi sentimenti popolari (come non ricordare canzoni di Fabrizio de André come Il gorilla o pagine indimenticabili come quelle del racconto di Italo Calvino sul disprezzo – ricambiato – del giudice Onofrio Clerici per i suoi quotidiani “clienti”?).

Così, con maggiore fondamento di quanto faccia oggi il pensiero dominante, è lecito chiedersi come potessero i meno protetti avere fiducia in quei magistrati. E non si può ignorare che sono state proprio alcune prese di posizione pubbliche e presenze nel corpo sociale di magistrati ad avvicinare alla giustizia settori tradizionalmente ad essa ostili, contribuendo a un rapporto diverso – di fiducia anziché di contrapposizione – tra ampie fasce di popolazione e i loro giudici.

Eppure il pensiero dominante non demorde e prosegue affermando che tra le cause principali della caduta di credibilità della giustizia ci sono l’esposizione mediatica e la politicizzazione (chissà perché associate) di giudici e pubblici ministeri. E l’affermazione è accompagnata dall’evocazione di un’epoca felice nella quale i magistrati erano riservati e apolitici e, per questo, autorevoli e circondati da generale consenso. Le cose non stanno così. Nel “bel tempo antico” dell’epoca liberale la magistratura era un’articolazione della classe politica di governo tout court: la maggior parte degli alti magistrati era di nomina governativa e spesso di estrazione direttamente politica con frequenti passaggi dall’ordine giudiziario al Parlamento e al Governo, al punto che, fra il 1861 e il 1900, metà dei ministri della giustizia e dei relativi sottosegretari proveniva dai ranghi della magistratura.

E la situazione restò inalterata nel ventennio fascista (con l’8 per cento dei senatori reclutato tra i magistrati), quando – come noto – nessun giudice partecipava a manifestazioni di opposizione ma la commistione tra magistratura e regime fu pressoché totale: per obbligo di iscrizione al partito e per spontaneo adeguamento, tanto da consentire al guardasigilli Alfredo Rocco di affermare, già nel 1929, che «lo spirito del Fascismo [era] entrato nella magistratura più rapidamente che in ogni altra categoria di funzionari e di professionisti». Forse uno sguardo a una storia neppur troppo lontana renderebbe i giudizi sull’esposizione pubblica dei magistrati meno tranchant.

*Ex Presidente di Magistratura Democratica

12 Ottobre 2023

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