Pianeta giustizia
Separazione delle carriere dei magistrati: cosa significa, come funziona nel mondo e qualche consiglio…
Non meno importante è l’assenza, nei progetti di riforma, di specifiche indicazioni su chi dovrebbe controllare la corretta applicazione delle priorità. Senza indicazioni a riguardo, gli ambiti di piena e incontrollata discrezionalità del PM corrono il concreto rischio di rimanere più meno come ora.
Giustizia - di Giuseppe Di Federico
Tra le previsioni dei progetti di legge costituzionale che possono essere efficaci per raggiungere le finalità della divisione delle carriere vi sono certamente quelle di reclutare separatamente giudici e PM, di creare due diversi Consigli superiori a composizione paritaria dei togati e dei laici. Molte sono le questioni che a riguardo andrebbero precisate, ma ciò può essere fatto successivamente con leggi ordinarie. Vengo ora alle proposte che, a mio avviso, non sono efficaci.
Nelle relazioni dei progetti di legge costituzionali in esame si riconosce che per rendere pienamente efficace la divisione delle carriere ed i suoi benefici effetti per il cittadino è necessario regolare la discrezionalità del PM nell’iniziativa penale, una discrezionalità che i PM ora esercitano in piena, irresponsabile indipendenza, decidendo in tal modo anche buona parte delle politiche pubbliche nel settore penale e spesso pregiudicando gravemente lo status del cittadino sotto vari profili (sociale, politico, economico, familiare e della stessa salute). Per risolvere questo problema la normativa proposta stabilisce semplicemente di far decidere dal Parlamento le priorità nell’azione penale.
Non dice chi dovrebbe elaborare i criteri di priorità, che è un compito molto complesso che non può essere svolto in Parlamento, come mostrano le esperienze dei due paesi in cui ho svolto ricerca a riguardo (e cioè Regno Unito e Olanda); non dice nulla sull’esigenza di regolare l’uso dei mezzi di indagine anch’esso di fatto ampiamente discrezionale e anch’esso di grande rilievo per la protezione dei diritti del cittadino e la sua eguaglianza di fronte alla legge (ne sono testimonianza anche le 4265 interviste da me fatte agli avvocati penalisti delle camere penali). Non meno importante è l’assenza, nei progetti di riforma, di specifiche indicazioni su chi dovrebbe controllare la corretta applicazione delle priorità.
Senza indicazioni a riguardo, gli ambiti di piena e incontrollata discrezionalità del PM corrono il concreto rischio di rimanere più meno come ora. In tutti gli altri paesi democratici a consolidata democrazia, sia di common law che di civil law, si cerca di dare soluzione a questo e ad altri importanti problemi di funzionalità, prevedendo una struttura gerarchica ed unitaria del pubblico ministero, una struttura gerarchica e unitaria con al vertice un soggetto che è politicamente responsabile di fronte al Parlamento ed ai cittadini delle politiche pubbliche nel settore penale e del corretto funzionamento della struttura organizzativa del PM.
Un soggetto che nella maggior parte dei paesi democratici è il Ministro della giustizia, in altri l’Attorney General (come nel Regno Unito), in altri un Procuratore Generale nominato pro tempore dal capo dello Stato su indicazione del Governo (come in Spagna e Portogallo). Per la verità questa soluzione nella sostanza viene evocata, a me sembra, anche nella relazione al progetto di legge costituzionale predisposto dalle camere penali nella scorsa legislatura e riproposto integralmente in tre dei progetti di riforma costituzionale ora in esame, laddove nelle relazioni, dopo aver indicato le disfunzioni derivanti dalla irresponsabile discrezionalità con cui operano i nostri PM e la pericolosità di questa discrezionalità per il cittadino, si conclude dicendo testualmente “È una discrezionalità che, a differenza degli altri Paesi democratici, viene da noi esercitata in piena indipendenza da chi in nessun modo può essere chiamato, neppure indirettamente, a rispondere delle scelte politiche .….”.
La sollecitazione ad adottare soluzioni simili agli altri paesi democratici appare evidente. Sia come sia, l’evidente sproporzione tra disfunzioni segnalate nelle relazioni e la soluzione proposta nella normativa (cioè la semplice attribuzione al Parlamento del compito di definire le priorità) ha anche una spiegazione. Nel trattare delle disfunzioni del PM nella relazione che precede la normativa sono state sostanzialmente ripresi brani e informazioni tratte da miei scritti sul PM, senza poi tenerne conto nelle proposte normative. È di un certo interesse ricordare che solo nei nove paesi europei usciti da una dittatura (fascista o comunista) si è scelto di porre al vertice della struttura gerarchica e unitaria del PM non il Ministro della giustizia ma un procuratore generale pro tempore scelto nell’ambito del processo democratico e cioè: oltre alla Spagna e Portogallo che ho già ricordato, la Repubblica Ceca, la Bulgaria, la Slovenia, l’Estonia, l’Ungheria, la Lettonia, la Repubblica Slovacca.
In Italia, invece, il nostro costituente ha scelto non solo di non assegnare quel compito al ministro della giustizia, con l’intenzione di evitare come negli altri nove paesi appena citati i guai di un passato dittatoriale, ma anche che non fosse neppure necessario, cosa unica tra i paesi democratici, avere un soggetto istituzionale cui attribuire la responsabilità politica per le politiche pubbliche nel settore penale e per il corretto funzionamento delle strutture inquirenti-requirenti.
Con il risultato che a livello operativo esse vengono di fatto delegate a, e gestite da un corpo burocratico, cioè la magistratura, che non ne porta responsabilità alcuna. Sottrarre in tal modo buona parte delle politiche pubbliche nel settore penale al controllo democratico è una grave anomalia del nostro assetto democratico che produce effetti gravemente negativi non solo con riferimento alle prospettive di una efficace divisione delle carriere ma anche ad altre disfunzioni del sistema paese.