Porte aperte ai profughi
Il grande cuore di Lampedusa: la solidarietà che è una lezione alla politica piccola e cinica
Si sono gettati in mare per salvarli, hanno aperto la propria casa ai migranti stremati e affamati. Gesti immensi di amore e di cura: chi pensa tutto il giorno alle navi militari per affondare i barchini potrà mai capirli?
Politica - di Luca Casarini
Non abbiamo ancora ben chiaro, a questo mondo, la potenza di alcune forze che si sprigionano dagli esseri umani in determinate circostanze. O anzi, è più corretto dire che non indaghiamo abbastanza quelle che non fanno notizia, quelle del bene. Quanto possano essere feroci in guerra gli uomini, lo sappiamo. Quanto siano capaci di infliggere sofferenze purtroppo, anche. Ma ad esempio, abbiamo davvero capito quanto potentissimo amore per il prossimo sia esploso nella piccola, benedetta isola di Lampedusa in questi giorni?
Da chi si è gettato in acqua per salvare persone disperate, aggrappate alle rocce di costa Tabaccara, migranti che stavano per affogare proprio quando toccavano già la terra, a chi ha aperto la propria casa per condividere un piatto di pasta con questi viaggiatori erranti del nostro tempo che giravano affamati e sperduti per i vicoli. Senza conoscerli prima, senza guardare il colore della loro pelle, con l’unica paura che tutti ne avessero avuto abbastanza dopo tutto quello che avevano passato, in terra e in mare. Beh, farebbe molto bene a tutte e tutti noi, nutrire un po’ le nostre anime guardando i volti, lo sguardo, di questi isolani. Togliendo di mezzo ogni romanticismo, e concentrandoci proprio sulla potenza, sulla forza che sta intorno a questi atti, a questo modo di intendere lo stare al mondo.
Lampedusa in questi giorni si è riempita di migliaia di piccoli gesti, visibili ed invisibili, pieni di un altro mondo possibile. Un altro modo di intendere il perché di un incontro così irrituale, per qualcuno come i turisti, forse unico e irripetibile, con quegli esseri umani che vengono dal deserto e dal mare, da paesi lontani. Ognuno di quelli che li hanno compiuti, quei gesti di cura e di amore verso chi aveva bisogno di aiuto, non pensa in cuor suo di essersi trovato lì per caso. Troppo grandi le forze che vengono messe in gioco, che si palesano, grazie ad un abbraccio con chi ha ricevuto solo bastonate fino ad allora, una bottiglietta d’acqua data in mano, con un sorriso, invece che lanciata in mezzo alla massa, come fossero animali di uno zoo.
Stava andando a cena con gli amici, Antonello Malta, vigile del fuoco, quando si è trovato davanti una decina di ragazzi del Burkina Faso che chiedevano qualcosa da mangiare. “Uno di loro si è perfino inginocchiato. Erano stremati” racconta Antonello. “Avanti ragazzi, tutti in veranda che adesso mangiamo!”. E con la madre ha organizzato una bella spaghettata. “Ma tutti i lampedusani lo stanno facendo” ci tiene a dire. Il selfie che lo ritrae insieme agli ospiti speciali, attorno al tavolo, felici, rende più di qualsiasi parola. “Servono scarpine per bambini, chi ne ha le porti in negozio” scrive Anna sulla chat di WhatsApp. Gesti immensi, che paragonati al cinismo con il quale la “politica” affronta queste sfide, davvero sembrano compiuti da giganti.
Ma non è il caso qui di fare questi paragoni: chi ha fatto e fa tutto questo perché “sente” un altro in difficoltà, non va raffrontato a chi non sente nulla. Una condizione, quella dei “ciechi e sordi” alle sofferenze altrui, così terribile da far provare pietà per loro: quando mai potranno, coloro che stanno tutto il giorno a pensare alle navi militari che devono affondare i barchini, ai consensi da prendere a seconda di quanti esseri umani sono capaci di respingere in mare o di far chiudere in un lager, provare la gioia dell’aver aiutato, dell’aver curato? È il privilegio questo, della gente normale. Che compie gesti come questi, perché gli viene dal cuore.
“Sono come noi, potrebbero essere fratelli, madri, padri, figli. Sono come noi”, ripete un ragazzo lampedusano con una bandana nera e la candela in mano, mentre partecipa alla fiaccolata in memoria di Mama Traorè, cinque mesi, annegata davanti agli occhi della sua giovane mamma proprio davanti al molo. Il sindaco di Lampedusa, Filippo Mannino, ha indetto il lutto cittadino per questa piccola preziosa vita andata persa tra le onde. “Per tutti i morti in mare, che sono i nostri morti” dice, mentre apre la processione insieme a Don Carmelo, il parroco, e a centinaia di concittadini. Il Sindaco ha anche dichiarato che “serve una Mare Nostrum, una missione militare in mare per soccorrere i naufraghi senza che siano costretti ad ammassarsi a Lampedusa, ma possano essere trasportati direttamente nei porti siciliani” e ha aggiunto “una volta si pensava che le ong fossero un pull factor, ma non è vero. Dovremo collaborare tutti insieme, chiedere il loro aiuto”.
L’amore, la cura. Se fosse questo l’approccio anche istituzionale, il raziocinio di una politica pragmatica per affrontare la questione, ne uscirebbe finalmente risanato. Si toglierebbero le scorie ideologiche che fino ad ora hanno solo prodotto caos e sofferenze. Molti migranti in questi giorni girano per l’isola. L’altra sera si sono uniti in un ballo liberatorio insieme a turisti ed abitanti, dopo l’orrore patito in Libia e in Tunisia. Si è scaricata la tensione, insieme, e la musica è una terapia speciale. L’amore e la cura. Il contrario dell’odio e della paura. “Paura che non bisogna avere la tentazione di cavalcare” dice il Presidente Mattarella. Per fortuna che c’è Lampedusa a renderci un grande paese capace di piccoli gesti straordinari.