La regia del disastro
Chi c’è dietro l’emergenza migranti di Lampedusa: la mano del governo
Dal 2016 a oggi il numero degli arrivi è costante. Ma solo quest’anno Lampedusa è al collasso. Perché? Perché il governo ha rinunciato ai salvataggi in mare e cancellato il sistema di accoglienza
Editoriali - di Luca Casarini
Le due notizie stanno insieme. La prima è che l’emergenza migranti a Lampedusa è dovuta, numeri alla mano, a una gestione folle e colpevolmente incapace della situazione, gestione dovuta alle decisioni del governo. Non al numero degli arrivi, che non si discostano da quelli del 2016, e per i quali, allora niente è “crollato”, nessun bimbo è morto appena fuori dal molo, non ci sono state cariche di polizia contro donne, uomini e bambini stremati che chiedevano acqua, come abbiamo visto questa volta.
La seconda notizia è che la Tunisia non ha autorizzato ieri l’entrata sul suo territorio alla delegazione del Parlamento Europeo, della commissione Affari esteri. Un divieto ad entrare comunicato per iscritto da Saied, a formalizzare lo scontro diretto con le istituzioni europee. Da notare che l’obiettivo della delegazione era “comprendere la situazione politica attuale del paese, sostenere un dialogo nazionale inclusivo e valutare il memorandum d’intesa firmato da Ue e Tunisia”. In concreto i parlamentari avrebbero avuto modo di parlare con membri della società civile e sindacati, esponenti dell’opposizione politica e giornalisti. Il messaggio dell’autocrazia tunisina è chiaro: non mettete il naso su come noi gestiamo il paese. Con prigionieri politici, azzeramento degli organi costituzionali, deportazioni nel deserto di migranti e campagne razziste contro gli africani neri, si capisce anche il perché.
Due notizie che intanto descrivono una debacle politica e oggettiva: la crisi a Lampedusa sulla capacità di gestione del fenomeno migratorio mediterraneo strutturale, invariato da dieci anni ad ora, e quella delle intese con la Tunisia, che prevedeva soldi in cambio di detenzioni, centri per deportati e controllo della frontiera esternalizzata. Ma cominciamo dalla prima: il disastro, anche e prima di tutto umano, di Lampedusa. Non esiste nessun aumento di numeri anomalo: dal 2016 in poi, il flusso delle persone che tentano di attraversare il mare per raggiungere le nostre coste, è costante, se ovviamente viene considerato nel periodo ciclico. Di fronte ad un fenomeno strutturale, solo la stoltezza di qualcuno può affermare che “quando c’ero io ho bloccato gli sbarchi”.
Le rotte migratorie si formano e cambiano a seconda degli ostacoli che il flusso di donne, uomini e bambini in cammino, trova sulla sua strada. Durano anni, non giorni. Vengono definite dagli studiosi “progetto migratorio” proprio per la complessità di fattori che le determinano. Non sono riassumibili nell’ultimo miglio. Un fiume arriverà sempre al mare, e quando crei delle dighe, degli ostacoli, fatti di violenze inaudite, di morte, terrore, sofferenze, organizzati per fermare “l’acqua”, prima si creano vie alternative e poi, a un certo punto, le dighe crollano e il fiume va ad abbracciare il mare travolgendo tutto. E dunque nel 2016, prendendo un anno con numeri simili a quelli di ora, a fronte di 115.00 arrivi, solo 9.440 persone sono giunte a Lampedusa.
La stragrande maggioranza infatti, furono soccorse in mare da assetti militari in grado di ospitare dieci volte i naufraghi che possono accogliere le motovedette, e trasportati direttamente nei grandi porti siciliani, ben più adatti a fornire ospitalità immediata. Il dispositivo di soccorso ricalcava l’operazione Mare Nostrum, dispiegando mezzi in maniera avanzata e non solo in servizio di “pattugliamento” a ridosso della sola zona Sar italiana. L’arretramento dei mezzi istituzionali di search and rescue, e la loro riduzione, sia dal punto di vista della tipologia dei mezzi sia nel numero, si deve a scelta squisitamente politica. Infatti, di fronte questo fenomeno strutturale, se si fossero voluti evitare decine di migliaia di morti, e l’imbuto di Lampedusa per i vivi, l’impostazione avrebbe dovuto essere quella dell’unica missione militare umanitaria messa in campo dal nostro paese, “Mare Nostrum”, decisa da Enrico Letta dopo l’orribile strage dei 384 morti annegati a mezzo miglio dall’isola.
Per capire cosa bisognava fare, se si avesse avuto a cuore le vite di altri esseri umani, basta riferirsi a quel dispositivo, che schierava allora un elicottero Sar, l’HH -139 del 15mo stormo con base a Trapani, aerei da ricognizione P-180 e Brequet e droni Predator solo per parlare del cielo. In mare la nave anfibia San Marco, due pattugliatori d’altura e due fregate classe Maestrale. I droni Predator individuavano le barche in partenza dalle coste libiche, e le navi militari gli andavano incontro per evitare che affondassero. Per evitare i morti. Ma naturalmente nessun governo si vanta di aver salvato persone, ma solo di quante ne ha respinte. La missione umanitaria fu ritirata dopo un anno, sostituita dall’operazione “Triton” di Frontex che non aveva più compiti umanitari, ma solo di controllo delle frontiere.
L’arretramento del soccorso fu poi implementato dalla messa in campo del Patto Italia-Libia nel 2017, il primo vero e tragico tentativo di strutturare le catture e deportazioni in mare da parte di una “polizia di frontiera” illegale, arruolata tra i miliziani. Questa è stata la “diga”. Il “fiume” non si è fermato, è stato solo trattenuto tra le peggiori atrocità fatte subire a donne, uomini e bambini. La dimostrazione, sperimentata e concreta, che tutto si poteva e si può fare diversamente, con la protezione della vita al primo posto e garantendo la dignità alle persone migranti e richiedenti asilo, è nella nostra storia recente delle operazioni in mare. E Lampedusa non sarebbe stata trasformata, in questo modo, in una specie di stadio di Santiago, con migliaia di esseri umani stremati, trattati peggio delle bestie.
Gli isolani, come sempre, hanno dato il massimo di umanità: si sono gettati in mare, hanno portato viveri, hanno organizzato persino spaghettate in strada per cercare di sfamare la povera gente. Il governo invece di far arrivare immediatamente almeno l’acqua, ha pensato a scudi e manganelli. Ma questo numero di arrivi è eccezionale? 150mila persone, in un paese di 60 milioni e un continente di 500 milioni? In un paese che ha speso cento miliardi di euro per la guerra in Ucraina? Il fallimento, evidente, non è solo di questo governo, che pure adesso si arrampica sugli specchi in maniera imbarazzante, da Salvini che grida al “Gomblotto!” alla Meloni che dice che con Orban vuole fermare i migranti per “difendendere Dio” (quale? Qualche divintà celtico pagana a cui offrire sacrifici umani?). Il fallimento è nelle politiche di tutta l’Unione europea, quelle sintetizzabili nel termine “Fortezza Europa”.
L’autocrate tunisino che doveva essere comprato con una valanga di soldi in cambio del trattenimento e della detenzione dei migranti, che sbatte la porta in faccia e non fa entrare nemmeno la delegazione della Commissione. I francesi che blindano Ventimiglia, i tedeschi che non accolgono più nessuno dall’Italia, la destra europea che implode su Dublino, ventimila morti in Libia per il ciclone, migliaia in Marocco per il terremoto… sono segni inequivocabili per chi li vuole vedere. Si capisce che è l’intero approccio di sistema al Mediterraneo, ad essere collassato, rivelando la sua prevedibile fragilità nell’affrontare una situazione che ci accompagnerà per i prossimi lustri.
Respingere, esternalizzare le frontiere, rendere i confini terre di violenza, violare i diritti umani, essere complici e a volte ispiratori di atrocità, non preoccuparsi di garantirlo il “diritto a restare” di cui tanto si blatera a proposito di un continente, l’Africa, depredato e colonizzato da secoli: tutto questo non ferma niente, perché le persone vogliono vivere e la storia dell’umanità va avanti. Tutto questo fa morire e soffrire un sacco di donne, uomini e bambini, ma non blocca tutti gli altri. Tutto questo ci fa vivere male, incattiviti e rabbiosi, ci inaridisce nell’anima e nel cuore, ma non blocca.
È Saied che li fa partire dalla Tunisia, per negoziare riscatti più alti? Se anche fosse vero, glielo abbiamo insegnato noi che si fa così, di cosa si lamenta lo smemorato del Papeete? È una guerra? Certo, l’abbiamo dichiarata noi contro i poveri e i migranti, colpevoli di esistere. L’unica vera drammatica, emergenza è l’assenza di riflessione sul sistema di prima e seconda accoglienza, inesistente perché completamente smantellato dalla furia dei politicanti che sono ora al governo e dall’ignavia di quelli che c’erano prima. Ma di questo nessuno di loro parla. Basta dire come fa Piantedosi che ci vogliono più carceri, più deportazioni, più reimpatrii. Basta bloccare le navi del soccorso civile “che sono il pull factor”. Continuate pure così, apprendisti stregoni.