La propaganda della premier
Meloni, è tutta chiacchiere e distintivo: parla di barche ma mai di chi annega
“Stop immigrazione” “Blocco navale”. Nel libro intervista con Sallusti, la premier ricicla slogan buoni per mascherare il dramma di chi muore
Politica - di Luca Casarini
“La versione di Giorgia” è il titolo del libro – intervista di Sallusti alla premier. Ovviamente una parte importante della conversazione, che vorrebbe essere una sorta di manifesto per la nuova destra, europeista, atlantista, del “sovranismo compatibile”, è dedicata alla questione immigrazione. Si legge, sotto traccia, sia nelle domande che nelle risposte, un velato senso di colpa verso quel mix che compone il “popolo di Giorgia”, che si capisce venga percepito dalla premier come una “creatura” ancora in fase di maturazione, da educare all’età adulta del governo, del potere, del comando.
“La guerra delle parole la sinistra l’ha vinta spesso sul tema dell’immigrazione, o no?” Chiede Sallusti. E qui si sfiora una verità. Le parole, la semantica, la narrazione, hanno distinto la destra dalla sinistra fino ad ora, non certo la sostanza. Elly Schlein e questo Partito Democratico non c’erano, ma molti cardinali democratici di allora sono ancora da conclave. La domanda ispiratrice di Sallusti coglie senza volerlo il tema dell’approccio culturale alla migrazione, che appunto in Italia negli ultimi vent’anni, ha sempre unito tutto l’arco costituzionale, escluse poche eccezioni. Le parole però, soprattutto nella società della comunicazione contemporanea, sono importanti: creano immaginari, abbattono vecchi Totem e creano nuovi Tabù.
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Le parole, in una società come la nostra, producono la realtà. Va osservato che funzionano soprattutto le parole dell’odio, quelle della rabbia e della cattiveria umana. Il Male si espande molto più rapidamente del Bene. E dunque quali sono le parole “diverse” che hanno mantenuto, se nella realtà alla fine, non vi era differenza di politiche, complice un pensiero unico che l’ha fatta da padrone nei palazzi della politica, quella alterità di cui Giorgia parla quando si riferisce alla sinistra? Le sue, quelle più usate non solo in campagna elettorale, ma nella formazione identitaria ed ideologica dei quadri e dei militanti “fratelli d’italia”, sono state “blocco navale” e “stop immigrazione selvaggia”. Blocco Navale ispirava una soluzione facile nel fermare, in un sol colpo, con un blitzkrieg o una “campagna di Grecia” per capirci, gli esseri umani che mai hanno smesso di provare a sopravvivere raggiungendo le nostre coste.
Ma quello slogan, capace di racchiudere in dodici lettere un’intera visione del mondo, rivela anche l’attenzione verso un altro accorgimento, non da poco: per essere efficace, doveva riferirsi non a donne, uomini e bambini, ma ad un oggetto, la “nave”. Un mezzo di trasporto, eludendo il problema del suo contenuto, e cioè esseri umani. La disumanizzazione del “nemico” è sapienza di guerra, importante al pari dei carri armati. Blocco navale inoltre, ha quel retrogusto di “razione k”, di operazione dei corpi speciali, quelli per capirci fatti intervenire dal ministro Crosetto lo scorso giugno, con l’abbordaggio e l’assalto alla nave Galata Seaways dove si erano rifugiati 15 poveri cristi.
Il Blocco navale era la parola giusta, per i suoi nostalgici e per i residenti dei centri urbani, o delle zone residenziali minacciati dal “degrado che portano gli immigrati”. Ma anche per i poveri, quel ceto medio costantentemente impoverito e quelli che erano già poveri e ora sono poverissimi: è sempre facile convincere la gente che la colpa sia di altri più poveri di te, invece che del “padrone”. Questo immaginario, quello dei “negri selvaggi”, è più complicato da maneggiare per chi ambisce a ricoprire cariche istituzionali, o in generale appartenere all’elites di quelli “che possono anche governare”. E dunque, anche in questo caso, la versione di Giorgia è stata “immigrazione selvaggia”.
E’ attorno a quel “selvaggia” che si gioca tutto. Selvaggi, come lo erano gli abitanti dell’Etiopia o della Libia al tempo del colonialismo italiano, quello grazie al quale un mostro sacro intoccabile come Indro Montanelli poteva stuprare la sua “sposa bambina” di dodici anni. Ma soprattutto selvaggi come quelli che dormono in stazione, selvaggi come quelli dell’appartamento sopra che stanno in dieci su due stanze e cucinano quegli intrugli dall’odore di aglio e curry, selvaggi, come quello che lava i vetri al semaforo. Selvaggi, come quelli che spacciano droga o violentano le “nostre donne”. “Immigrazione selvaggia”, venti lettere, un universo. Che può contenere quella tradizione “gloriosa” degli italiani brava gente – “aspetta e spera che già l’ora si avvicina”, e anche l’indomito grido contro “il complotto pluto giudaico massonico della sostituzione etnica”, la vera ragione della migrazione per chi, come Giorgia, intitola il capitolo del libro con “Conservare chi siamo”.
E chi siamo Giorgia? I cristiani di Papa Niccolò V, che nel 1452 scrisse la bolla Dum Diversas, in cui autorizzava e benediva la pratica dello schiavismo, oppure siamo quelli di Papa Paolo III, che nel 1537 ordinava la scomunica di tutti coloro che “indurranno in schiavitù gli indios o li spoglieranno dei loro beni”? Madre di sicuro Giorgia lo è. E allora non vi è difficoltà a credere a ciò che dice a Sallusti, quando afferma: “qualcuno pensa davvero che io starei con le mani in mano mentre un bambino affoga”?. Ma di bambini, a causa di politiche come quelle che da anni, lei e l’elites di governanti ai quali adesso appartiene a pieno titolo, ne muoiono tutti i giorni in mare e nei lager che l’Italia finanzia. L’approccio del “fermare”, bloccare, respingere, della esternalizzazione delle frontiere, che accomuna la povertà e l’insufficienza di pensiero una destra e una sinistra in Italia e in Europa, divise solo dalle parole, ha già prodotto dall’inizio dell’anno 2300 vittime innocenti in mare.
“Ma è solo fermando la tratta che si fermeranno i morti” è la versione di Giorgia. Che tratta, appunto, con i peggiori trafficanti. Ma anche qui, le parole vanno scelte bene. “Io mi batto per il diritto a non migrare, come dice Papa Francesco”. Certo, due sono i pilastri fondamentali se guardiamo al fenomeno strutturale della migrazione nel Mediterraneo: il diritto a restare e anche il diritto a migrare. Ma nella versione di Giorgia non esiste per gli esseri umani il diritto a migrare. E se il diritto a restare non è garantito? Devono restare lo stesso. Forse Giorgia era distratta e ha perso la trascrizione completa delle parole di Francesco: accogliere chi chiede aiuto, i migranti, e garantire anche il diritto a restare.
Accogliere che significa? Sallusti sprona e Giorgia risponde: “Non è il tutti dentro della sinistra”. Tutti. Altro uso strategico delle parole. Tutto il mondo? Tutta l’Africa? Per fortuna il 99,9% delle persone lotta per restare a casa sua, dove è nata, dove ha affetti e storia. Ma il “tutti” serve a creare l’immaginario. Di una invasione. È così che si risponde dai palazzi del governo alle grandi sfide del presente: creando immagini, spesso terrificanti. Alla fine Sallusti, ma la domanda era retorica, la sua risposta ce l’ha: la battaglia delle parole non l’ha vinta la sinistra. Ma chi pensa che si possano gestire fenomeni complessi con un misto di retorica e legge e ordine. “Chiacchiere e distintivo” direbbe Robert De Niro. E i diecimila morti in Libia, le migliaia sotto le macerie in Marocco, e la fila impressionante di barchini che giungono dalla Tunisia a Lampedusa, sono un segno di quanto poi, le parole stiano a zero. O si affrontano i problemi con umanità e raziocinio, oppure tutto ti torna addosso, moltiplicato mille.