Parla il capogruppo PD

Intervista ad Arturo Scotto: “Destra senza idee, teniamoci pronti”

«Hanno provato a mettere la museruola alla nostra iniziativa sul salario minimo, ma è la sola proposta in campo e centinaia di migliaia di cittadini la stanno sostenendo»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

9 Settembre 2023 alle 11:00

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Intervista ad Arturo Scotto: “Destra senza idee, teniamoci pronti”

Salario minimo, diritti sociali, una campagna per porre fine alle stragi sul lavoro. Da un’estate tumultuosa ad un autunno “caldo”. La parola ad Arturo Scotto, deputato, capogruppo PD nella Commissione Lavoro di Montecitorio, membro della Direzione nazionale del Partito Democratico.

Dal salario minimo alla manovra economica. E’ scontro frontale col governo Meloni?
La destra ormai “surfa” sulla realtà e sceglie nuovi capri espiatori. Piccona il superbonus per nascondere il vuoto di idee che emerge nella costruzione della manovra. Insegue qualsiasi fatto di cronaca – per quanto grave – per alzare le pene e distribuire qualche incarico commissariale come nel caso di Caivano. Manganella il commissario Gentiloni chiamandolo “straniero”: una cosa gravissima. Vogliono accreditare l’idea che chiunque faccia il suo mestiere in Europa in maniera seria va contro gli interessi della nazione. Ma loro non sono la nazione, sono solo una maggioranza di governo. Peraltro temporanea. La verità è che non hanno una ricetta univoca su dove collocare le poche risorse a disposizione. Anche sul cuneo fiscale cominciano a sfumare le ambizioni iniziali. Doveva essere strutturale e ora si affaccia la possibilità che sia una tantum. Doveva coprire una larga fascia di ceto medio impoverito, ma pare che restringano la platea. Trovare 10 miliardi non è facile soprattutto se ne stai buttando altrettanti dalla finestra promuovendo il concordato fiscale e alimentando i condoni.

E c’è, del tutto aperta, la partita sul salario minimo.
Hanno provato a mettere la museruola alla nostra iniziativa sul salario minimo. Usando il Cnel come via di fuga dal loro imbarazzo. Non ne caveranno molto se non uno studio approfondito che inevitabilmente non prevederà una soglia unica per legge. Ma è normale che sia così: Brunetta ha una storia prestigiosa dentro le istituzioni, conosce benissimo quali sono i confini del suo mandato e sa che non può compensare l’assenza di risposte politiche che vengono dalla destra. Non può sostituirsi al Ministro del Lavoro – la cui latitanza è davvero imbarazzante anche per i suoi colleghi di governo – e sono convinto che non lo farà. Quindi a ottobre tornerà all’ordine del giorno del Parlamento – dopo due mesi di sospensiva – la nostra legge: che e l’unica in campo. Forte di centinaia di migliaia di firme raccolte in queste settimane. Siamo davanti a un vero e proprio movimento a sostegno di una iniziativa che è qualcosa di più di un tetto sotto il quale nessuno deve lavorare. La nostra è una “riforma” che inizia a invertire la rotta rispetto alle controriforme che in questi anni hanno indebolito la contrattazione, ristretto il potere d’acquisto dei lavoratori, trasformato il mercato del lavoro in una giungla. Mi ha colpito il consenso trasversale sul salario minimo: persino Giorgia Meloni ha capito che il problema le entrava in casa. Tant’è che la convocazione agostana certifica l’ammissione di un cortocircuito anche con un pezzo del suo elettorato. Perché non c’è una famiglia dove non esista un problema di salari bassi, di precarietà diffusa, di part-time involontario. Questa chiamata a Palazzo Chigi è un successo dell’opposizione. Dimostra che se ti unisci attorno a un tema che interessa la vita materiale delle persone, la destra va in debito di ossigeno.

E’ sul terreno sociale che s’incentrerà lo scontro destra-sinistra?
La rivoluzione neoconservatrice, su cui la Meloni ha costruito il suo sfondamento ideologico prima che elettorale – va in tilt davanti al carovita, al carrello della spesa vuoto, al lavoro che non c’è. Signori con conti in banca pazzeschi sono riusciti a dividere la società distribuendo meriti e scaricando colpe. Hanno vinto perché sono riusciti a far credere a quelli che guadagnavano 1300 euro al mese che il problema era chi ne prendeva 500 e non chi ne guadagnava diecimila e pretendeva la flat tax. Riunificare chi vive del proprio lavoro è la condizione fondamentale per superare la stagione della destra. Mi hanno colpito le parole di Romano Prodi. Quando dice in maniera netta che è vergognoso che la destra pensi che 9 euro lordi sono troppi. Vivono sulla luna. E a questa domanda evitano di rispondere: per loro è democratico, civile, occidentale lavorare sotto quella cifra? Allo stesso tempo, Prodi indica la necessità di recuperare la frattura tra l’Italia che sta dentro i centri urbani e quella che è espulsa dai processi di integrazione tecnologica, infrastrutturale, educativa. Non sono solo le periferie, ma anche le aree interne. E non necessariamente lungo la faglia nord-sud. Basta un fiammifero per incendiare tutto come abbiamo visto in Francia. La missione dei progressisti deve essere necessariamente quella di ridurre la frattura, aggravata dall’autonomia differenziata, mentre la destra pensa che sia solo un problema di ordine pubblico.

La tragedia di Brandizzo. Cosa raccconta?
La tragedia di Brandizzo è figlia della svalorizzazione del lavoro. Che qualcuno pensi che questa storia si archivi con l’errore umano, che è stata la prima reazione di Salvini, sbaglia davvero di grosso. Tre morti al giorno sul lavoro sono i numeri di un paese in guerra. Significa che c’è un sistema che spinge a risparmiare sulla vita delle persone pur di avere un margine minimo di profitto. Questo vale in tutti i settori, ma quando questo interviene sulle infrastrutture pubbliche è doppiamente vergognoso. Intanto qualcuno dovrebbe chiedere scusa sulla modifica del codice degli appalti e cambiare questa vergogna dei subappalti a cascata. Il primo a doverlo fare è Matteo Salvini. Più scendi giù nella catena degli affidamenti più il taglio va sulla sicurezza. Che viene considerata un costo. E poi rafforzare i tribunali perché la stragrande maggioranza dei processi su infortuni sul lavoro vanno in prescrizione. Io sono per aprire un dibattito sulla proposta di Guariniello su una procura nazionale ad hoc, ma nel frattempo si lavori davvero a rafforzare chi indaga sulle morti bianche. Servono mezzi e serve un elemento di verità: gli ispettori del lavoro sono troppi pochi davanti alla mole di investimenti che stanno arrivando in questo paese. Se ci sono duecento miliardi di fondi europei in ballo non è accettabile che al lavoro arrivi poco o nulla in termini di stabilità occupazionale, di salari decenti e di sicurezza.

Il sindacato è sceso in campo.
Quando il sindacato si muove e genera conflitto io penso che la sinistra comincia a respirare. La manifestazione del 7 ottobre è un’occasione per tenere insieme la battaglia per il salario minimo con l’urgenza dei rinnovi contrattuali, a partire da quello del pubblico impiego, alla difesa della scuola e della sanità pubblica. Il Governo dice che sarà un corteo fondato sul pregiudizio perché la manovra ancora non c’è. Io dico che un Governo decente risponde sempre alle richieste dei sindacati di incontro e di confronto, non si mette a dare i voti alle parti sociali, dividendo i buoni dai cattivi. Ci hanno spiegato che il salario minimo era pericoloso perché rompeva con la tradizione della contrattazione – a cui si sono convertiti alla bisogna – in Italia. Salvo poi dimenticare che la contrattazione la fanno i sindacati con cui stentano ad avere rapporti quantomeno formali.

Il PD sarà della partita nelle piazze?
Io penso che laddove c’è una piazza o una raccolta di firme per una petizione o per un referendum che interviene per aumentare i diritti dei lavoratori il PD e la sinistra ci devono stare. Si è aperto un dibattito sul Jobs Act, vedremo i quesiti che Landini proporrà. Credo tuttavia che sia un dibattito che il PD ha già risolto nella campagna elettorale del 25 settembre scorso. Il segretario era Enrico Letta e nel programma di Italia democratica e progressista c’era il superamento del Jobs Act e l’indicazione di un modello simile a quello della Spagna che aboliva i contratti a termine. Non mi interessa fare polemica con Renzi. Né penso che sia il momento di aprire discussioni con il torcicollo. Non votai il Jobs Act otto anni fa, ma non ho mai pensato che chi lo ha votato sia un nemico del popolo. Tuttavia dopo qualche tempo va fatta finalmente una operazione verità: furono spostati 17 miliardi di incentivi sulle imprese che adottavano il contratto triennale a tutele crescenti. Finiti i soldi le imprese hanno ripreso a licenziare e il saldo sull’indeterminato fu negativo. Sono fonti Inps. Tant’è che il boom vero negli anni di Renzi fu dovuto al decreto Poletti – l’altro pezzo del Jobs Act – che aveva eliminato le causali per i contratti a termine che arrivarono alla cifra record di tre milioni e mezzo. Io penso che bisogna intervenire innanzitutto qui. Alla fine l’unico lascito di quella stagione resta l’eliminazione definitiva della giusta causa sui licenziamenti. E lo si misura ad esempio sulle cause di lavoro dove i tribunali scelgono sempre di più gli indennizzi economici e non la reintegra. Dunque, eliminando l’articolo 18 il lavoro ha perso peso politico, si sono sbilanciati i rapporti di forza e non c’è stato nessun effetto sulla crescita competitiva delle nostre imprese. Su questo va fatto un bilancio onesto: l’Italia non può competere sulla scala globale riducendo le tutele e tenendo i salari bassi.

In tutto questo, la presidente del Consiglio?
Giorgia Meloni ha scelto di blindarsi. E’ la sintesi dell’estate del 2023. Chiusa in un cerchio sempre più ristretto, più familiare che politico, comincia a capire che la realtà impone scelte difficili che la mettono in contraddizione con il suo elettorato e che le aprono problemi con una larga parte dei suoi alleati. La destra farà campagna elettorale per le europee sulla pelle degli italiani: tra di loro la concorrenza sarà all’ultimo voto. Si giocano la tenuta del potere, dunque diventeranno cattivi e aggressivi. Perché non ho dubbi che Giorgia Meloni apra un ciclo politico della destra, ma non è detto che esso coincida con un ciclo di governo duraturo. Fa bene Elly Schlein a costruire la trama faticosa di una coalizione nuova, adottando un antico insegnamento del PCI secondo cui toccava essere unitari per due, dentro il partito e nel rapporto con gli alleati. Perché occorre subito abbozzare un’alternativa di governo. Il tempo è meno di quello che pensiamo, la destra si incaglierà e noi dobbiamo farci trovare pronti.

9 Settembre 2023

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