La difesa del generale
“Vannacci spiega come va il mondo”: e anche “La Stampa” ha trovato il suo vate
Geloso dell’ode a Dio, Patria e Famiglia tributata da Galli della Loggia alla Meloni, il quotidiano della Fiat fa il sorpasso a destra col peana di Scaraffia al generale della Folgore “puro e coraggioso”
Editoriali - di Michele Prospero
È in corso una guerra (poco) santa tra il Corriere e La Stampa. Senza esclusione di intuizioni teoriche e soprattutto di simbologie militari, le firme storiografiche dei due fogli si contendono un posto al sole nel regimetto di Lollobrigida e Giambruno che, oltre a imporre alle pulzelle di rimanere astemie come infallibile antidoto allo stupro, intende spezzare le chele ai granchi blu per arrestare la sostituzione etnica nei mari.
L’editorialista principe di via Solferino, Galli della Loggia, in ossequio al novello potere, non solo inneggia alla rinascita del motto trino assai in voga nel Ventennio (“Dio, patria e famiglia sono valori dalla nobile storia”), ma, in una campagna per l’igiene dello spazio pubblico, propone pure di cambiare con solerzia le sigle che in maniera burocratica e truffaldina accompagnano le targhe commemorative dei caduti per mano del terrorismo rosso. E così le forze dell’ordine dovrebbero recarsi d’urgenza sulla Salaria per rimuovere l’attuale iscrizione dedicata al ricordo dell’insigne giuslavorista Massimo D’Antona, vicino al Pci, rimpiazzandola con l’indicazione perentoria “vittima della violenza comunista”, che l’interprete della memoria finalmente condivisa ha testé inciso di suo pugno.
Allo storico del Corriere, che invoca le motociclette della municipale per dare le opportune picconate alle stele marmoree, la storica della Stampa Scaraffia risponde sognando addirittura gli aerei con l’intervento dei paracadutisti. Il mondo nuovo entra anche nel quotidiano torinese, un tempo vetrina degli articoli di Bobbio e Galante Garrone. Adesso vi si può leggere che per dire le cose come stanno circa le donne, i diritti, i gay, l’immigrazione, la natura dell’uomo e delle piante, “ci voleva un generale della Folgore, che ha saputo tenere a bada l’Isis”. Quel Vannacci dalla cui penna germoglia il fiore di giudizi “ampiamente condivisi, che per di più si basano sulla realtà”. E allora via all’operazione culturale speciale.
A difesa del parà, colpito da “furore e odio” soltanto perché ha vergato “un libro coraggioso, chiaro”, “neppure omofobo e razzista”, la studiosa folgorata dalla Folgore esalta il rigore logico, l’accattivante “registro del buonsenso” (“semplice ma evidente”) che contrassegna il manoscritto. Il militare, che infastidisce persino Crosetto per l’acre effluvio reazionario e nostalgico promanante da ogni suo rigo, è venerato sulla Stampa perché attraverso immagini e tonalità tratte direttamente dal “reale” – e poi hanno pure l’ardire di ripetere che certi accademici non escono mai dalla loro Ztl – esprime nientemeno che “un pensiero anti-ideologico e questo lo rende nuovo e a suo modo attraente”.
L’“attrazione” che la storica subisce viene da lei giustificata con una frase di elevato acume scientifico, davvero inoppugnabile: lo zibaldone di pensieri vannacciano, non a caso in testa alle classifiche, “sostiene che gli omosessuali non sono normali, è vero, ma lo dice – attenzione! – non già dal punto di vista medico o psicologico, ma da un punto di vista puramente numerico: i numeri dicono indiscutibilmente che la norma statistica è di gran lunga rappresentata dagli eterosessuali. Quindi vuol dire che non rientrano nella norma. O dobbiamo forse pensare che, quando non ci piacciono, i numeri sono un’opinione?”.
Se lo storico del Corriere vara una inedita storiografia “di maggioranza”, per la quale la verità è certificata solo dal “sentire comune” ovvero dall’indirizzo prevalente che “si vede regolarmente ogni volta che si aprono le urne”, la storica della Stampa, per tenersi al passo della scienza nuova, suggerisce, ricorrendo al macigno della “statistica”, la incontrovertibile coincidenza tra l’orientamento sessuale “normale” e ciò che è maggioritario secondo i “puri numeri”, con l’orecchio sempre attento a quello “che tantissimi italiani pensano sui temi caldi di oggi”. Mentre il primo addita “la stampa che conta”, “le tv che vanno per la maggiore” assieme agli ideali che “cercano quotidianamente di inculcare”, la seconda non ha dubbi che il quadro è “ben diverso da quello che propinano quotidianamente i media”.
Chissà cosa ha in mente di impartire per far “rientrare nella norma” chi, precipitando nell’errore, ha avuto la sventura elettorale di optare per un partito di minoranza o semplicemente si discosta dalle “cose che pensano tanti e tanti” (sic) e che il giusnaturalista in uniforme ha avuto il “merito non piccolo” di verbalizzare. Questi cittadini anormali, da ricondurre “indiscutibilmente” alla retta via, appaiono comunque fortunati al cospetto di quanto l’esegeta che dà i numeri del vero afferma sui giovani alle prese con la scoperta della sessualità.
Stando al commento pubblicato sulla Stampa, questo postmoderno Giordano Bruno con la divisa sarebbe degno della medaglia al valor storiografico anche perché demistifica “l’ideologia” – in realtà si sta ragionando, più modestamente, di volontà e testimonianze personali, documentazioni mediche specializzate e sentenze: ma come, le enfatizzazioni non erano da bandire dal discorso pubblico a vantaggio di approcci “anti-ideologici”? – che “permette a dei minorenni di decidere della propria appartenenza sessuale… agli stessi minorenni cui la legge impedisce non soltanto di votare, ma anche di guidare l’auto o di assumersi qualunque responsabilità legale”.
Sono parole infinitamente piccine che qualsiasi direttore avrebbe avuto l’obbligo di cestinare per un senso di umana comprensione dinanzi a percorsi di vita spesso tragici. Non è solo il libercolo del generale a “meritare di essere preso sul serio e discusso”, anche le odierne derive destrorse degli editorialisti e dei responsabili dei grandi giornali devono far riflettere perché rivelano l’avvenuto mutamento d’epoca molto più della fascistizzazione esteriore di figure pittoresche e, all’apparenza, marginali sul piano politico-culturale.