La pellicola di Larrain

“El Conde” di Larraín scuote Venezia: “Pinochet e la sua destra sono risorti”

Il regista cileno dedica al dittatore un film in bilico tra farsa e tragedia, nella quale il generale ha le sembianze di un vampiro. “Attenti, il vento autoritario è tornato tra noi”

Cinema - di Chiara Nicoletti

1 Settembre 2023 alle 19:00

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“El Conde” di Larraín scuote Venezia: “Pinochet e la sua destra sono risorti”

“L’impunità lo ha reso eterno e il vampiro rappresenta l’eternità”, è partito da questo assunto Pablo Larraín, regista cileno, per realizzare El Conde, film in concorso alla 80esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia che immagina Augusto Pinochet vivo e vampiro in crisi esistenziale. Dopo una nuova parentesi Hollywoodiana con Spencer, film su Lady Diana con Kristen Stewart, presentato a Venezia due anni fa, Larraín torna a raccontare il suo Cile e il suo più grande villain, l’impunito generale Pinochet, che mai dovette scontare una pena per i suoi crimini contro l’umanità a causa del suo stato di salute e la morte che sopraggiunse durante il processo nel 2006.

Per il secondo giorno di Venezia 80, Larraín presenta una commedia horror ed un universo parallelo che immagina “il simbolo del fascismo mondiale” in un grande e trascurato palazzo nel sud del Cile, dopo 250 anni di vita, pronto a smettere di bere sangue umano e lasciarsi morire. Circondato dai figli fin troppo umani e desiderosi di spedirlo nell’aldilà ed ereditare finalmente le sue illecite fortune, il generale trova improvvisamente una nuova ragione per continuare a vivere, rinnegando moglie, prole e fedele maggiordomo vampirizzato (Alfredo Castro). È proprio Castro in conferenza ad elogiare il genio di Larraín per aver trovato la chiave giusta per raccontare il male che quest’uomo ha fatto al suo paese ed al mondo: “Sono passati 50 anni dal colpo di stato di Pinochet e la genialità di Pablo è stata narrare questa storia come farsa politica e critica”.

“Non si poteva evitare la satira e nemmeno la violenza – interviene Larraínaltrimenti si rischiava di provare compassione o empatia per un vampiro di 250 anni interpretato da un attore di 90 anni (Jaime Valles). Era cruciale per noi che non accadesse”. L’idea del film è venuta a Pablo Larraín durante la pandemia, quando si stava rendendo conto che il suo Cile stava subendo ancora una volta il fascino del male, dell’estrema destra. “Pinochet non era mai stato rappresentato al cinema o in tv – ricorda Larraín – ci sono persone che sostengono ancora oggi che non dovrebbe essere raccontato in un film”. La chiusura del cerchio per il regista di Neruda e NO – I giorni dell’Arcobaleno è arrivata con la scelta dell’interprete di Pinochet, il 90enne Jaime Vadell che “ha costruito il personaggio e trovato un modo per manifestarne il potere e la violenza. Il fascismo, come sappiamo, incomincia con la paura per poi diventare violento”.

Il decimo film di Larraín è tanto universale quando mostra la banalità del male, per citare Alfredo Castro che a sua volta cita Hannah Arendt e tanto cileno quando sottolinea, attraverso il continuo lamentarsi del generale, quanto i cileni siano ingrati. Per Augusto Pinochet l’affronto da parte del popolo cileno è stato quello di venir chiamato ladro e non certo un assassino. Orgoglioso Pinochet ricorda quasi con passione e crudeltà chirurgica di aver reso un servizio al Cile, uccidendo migliaia di comunisti in primis ed esseri umani in secundis, permettendo al paese di prosperare: “Per Pinochet è valido il concetto per cui annientare il proprio avversario politico attraverso torture, rapimenti, violazioni dei diritti umani come lui fece con migliaia di cileni è accettabile. Ciò che non è accettabile è essere chiamato ladro. Questo mi ha portato all’idea di mostrare il generale depresso nel film proprio a causa di questa “maldicenza”.

Forse non tutti sanno ( ma Larraín lo racconta per bene) che Pinochet ha avuto moltissimi conti bancari sparsi per il mondo sotto molti falsi nomi e la sua famiglia ne ha giovato a lungo. La giovane attrice Paula Luchsinger interpreta una monaca che, incaricata di liberare il generale dal diavolo che ha in corpo con un vero e proprio esorcismo, viene invece poi catturata dal male. Si unisce al dibattito sul film proprio parlando del coinvolgimento della chiesa cattolica durante la dittatura: “la Chiesa, a quel tempo, ha preso due direzioni distinte, da una parte lottò per salvare quante più persone possibili e dall’altra invece lucrò sulle vittime. Allo stesso modo il mio personaggio ha delle contraddizioni”. La domanda più importante per Larraín e il cast, in questo secondo giorno di Festival, è cosa si aspetta dal suo Cile dopo la visione del film (distribuito da Netflix anche in Italia).

Glielo chiedono soprattutto dalle fila spagnole, comparando Augusto Pinochet a Francisco Franco:è molto difficile prevedere la reazione dei cileni alla pellicola, mi aspetto tantissime opinioni diverse. Personalmente credo che Franco e Pinochet condividano il piacere per la malvagità e la scarsa intelligenza”. Aggiunge Gloria Münchmeyer interprete di Lucia, la moglie di Pinochet “c’è chi odierà il film e chi lo amerà, non ci saranno reazioni intermedie”. Segue infine Paula Luchsinger con la speranza: “considerando che in Cile la figura di Pinochet sta tornando in auge così come l’estrema destra, questo film è necessario per mostrare ai cileni ed al mondo il pericolo a cui stiamo andando incontro, affinché non accada di nuovo”.

A Pablo Larraín in concorso a Venezia 80 si affiancano due attesissimi film: Ferrari di Michael Mann e Dogman di Luc Besson. Il primo, lo si intuisce dal titolo, racconta attraverso il volto e l’impegno recitativo di Adam Driver, Enzo Ferrari in un anno cruciale di vita e azienda, il 1957: “Molti dei conflitti della sua vita collidono in quell’anno: i problemi con l’azienda, il lutto per il figlio Dino. Tutto quello che ha a che vedere col futuro arriva ad un punto di svolta, questi sono conflitti universali: la perdita, l’amore, l’ambizione; tutto viene compresso nella vita di Ferrari in modo melodrammatico” descrive il regista di successi come L’ultimo dei Mohicani.

Con un titolo uguale a quello del film di Matteo Garrone del 2018, Luc Besson veste Caleb Laundry Jones dei panni di un ragazzo cresciuto in cattività da un padre violento che lo tiene rinchiuso con i mastini da combattimento, per renderlo più forte. “Ho cercato di riflettere su che cosa puoi diventare se ti accade una cosa del genere, crescere in una gabbia in mezzo ai cani” spiega Besson, tra i registi non proprio da tutti graditi al Lido per via delle pendenti accuse di molestie sessuali. “Diventi un terrorista o Madre Teresa? Cosa può accaderti? Ho cercato di immaginare che cosa ne potesse essere della sua vita”. Un secondo giorno così carico a Venezia non lo si vedeva da tempo, non rimane che attendere l’arrivo, per la terza giornata di concorso, del sovversivo Yorgos Lanthimos con Povere Creature.

1 Settembre 2023

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