Il portavoce regionale
Caso De Angelis: tutti indignati per Bologna, tutti zitti sui “mercanti ebrei”
Sul caso De Angelis, responsabile della comunicazione della Regione Lazio, la stampa ha fatto due pesi e due misure. Evidentemente l’insubordinazione al verbo togato è più grave rispetto alla propaganda nazista
Politica - di Iuri Maria Prado
La stampa quotidiana di ieri non era così interessata all’argomento: si trovava pochissimo, in generale; e proprio nulla, in particolare, sulla stampa di destra. E sì che di Marcello De Angelis (mentre scriviamo è ancora al suo posto di responsabile della comunicazione della Regione Lazio) ci si era occupati con toni ed enfasi buoni per un affare di Stato, per giorni e giorni, dopo che aveva detto la sua sulla strage di Bologna e sull’innocenza, per lui certa, dei condannati.
Gli si contestava, non solo da sinistra, di aver bestemmiato la sacralità di una sentenza, di aver vilipeso le vittime della strage, di aver revocato in dubbio la fondatezza di una condanna “antifascista”, cioè quella che senza prove ha sigillato la responsabilità stragista degli imputati. Ettari di editoriali, indignazione incolonnata in apertura e poi dentro, per pagine e pagine di requisitorie e richieste di dimissioni, e ovviamente servizi televisivi e approfondimenti e maratone sul caso agostano del militante nero che la pensa storta sulla verità indiscutibile di quel processo.
Poi vien fuori un’altra notizia riguardante questo signore, ma non si tratta più del delitto di difesa dell’innocenza di un condannato, non si tratta più dell’eretica negatoria di una perfezione giudiziaria: si tratta della documentata attività di propaganda neonazista e di apologia di stragismo cui il medesimo signore si abbandonava tempo fa, componendo e cantando la deliziosa canzoncina sulla schiena ariana costretta a sopportare “il dominio di una razza di mercanti”, gli ebrei che dicono Shalom mentre “ci violentano le donne”: tutto lo scempio da cui ci protegge “il mitra di Settembre Nero” (che graziosamente intitola il componimento poetico-musicale).
Al che De Angelis impasticcia qualche riga di presunta giustificazione (“chiedo scusa” proprio non gli è venuto di dirlo) e butta lì che ha “radicalmente cambiato la visione della vita”, mentre di rincalzo circola un recentissimo augurio social del medesimo De Angelis che nel suo radicale cambio di visione brinda nello splendore di una lampada solstiziale cara alle tradizioni celebrative di Heinrich Himmler. E che cosa succede? Non succede niente.
E dopo essere stata sull’attenti per giorni e giorni avverso la rimonta nera rappresentata da un giudizio interdetto su una sentenza assai discutibile, dopo aver strepitato h24 per la legittima manifestazione di un convincimento diverso sulla responsabilità assai improbabilmente provata dei condannati per l’attentato di Bologna, ecco che quella stessa stampa si fa leggera e sorvolante e di questo De Angelis praticamente non si occupa più: perché un conto è se si tratta di attaccarlo (tanto) o di difenderlo (poco) quando se ne discute la compostezza davanti alla maestà dell’inquisizione democratico-giudiziaria, ma metterla giù dura per la canzunciella sul dominio della razza di mercanti e stupratori (che poi un po’ è vero, suvvia) e sulla valentìa del terrorismo antisemita, insomma, vediamo di non esagerare. Il giusto peso alle cose, diamine.
E a noi pare che questa timidezza sul fronte delle nuove acquisizioni, chiamiamole così, a proposito del caso di questo De Angelis sia pessimamente qualificata sia che si guardi da una parte sia che si guardi dall’altra. Quelli che in teoria, per avversa collocazione politica, dovrebbero tanto più energicamente insorgere, hanno tutt’al più biascicato qualcosa; e quelli che in pratica, per contiguità politico-editoriale, avrebbero ragione di sentirsi in dovere di prendere le distanze le hanno prese così tanto che neppure si sono sentiti.
Evidentemente per gli uni è più grave l’insubordinazione al verbo togato ed è più scandalosa la difesa di chi si ritiene innocente, rispetto a un esercizio nemmeno adeguatamente ripudiato di propaganda nazista; e per gli altri è più fastidioso passare per amici o sodali di un contestatore di sentenze che per noncuranti osservatori delle licenze antisemite in casa propria.