Il decreto del Guardasigilli
La legge secondo Nordio: se sei povero non puoi difenderti
Il ministro impone nuovi limiti di lunghezza degli atti: ottantamila caratteri per cause inferiori a 500mila euro. Al di sopra, uno fa quello che gli pare
Giustizia - di Iuri Maria Prado
Con un decreto dell’altro giorno il ministro Nordio ha emesso un regolamento che stabilisce fino a che punto e in quale misura i cittadini possono far valere i propri diritti per iscritto: massimo ottantamila caratteri, ma proprio quando si tratta di inquadrare la causa, insomma all’inizio, quando bisogna spiegare al giudice di che cosa si tratta.
Per le fasi successive del processo, penitenza a scalare, cinquantamila, diecimila. E cara grazia. Dove mai possa reperirsi un argomento decente per considerare giustificata e costituzionale una simile follia, che calpesta la libertà del cittadino di difendersi a proprio giudizio, senza un giudice o un ministro con il potere di sorvegliarne le eventuali verbosità, è un mistero. E ad attenuare il carattere smaccatamente autoritario e dirigista della misura non sta certo la previsione che consente di spiegare al giudice che lo spazio non basta, e ne occorre di più perché la faccenda è complessa: che in pratica è l’implorazione con cui il suddito chiede al sovrano di potersi difendere compiutamente, e quello valuta, vede un po’ come gli gira, chissà che non si tratti di qualcuno che pensa di poter annoiare il tribunale con troppe pagine su inutili fregnacce.
Ma il gioiello eminente nel castone di questa giustizia a frasi predeterminate è quest’altro: che quel contingentamento del diritto di difendersi e di esporre le proprie ragioni mica è indiscriminato, nossignori, vale solo per le cause di valore inferiore ai cinquecentomila euro. Al di sopra, uno fa quello che gli pare, sbatte sul tavolo del giudice diecimila pagine di fesserie in colletto bianco e quello zitto, perché la tutela di un dritto milionario non vorrai davvero restringerla agli ottantamila caratteri. L’idea che un’ingiustizia enorme, bisognosa di un contrasto difensivo abbondante, possa riferirsi anche a un caso apparentemente minuto, non sfiora i redattori di questi spropositi normativi.
Se un pensionato deve difendere dalla predazione illegittima di una multinazionale il proprio diritto su un orto di qualche metro quadrato, di poche migliaia di euro di valore, è giusto che si becchi il bavaglio di Stato, che scriva poco e non rompa le scatole. Se invece la causa è “ricca”, liberi tutti. Il fatto che poi queste limitazioni riguardino non solo le difese dei cittadini, ma anche gli atti dei magistrati, insomma le sentenze, non è segno di equanimità legislativa ma: è solo l’altra faccia di un’idea di giurisdizione “a punti”, a slide, a crocette; l’idea che la giustizia, per essere efficiente, debba ridursi a un’attività compilativa di formulari, uno, due, ics, la giustizia-totocalcio nell’attesa che l’intelligenza artificiale consenta al magistrato di dedicarsi alle cose importanti, cioè gli stipendi e le ferie e i convegni contro la politica corrotta, altro che queste balle dei diritti dei cittadini.
Non cito neppure, anche se non è un dettaglio, il palese svilimento che questa bella novità rappresenta per il ruolo dell’avvocato, ridotto a un questuante da educare ai riti della giustizia a difesa calmierata. Lasciamo perdere questo profilo della questione, che pure c’è. Quel che allarma è il ricasco, appunto, sulle libertà e sui diritti del cittadino, che se non ha cause a sei zeri da far valere è esposto al riduttore ministeriale che gli taglia la richiesta di giustizia, e buonanotte al principio costituzionale secondo cui la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo. Diventa un diritto a numeratore di caratteri, diciamo.