Il testo arriva a Montecitorio

Riforma della giustizia di Nordio, bene solo sull’abuso d’ufficio

Dalle intercettazioni all’appellabilità delle sentenze di assoluzione, il pacchetto di norme è assai deludente Riuscirà il Guardasigilli a evitare che anche il solo punto fermo del suo testo venga annacquato?

Giustizia - di Tiziana Maiolo

20 Giugno 2023 alle 16:30 - Ultimo agg. 20 Giugno 2023 alle 21:30

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Riforma della giustizia di Nordio, bene solo sull’abuso d’ufficio

Per ora la chiamiamo solo “riforma Nordio”, nell’attesa che il suo percorso legislativo, che dovrebbe prendere avvio in questi giorni alla Camera, ci consenta di considerare questo pacchetto di riforme sulla giustizia qualcosa di epocale, di storico, fino ad andare a sfiorare i principi di quella sognata da Silvio Berlusconi. O quella capace di incidere in modo così profondo sull’ordinamento giudiziario da impedire che si verifichino nuovi “casi Tortora”.

Intanto dobbiamo già esercitarci in qualche atto di fede, pur senza trascurare gli aspetti positivi e già concreti (almeno per ora) come l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, o più suggestivi come il segnale politico e culturale che si dà ai naviganti. Messaggio che arriva a segno, viste le reazioni. Quelle prevedibili dei pubblici ministeri e dei loro referenti politici, come il Movimento cinque stelle, e giornalistici. E quelle meno scontate dei vertici del Pd, a partire dalla segretaria Elly Schlein ancora ieri nella Direzione del partito, allineati nonostante i tanti sindaci di sinistra si siano sgolati, in questi mesi, a implorare di fidarsi di chi combatte tutti i giorni con il tremore della mano ogni volta che si deve dare un’autorizzazione.

Qualcuno, come Matteo Ricci, primo cittadino di Pesaro, ha tenuto la posizione con coraggio. Tra gli altri è partita la gara a precisare. Persino uno come Pizzarotti, un po’ ultimo arrivato, prima denuncia di esser stato inquisito ben sette volte, e sette volte sbattuto impunemente sui giornali, ma poi si fa prendere dalla timidezza e dice “l’abuso d’ufficio va rivisto”. Rivisto? Ma se una norma non incide sui comportamenti, tanto che nel 95% dei casi il titolare dell’accusa viene sconfessato con proscioglimenti o assoluzioni, a che cosa serve? La regola oggi esistente, che viola ogni principio dello stato di diritto per la sua inconsistenza e indeterminatezza, è come una medicina che non cura, meglio archiviarla.

Promosso quindi il ministro guardasigilli per essere riuscito almeno su questo punto, a schivare tutte le insidie dei “salvo che”, quelle dei doppi e tripli binari che discriminano i soggetti nei cui confronti la norma dovrà essere applicata. In genere i “salvo che” riguardano i processi celebrati nel sud d’Italia, dove spesso si pensa più ad annusare l’ “odore di mafia” che a perseguire i responsabili di singoli reati. Aver avuto il coraggio di impugnare la forbice e fare “zac” sul reato di abuso d’ufficio ha indubbiamente accresciuto la popolarità del ministro Nordio, soprattutto tra gli amministratori locali.

Ma la domanda ora è: riuscirà il guardasigilli a districarsi nell’aula di Montecitorio e poi a Palazzo Madama tra i vari trucchi e trucchetti che parlamentari più esperti di lui metteranno in atto per annacquare l’unico punto fermo della riforma? Il terreno è stato già disseminato di ordigni pronti a esplodere qua e là. E la premier Giorgia Meloni, di cui già nei giorni scorsi qualcuno ha sussurrato fosse scontenta del frontale del ministro con il sindacato delle toghe, gli consentirà di tener fermo il punto o si presterà a quelle mediazioni che alla fine renderanno inutile la riforma? E il Csm, che Carlo Nordio ha indicato come unico interlocutore in toga (parziale), studierà davvero minuziosamente le proposte di riforma o si porrà di traverso, in solidarietà con il partito dei pm. Sarà difficile, dato che il vicepresidente laico Fabio Pinelli, professione avvocato, si è già un po’ sbilanciato in favore di cambiamenti delle intercettazioni e contro le gogne.

E veniamo agli atti di fede. Ci sono due punti fondamentali di questo primo pacchetto, che ci paiono fortemente deludenti, la riforma del sistema delle intercettazioni e quello sull’inappellabilità da parte del pm delle sentenze di assoluzione. Rispetto alla prima c’è già un impegno del governo a metterci nuovamente le mani nel prossimo autunno, quando ci sarà la seconda fase delle riforme, all’interno di cambiamenti più radicali. Poiché è incomprensibile il perché non si sia potuto agire da subito, visto che il ministro ha rivelato di averci lavorato per sei mesi, non resta che l’atto di fede. E anche la sottolineatura delle più spinose questioni che la riforma lascia insolute, come rilevato da due soggetti tutt’altro che ostili, il professor Sabino Cassese e il Presidente dell’Unione Camere penali Giandomenico Caiazza.

Perché vengono colpite solo le intercettazioni non pubblicate nell’ordinanza del gip, perché non vengono toccati i criteri di selezione e i reati per cui sono previste, né lo scandalo di origliare i colloqui tra indagato e difensore, né è prevista una sanzione più severa per i trasgressori. E’ questo il punto su cui si saldano ancor più, se possibile, i corporativismi dei pm e dei cronisti-tartufi come quelli che credono consista in giornalismo investigativo il fatto di fare da passacarte di atti giudiziari. Per ora è stato loro sottratto solo un bocconcino, vedremo quanto prelibato non appena Marco Travaglio e i suoi scudieri metteranno in atto la loro “disobbedienza civile”. Una bestemmia al ricordo di quella radicale e pannelliana. E intanto, atto di fede, da parte nostra.

Ma se si potesse declinare un sostantivo al superlativo, c’è un altro punto del pacchetto-giustizia targato Nordio, rispetto al quale dovremo fare un atto di “fedissima”, quello sull’inappellabilità da parte del pm sulle assoluzioni degli imputati. In effetti la riforma c’è, ed è importante come segnale, ma non sulla sua effettiva praticabilità. Perché riguarda i cosiddetti reati bagatellari, quelli così poco significativi da far registrare uno scarsissimo numero di ricorsi. Era forse questa la riforma più importante, quella che avrebbe potuto por fine al vero accanimento con cui certi pm perseguitano e si incaponiscono su determinati bersagli, al punto di andare a svolgere personalmente il ruolo della pubblica accusa anche in appello.

Quasi fossero condottieri in guerra cui, con l’assoluzione in primo grado dell’imputato, fosse stata sottratta la preda. E’ vero che questa è una riforma che presenta difficoltà, perché il tentativo della Legge Pecorella del 2006 è già fallito dopo la stroncatura della Corte Costituzionale che ha invocato il principio della parità delle parti nel processo. Ma senza pretendere di saperne di più degli alti magistrati della Consulta, almeno una domanda vorremmo porla: siamo proprio sicuri che la forza dello Stato sia uguale alla debolezza di un uomo spesso trascinato in ceppi? E che il nostro processo che all’inizio della riforma del 1989 era solo “tendenzialmente” accusatorio, abbia ancora, soprattutto dopo una serie di interventi proprio dell’Alta Corte, la caratteristica della parità tra accusa e difesa? Intanto atto di fede, anzi di ”fedissima” nell’attesa, addirittura, di una riforma costituzionale.

Pur dando poi, di massima, un giudizio positivo sul ritocco al traffico di influenze e sugli interventi sulla custodia cautelare (interrogatorio del gip prima dell’arresto, e decisione collegiale sul medesimo), non possiamo che una volta di più lanciare un allarme. Attenti al doppio binario, perché è molto facile aggiungere un’aggravante e uscire lesti lesti dall’ambito della riforma. E sappiamo quanti pm abituati a fare i giocolieri con la procedure ci sono in Italia. Vediamo ora, e verificheremo fin dai giorni prossimi, la saldezza del governo, e come si comporteranno le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, davanti a una riforma che parte già bifronte e provvisoria. Approveranno il testo di Carlo Nordio o lo peggioreranno? La terza ipotesi non è contemplata.

20 Giugno 2023

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