Il concorso esterno per mafia

Meloni attacca la Cassazione nel silenzio di Anm e sinistra

Dopo il polverone sollevato dalle parole di Nordio sul concorso esterno, la premier annuncia una legge per insegnare il mestiere agli ermellini troppo garantisti in materia di criminalità organizzata.

Giustizia - di Valerio Spigarelli

22 Luglio 2023 alle 12:00

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Meloni attacca la Cassazione nel silenzio di Anm e sinistra

Si diceva, una settimana fa, del gioco delle parti che gli attori del dibattito della giustizia stanno mettendo in scena. Ognuno con la sua maschera e il Pirandello di Uno, nessuno e centomila come ispiratore. Ogni tanto, però, la maschera cade e la realtà che si intravede è quella, sconcertante, che va avanti da decenni.

Dopo l’annuncio di una riformuccia da parte del governo, quella sull’abuso di ufficio per intendersi, al ministro Nordio gli scappa di dire che il concorso esterno forse andrebbe messo a punto, visto che, così come viene interpretato in giro per l’Italia, pare carente del requisito minimo di una norma penale, cioè la tassatività. Il fatto, in realtà, è che il proliferare di mafie autoctone che le Procure della Repubblica hanno sponsorizzato dalla Valtournanche in giù per l’Italia (…nonostante alcune sonore legnate della Corte di cassazione, Mafia capitale docet) ha messo in mano a molti magistrati non proprio a loro agio con la giurisprudenza di Piazza Cavour – che sul tema ha molto scritto – una figura di reato che si presta ad applicazioni fantasiose.

E allora Nordio, che deve pur sempre dimostrare a quelli che ancora lo apprezzano di essere un vero liberale e che non ha paura a dire il vero, dichiara che il reato va tipizzato, anzi, meglio, che va creata una figura autonoma da intestare “concorso esterno in associazione mafiosa”. Di per sé la cosa non è affatto scandalosa, anche se l’Accademia per bocca alcuni suoi autorevoli membri sostiene che non è necessario, e che il problema non è il concorso anomalo – categoria nota da sempre a cui il concorso esterno appartiene – ma semmai l’applicazione che se ne fa. In ogni caso, letteralmente, l’idea non sottrae nulla al poderoso arsenale antimafia dello Stato, semmai aggiunge. Sta di fatto che appena Nordio ne parla si scatena l’inferno.

Alla stampa italiana maggioritaria, che capisce di norme come chi scrive la filologia romanza, non sfugge che sulle parole del ministro si può montare un bel capitolo di panna montata sul rinnovato scontro tra politica e magistratura e subito grida allo scandalo. Del resto, il tema mafia & politica ha appena avuto un ritorno di fiamma per l’iniziativa dei Pm fiorentini che non hanno trovato di meglio che – si fa per dire ma il succo è quello – imputare Berlusconi pure da morto di aver ordinato le stragi del ‘94. Scoppia il putiferio e le prefiche dell’antimafia sciupano articolesse ed intere puntate di talk estivi per denunciare l’ennesimo attacco alla religione giudiziaria del tempo.

All’ex Pm di Venezia gliene dicono di tutti i colori, fino ad arrivare a sostenere che sotto sotto è un amico delle coppole. Nessuno che gli dica la cosa giusta, per la verità, e cioè che neppure lui medesimo, quando fu a capo di una commissione ministeriale incaricata di riscrivere il Codice penale, era riuscito nell’impresa e l’aveva abbandonata. Il problema è che la stampa italiana quando si tratta di giustizia non studia, tifa. Ovviamente la faccenda è succosa anche per il partito delle Procure, che è il maggior azionista del sindacato dei magistrati, al quale non pare vero di cogliere l’occasione al volo per sistemare alcune questioni aperte. E così il capo della DNA, Melillo, critica una sentenza della cassazione che, secondo lui, ha aperto le porte del carcere ai mafiosi in base ad una interpretazione bislacca del concetto di criminalità organizzata.

È la solita storia, quando gli ermellini fanno il mestiere loro in senso garantista in tema di mafia – e non è che succeda tutti i giorni – c’è sempre qualcuno che tira loro la giacca. I governativi che contano, Meloni e soprattutto il suo personale cardinal Mazzarino, il sottosegretario Mantovano, prendono la palla al balzo e si buttano sotto l’ala dell’antimafia doc, dicendo non solo che Melillo ha ragione, ma che provvederanno loro a sistemare la cosa con un bel decreto-legge che insegni ai giudici di Piazza Cavour come vanno interpretate le norme di riferimento. Legge di interpretazione autentica, si intitola la cosa. Una cosa che neanche il capo della DNA ha chiesto, ma nel governo Meloni sono più realisti del Re.

Anche su questa vicenda la verità è un concetto relativo. In realtà la sentenza di cui sopra ha applicato un insegnamento che è stato ribadito più volte, anche dal massimo consesso della Cassazione, cioè il collegio a Sezioni Unite, quindi la sentenza di cui parlano, che peraltro è vecchia di un anno, non solo non è scandalosa ma non è neppure una novità, perché la cosa va avanti da tre lustri. Circostanza, quest’ultima che, dovrebbe, perlomeno, far dubitare dell’utilizzo dell’invocato strumento legislativo del decreto-legge che, come dovrebbero sapere tutti quanti (ma a questo punto è lecito dubitarne) può essere applicato solo in casi di straordinaria urgenza. Urgenza che non si intravede per una giurisprudenza pluriennale.

Per la verità anche l’invocata legge di interpretazione autentica appare uno strumento delicato, visto che nel campo penale è stata applicata pochissime volte. Una delle quali, all’epoca di Andreotti e del giudice Carnevale non ancora protagonisti in veste di imputati, servì a risbattere dentro alcuni mafiosi che la Cassazione aveva liberato. All’epoca la cosa fu ritenuta un po’ stravagante dal punto di vista costituzionale, non tanto per l’uso di una legge di interpretazione contro la giurisprudenza – cosa che la nostra Corte Costituzionale, che su certi temi è più permissiva della CEDU, ha sempre ritenuto possibile – quanto per il fatto che imponeva per legge ai giudici di rimettere in galera alcuni imputati senza margini di discrezionalità.

Il che, in effetti, era un po’ troppo e fu poi eliminato nella legge di conversione del decreto-legge. Andreotti, anni dopo, indossata la casacca da imputato, esibì in tribunale quella bruttura per dimostrare di non essere mafioso e poi, una volta scampata la condanna, poco prima di morire ammise che si trattò di un “golpe.. un vero sopruso”. Ora, uno si aspettava che, a difesa della autonomia della magistratura che l’ANM invoca ogni cinque minuti, anche quando si tratta delle ferie o dei bagni separati nei tribunali, il sindacato dei magistrati scendesse subito in campo contro l’invasione della politica, facendo almeno notare che il presupposto di una legge di interpretazione autentica, cioè perlomeno un contrasto di giurisprudenza, in questo caso non si registrava; oppure che lo strumento del decreto legge sembra invocato a sproposito, perché la cosa va avanti da anni e l’urgenza non c’è; o magari che in campo penale una legge d’interpretazione autentica, che comporta in automatico la propria retroattività, pare un po’ delicata.

Invece nulla, passano i giorni e il sindacato dei magistrati tace, non spreca neppure una riga per difendere, in ogni caso, l’autonomia interpretativa della corte di legittimità, che di mestiere cura la nomofilachia, cioè proprio l’interpretazione uniforme delle norme. E chissà se a Piazza Cavour ne saranno stati contenti. Silenzio che si assomma a quello dei commentatori “di sinistra”, sempre pronti a scendere in campo contro gli attentati all’autonomia e all’indipendenza dei magistrati quando si tratta di separazione delle carriere ma sordi e ciechi quando il coro lo canta l’antimafia mettendo sul banco degli imputati anche la Cassazione se emette sentenze sgradite.

Al riguardo si ricordi l’aggressione al PG Iacoviello nel caso Dell’Utri di anni fa. In effetti la sinistra sembra un po’ frastornata in tema di giustizia. A vederla da lontano fa un po’ pena, ricorda le riprese degli spettatori di tennis che voltano la testa da una parte all’altra ritmicamente. Vedi le urla sull’abrogazione dell’abuso di ufficio smentite dai suoi stessi sindaci. Si arriva così alle cerimonie in ricordo delle stragi di Capaci e via D’Amelio, Meloni dà del politico incompetente a Nordio – che nel frattempo ha già fatto una mezza abiura dicendo che la sua idea è solo sua e non impegna il governo – e dichiara di non aver nessuna intenzione di riformare il concorso esterno. Visto che c’è il/la Presidente dice pure che la grande riforma, quella della separazione delle carriere, è una roba complicata che va rinviata alla seconda fase della legislatura. Copione già visto con i governi di destra all’epoca di Berlusconi.

Nel frattempo, come avevamo puntualmente previsto, Nordio è costretto dagli eventi a rimangiarsi anche il Decreto Ministeriale licenziato il 4 luglio che imponeva il deposito attraverso il portale unico della giustizia di un nutrito elenco di atti, tra i quali appello e ricorso per cassazione. Al riguardo in effetti la situazione è tragicomica, visto che il portale, che dovrebbe essere pronto all’uso il 20 luglio, in realtà non funziona. Per questo il ministro licenzia un nuovo DM, il 18 luglio, con il quale si dispone un doppio binario, prorogando le modalità di deposito in vigore precedentemente in parallelo con la novità.

Solo che il nuovo DM lo scrive un emulo di Heller, quello di Comma 22, e ne esce fuori una cosa per metà incomprensibile che legittima un paio di presidenti di tribunale di provincia ad emanare una circolare secondo la quale la vecchia maniera di depositare, via PEC, in uso dai tempi del COVID, non vale più, mentre il presidente di quello di Torino consiglia, per non saper né leggere né scrivere, di depositare sia nell’una che nell’altra maniera. La situazione è grave ma non seria, però l’incertezza cade su di un pezzo del codice di procedura che regola cose delicate, come gli appelli e i ricorsi, per cui c’è il rischio che gli avvocati non riescano a depositare gli atti e gli imputati finiscano in galera anzitempo.

Raccogliendo il coro di imprecazioni che si alzano dagli studi dei penalisti italiani, qualche Consiglio dell’Ordine, quello di Milano per esempio, chiede al ministro di fare chiarezza. Speriamo ci riesca, e che non lo costringano all’autodafè anche su questo. In attesa prende posizione il sottosegretario Sisto che traduce in italiano il testo e rassicura tutti dando l’interpretazione autentica pure del DM, visto che ora la cosa va di moda. Questa la cronaca dell’ultima settimana nel campo della Giustizia, dove anche Pirandello è stato superato e il film somiglia sempre più ad Helzapoppin, indimenticabile capolavoro degli anni 40 che inaugurò il filone demenziale di Hollywood.

22 Luglio 2023

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