Le contromisure degli azzurri
Tajani sfida Meloni e si avvicina a Renzi: Forza Italia e l’asse con Italia Viva
Dal concorso esterno alla scomunica di Nordio: la linea forcaiola di FdI crea insofferenza nel partito. Che ora culla un asse con Iv per pesare di più
Politica - di David Romoli
Non lo ammetterebbe nessuno ma a Forza Italia quella risposta ruvida di Giorgia Meloni su Marina Berlusconi non è piaciuta affatto. Inutilmente irrispettosa ma soprattutto volutamente sprezzante: “Non è un soggetto politico. Con tutto il rispetto non è parte della coalizione”. Stia al suo posto. Ma con Marina “al proprio posto” deve stare l’intero partito azzurro.
Nella sua lettera al Giornale la primogenita di Berlusconi, aveva reclamato, tra le righe ma nemmeno troppo, il rispetto degli accordi presi con suo padre, cioè una riforma radicale della giustizia. Pur non rappresentando direttamente alcun soggetto politico, inoltre, è il numero uno dell’azienda che tiene letteralmente in vita Forza Italia. Liquidarla come ha provato a fare Giorgia Meloni è una dimostrazione palese dell’insofferenza con la quale la premier malsopporta le insistenze del partito azzurro per andare avanti con quella riforma.
Anche la brutalità con la quale la premier ha messo a tacere Nordio è per i forzisti un elemento sospetto. L’ex magistrato è stato eletto nelle liste di FdI ma il semaforo verde di Berlusconi alla sua nomina era arrivato, molto faticosamente, solo dopo un colloquio diretto tra i due, nel quale il futuro guardasigilli aveva assunto impegni precisi in materia di giustizia. Esautorarlo quasi completamente come ha fatto Meloni da Palermo (e in realtà anche da prima) significa chiarire che quegli impegni sono morti con Silvio Berlusconi. Forza Italia, il partito più debole della coalizione, dovrà accontentarsi delle briciole: scampoli di riforma molto lontani dalla rivoluzione che sognava il fu Cavaliere.
Se i forzisti masticano amaro ma senza esternare la loro irritazione, Matteo Renzi invece non la manda a dire: “La risposta di Meloni non mi è piaciuta. Marina Berlusconi ha il mio rispetto politico e umano per quel che ha scritto. Quello che sta accadendo a Firenze è enorme”.
Il leader di Italia viva non si espone a caso. Sa perfettamente che proprio la giustizia può diventare la bomba a orologeria nella maggioranza. Se la Lega non ha alternative alla coalizione di centrodestra, e dunque rappresenta una minaccia limitata, il partito creato da Berlusconi è nella situazione opposta. Se si staccasse dal resto del centrodestra catalizzerebbe quasi tutti i frammenti vaganti nella galassia centrista e avrebbe quanto meno buone possibilità di dar vita a un polo centrista al quale spetterebbe poi la funzione pregiata di ago della bilancia.
Tajani ne è consapevole, nel discorso d’investitura alla carica di segretario di Fi ha parlato del suo partito più o meno come del vero terzo polo. Un Terzo polo però che lui immagina davvero, e lo ripete anche in privato, inscindibilmente legato alla destra: l’uomo non è tipo da guizzi o da azzardi. Le cose potrebbero però cambiare se proprio Fi venisse lasciata a becco asciutto nella ripartizione delle grandi riforme concordata alla vigilia del voto: il premierato per FdI, l’autonomia differenziata per la Lega, la riforma della giustizia per Fi. Potrebbero rovesciarsi soprattutto se a prendere male la sterzata di Meloni fosse proprio Marina, che non sarà un soggetto politico ma sul soggetto politico propriamente detto, il partito azzurro, ha più voce in capitolo di chiunque altro, Tajani incluso.
I toni sbrigativi della premier rivelano probabilmente quanto lei stessa si renda conto di trovarsi tra due fuochi. Rispettare il patto con Fi significherebbe entrare in conflitto con una parte del suo elettorato, molto più giustizialista che garantista, con le sue più intime convinzioni, con la magistratura e con il Colle. Affossare quell’accordo comporta però rischi alti. Il balletto di questi giorni sull’abuso d’ufficio è la dimostrazione plastica delle difficoltà in cui si trova e sempre più si troverà la premier. A Mattarella ha promesso modifiche significative della legge che al momento abolisce seccamente il reato d’abuso. Poi però la maggioranza ha bocciato seccamente la direttiva europea, non ancora in vigore, che chiede a tutti i Paesi dell’Unione di armonizzare le leggi contro la corruzione. Un voto, appoggiato anche dal Terzo Polo, che è suonato come smentita, se non addirittura “tradimento”, delle promesse fatte al capo dello Stato.
Più che di tradimento si tratta però di tenersi in equilibrio tra necessità opposte. Votare a favore della direttiva avrebbe significato dover poi ridimensionare drasticamente la legge sull’abuso d’ufficio, arrivando subito ai ferri corti con Fi. Limitarsi a pochi ritocchi, come sembra indicare il voto contro la direttiva europea, vorrà dire in compenso riaprire un conflitto con la magistratura e anche con il Quirinale. Non si tratta di una contraddizione episodica: si ripeterà d’ora in poi ogni volta che si tratterà di mettere mano alla giustizia. In questa lacerazione mira a incunearsi, dopo le elezioni europee, Matteo Renzi.