L'addio a 94 anni
Chi era Milan Kundera, un filosofo in prestito alla letteratura
La gioventù nel partito comunista, l’espulsione per il sostegno alla Primavera di Praga, l’esilio in Francia e il romanzo che gli diede fama planetaria, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”: una vita di paradossi
Cultura - di Graziella Balestrieri
“In fin dei conti, che cosa è rimasto di quel tempo lontano? Per tutti, oggi, quelli sono gli anni dei processi politici, delle persecuzioni, dei libri all’indice e degli assassinii giudiziari. Ma noi che ricordiamo dobbiamo portare la nostra testimonianza: non fu solo il tempo del terrore, fu anche il tempo del lirismo! Il poeta regnava a fianco del carnefice. Il muro dietro il quale erano imprigionati uomini e donne era interamente tappezzato di versi, e davanti a quel muro di danzava. Ah no, non era una danza macabra. Lì danzava l’innocenza! L’innocenza col suo sorriso insanguinato” (da La vita è altrove).
È il rimpianto, la sopravvivenza, la consapevolezza del legame inossidabile tra il bene e del male, l’oblio, il dolore e poi il sentirsi straniero nella propria terra e dalla propria terra dover fuggire. Assistere di persona, nella propria gioventù, toccare con mano e vedere con i propri occhi il dolore di una Praga strozzata nella sua voglia di libertà e insanguinata dalla dittatura comunista, di quella famosa Primavera di Praga, divenuta poi motivo di scontro e divisione per la sinistra, il sentimento principale a cui si aggrappano in tutti i modi, i romanzi e gli scritti di Milan Kundera, lo scrittore, il drammaturgo e poeta, nato a Brno il 1 aprile del 1929 in quella che allora era la Cecoslovacchia, scomparso oggi all’età di 94 anni a Parigi.
Sin da giovane si era iscritto al partito comunista ma venne espulso prima nel 1950 e poi nel 1970, quando nel 1968 si schierò con il movimento riformista della Primavera di Praga, perdendo così il suo posto di insegnante e non riuscendo più a pubblicare nella sua nazione. Dal 1979 a seguito della pubblicazione de Il libro del riso e dell’oblio a Kundera fu tolta la cittadinanza cecoslovacca, che gli verrà restituita solo al compimento dei suoi 90 anni… Nel frattempo nel 1975 si trasferisce insieme alla moglie in Francia, che sarà la sua nuova casa e dove finalmente tornerà a sentirsi un uomo e uno scrittore libero e nel 1981, grazie al presidente Mitterand, riesce a divenire a tutti gli effetti cittadino francese e da allora comincerà a scrivere nella lingua della nazione che lo aveva adottato e salvato, anche se la sua terra di origine resterà sempre nel suo cuore e nella sua anima, tanto che nel 2022 ha donato i suoi libri e il suo archivio privato alla biblioteca regionale di Brno, sua città natale.
Figlio di Ludvik Kundera, famoso pianista e direttore dell’Accademia musicale di Brno, Milan sin da bambino studia musica e si laureerà nel 1958 presso la Facoltà di Cinematografia dell’Accademia delle arti drammatiche e musicali di Praga, divenendo poi docente in Letterature comparate. Ma la musica rimarrà sempre argomento presente nei romanzi e negli scritti di Kundera non solo come tematica ma anche sotto forma di struttura dei romanzi. In tutte le sue opera sono presenti le variazioni, il contrappunto, il leitmotiv come a seguire una composizione musicale. La sua prima opera però, datata 1953, L’uomo è un grande giardino insieme a L’ultimo maggio del 1955, segnano l’esordio di Kundera come poeta, mentre il 1962 lo vedrà invece nelle vesti di drammaturgo con l’opera I proprietari delle chiavi. Nel 1963 invece avviene il debutto come scrittore con i racconti di Amori ridicoli – e con quelli che verranno dopo, Secondo quaderno di amori ridicoli nel 1965 e ancora Terzo quaderno di amori ridicoli nel 1968.
Ma è con il romanzo Lo scherzo del 1967, che Milan Kundera si rivela al mondo della letteratura ironizzando in maniera forte sulla società cecoslovacca e sulla situazione politica. Amore, rimpianti, oblio dell’essere umano, ricerca dell’amore e degli aspetti più cupi di questo, condizione di leggerezza e pesantezza dell’animo, del vissuto; queste sono le tematiche che Kundera porterà sempre con sé, incastrandole nel momento storico che lui ha vissuto sulla sua pelle. È l’anno 1984 che vede Kundera diventare scrittore conosciuto in tutto il mondo con il romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere che narra la storia di quattro personaggi che si intrecciano Tomas, Tereza, Sabina e Franz ma non esattamente come avveniva nelle Affinità di Gothe.
Il romanzo introduce un nuovo concetto di Kitsch e Kundera lo fa attraverso un simbolico, spregiudicato, profanatorio e demitizzante ragionamento su Dio e la merda. “Senza alcuna preparazione teologica, spontaneamente, capivo quindi già da bambino l’incompatibilità tra la merda e Dio e, di conseguenza, anche la discutibilità della tesi fondamentale dell’antropologia cristiana secondo la quale l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. O l’uno o l’altro: o l’uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio e allora Dio ha gli intestini, oppure Dio non ha intestini e l’uomo non gli assomiglia… La merda è un problema teologico più arduo del problema del male. Dio ha dato all’uomo la libertà e quindi, in fin dei conti, possiamo ammettere che egli non sia responsabile dei crimini perpetrati dall’umanità. Ma la responsabilità della merda pesa interamente su colui che ha creato l’uomo”.
È il regime comunista per Kundera a portare avanti questo esempio, comunismo che dal bene punta a raggiungere il meglio e si nasconde palesemente alla fine dietro a una facciata. Ed è quello che una delle protagoniste non può sopportare del regime, quel disaccordo estetico, che non la porterà a disprezzare gli edifici vecchi e decadenti ma disprezzerà la facciata che viene fatta brillare. L’insostenibile Leggerezza dell’essere offre al lettore il binomio tra leggerezza e pesantezza, lo scontro, l’invertire delle parti, la domanda affannosa – leggerezza o pesantezza? E siamo sicuri che la leggerezza sia meno schiacciante di quello che consideriamo pesante? E cosa può e riesce a liberarci da questo dubbio? Per Kundera tutto diventa una eterna contrapposizione tra leggerezza e pesantezza: “Il fardello più pesante ci opprime, ci piega, ci schiaccia al suolo. Ma nella poesia d’amore di tutti i tempi la donna desidera essere gravata dal fardello del corpo dell’uomo. Il fardello più pesante è quindi allo stesso tempo l’immagine del più intenso compimento vitale. Quanto più il fardello è pesante, tanto più è reale e autentica. Al contrario, l’assenza assoluta di un fardello fa sì che l’uomo diventi più leggero dell’aria, prenda il volo verso l’alto, si allontani dalla terra, dall’essere terreno, diventi solo a metà reale e i suoi movimenti siano tanto liberi quanto privi di significato”.
Sabina e Tomás si rispecchiano nella leggerezza, mentre Franz e Tereza nella pesantezza, e poi ci sono ci sono anche i deboli e i forti. Tutto a voler sottolineare un’eterna contrapposizione. E per Kundera chi in genere viene ritenuto debole non è detto che alla fine non possa ottenere quello che vuole. La leggerezza, se portata agli estremi, rischia in ogni modo di schiacciare totalmente la pesantezza, ecco perché il titolo sembra un ossimoro ma nella realtà e nel pensiero di Kundera non lo è. Ambientato durante la Primavera di Praga verrà pubblicato in Repubblica Ceca solo nel 2006!
Restio ad ogni forma di apparizione pubblica, Kundera viene spesso nominato come possibile vincitore del Nobel per la Letteratura ma non ne avrà mai l’onore o il non onore (dipende dai punti di vista) ma ebbe lo stesso numerosissimi riconoscimenti come nel 1973 il Prix Médicis, 1978 il Premio Mondello, 1981 l’American Common Wealth Award alla carriera, nel 1985 il Jerusalem Prix, nel 1987 il Premio di Stato austriaco per la letteratura europea, nel 1987 il Nelly-Sachs-Preis, nel 1990 la Legion d’onore della Repubblica francese, nel 1991 l’Independent Foreign Fiction Prize, nel 1994 il Jaroslav-Seifert-Prize, nella 1995 la Medaglia al Merito della Repubblica Ceca, nel 2000 il Premio Herder, nel 2001 il Gran premio di letteratura dell’Accademia francese.
“Ma era poi così importante che il progresso esistesse o no, che il surrealismo fosse borghese o rivoluzionario? Era così importante che avesse ragione lui o avessero ragione gli altri? L’importante era essersi unito a loro. Disputava con loro, ma provava nei loro confronti un’ardente simpatia. Non li ascoltava neanche più e pensava a una cosa soltanto, che era felice: aveva trovato un gruppo di persone in cui lui non esisteva come figlio di sua madre o come compagno di classe, ma come se stesso. E si disse che si può essere totalmente se stessi solo quando si è totalmente in mezzo agli altri” (La vita è altrove). Forse è in La vita è altrove romanzo del 1973 pubblicato in Italia nel 1992 che è racchiuso tutto il pensiero di Milan Kundera: chiedersi davvero che cosa ha importanza, chiedersi davvero se vale la pena avere ragione, se l’essere borghesi o rivoluzionari alla fine non siano le facce di una stessa medaglia che gettiamo in aria affidandoci ad un destino che, se preso a calci prima o poi ci si ritorce contro.
Cosa è importante davvero affinché l’uomo possa ritenersi felice? Qual è la condizione per essere se stessi? Solo in mezzo agli altri. Se ne va all’età di 94 anni, nella terra che lo aveva reso libero, Milan Kundera che per tutta la vita però è rimasto incatenato a quella terra che gli aveva dato rimpianto, dolore, frustrazione, amore e odio, leggerezza e pesantezza, tutte le contrapposizioni che sono state il fulcro della sua letteratura.