Il vittimismo della premier

L’opposizione prima che seria e responsabile, deve abbattere il governo

Questa maggioranza non ha capito che l’opposizione deve opporsi...

Politica - di Iuri Maria Prado

12 Luglio 2023 alle 16:00

Condividi l'articolo

L’opposizione prima che seria e responsabile, deve abbattere il governo

La specie di vittimismo con cui Giorgia Meloni lamenta di essere “presa di mira” lascerebbe perplessi anche se non insinuasse che a tenere sotto tiro il governo sarebbero i soliti “poteri costituiti”, che è il modo per dire “poteri forti” in versione populistica appena ingentilita.

Quella lamentazione, infatti, denuncia l’idea che il governo – pena un inevitabile pregiudizio degli interessi della Nazione – abbia il diritto di operare nella temperie normalizzata di un Paese alternativamente in applauso o in silenzio: senza cartelli di protesta quando la presidente del Consiglio chiama la stampa all’“evento” della propria demagogia proibizionista; senza reazione della controparte quando un rappresentante di maggioranza strilla che i deputati in visita ai carcerati fanno il gioco dei mafiosi e dei terroristi; senza che le curve destre siano molestate nel loro sacrosanto diritto di fischiare come allo stadio quando prende la parola un deputato nero; senza che vadano incontro al meritato destino i quotidiani spropositi ministeriali sulle politiche demografiche che devono prediligere il “ceppo italico”, sui protocolli di accoglienza dei migranti misurati in base al “carico residuo”, sul servizio pubblico radiotelevisivo da orientare “a promozione della natalità”, e via di questo passo.

Questi della maggioranza, se avessero confidenza con le tradizioni anglosassoni cui alcuni di loro dicono di ispirarsi, saprebbero che l’opposizione, prima che essere “seria” e “responsabile”, come scioccamente si dice, ha un dovere prioritario: contrastare il governo e, possibilmente, abbatterlo. E saprebbero, questi sprovveduti, che, nell’adempiere a quel dovere, l’opposizione soddisfa un’esigenza generale, una necessità che va ben oltre gli interessi della parte sconfitta alle elezioni: e cioè l’esigenza che il potere, chiunque lo detenga, sia contestato, conteso, tenuto in perenne condizione di revocabilità.

Il che ovviamente non significa che il governo debba esporsi di buona grazia alle critiche e agli assalti della controparte: significa tuttavia non passarli come altrettante prove di attentati anti-nazionali, che è invece ciò che puntualmente dà la sensazione di fare la maggioranza quando è chiamata a rendere conto dei propri errori. Ed è, questa, un’ulteriore e bruttissima inflessione del portamento governativo, segno evidentissimo (se va bene) di un formidabile difetto culturale o forse (è più probabile) di una caratteristica veramente connaturata: la scelta, tipicamente autoritaria, con cui il potere oppone alle contestazioni non la propria responsabilità esecutiva, ma il presunto interesse comune.

Il tutto con questo doppio corollario bugiardo: che l’interesse del governo e l’interesse comune coinciderebbero, e che contestare il governo significherebbe arrecare danno all’interesse comune. Ora, questo governo non impianta un’autocrazia perché si comporta in quel modo. Ma le autocrazie si comportano in quel modo.

12 Luglio 2023

Condividi l'articolo