Lavoro e schiavitù

“Sorry we missed you” di Ken Loach, ecco perché il salario minimo serve

In “Sorry we missed you” il cineasta racconta la storia di Ricky, ispirata a quella di Don Lane, rider diabetico del Dorset morto nel 2018: a causa del suo lavoro non aveva avuto il tempo di fare il check-up

Cinema - di Chiara Nicoletti

9 Luglio 2023 alle 14:30

Condividi l'articolo

“Sorry we missed you” di Ken Loach, ecco perché il salario minimo serve

Nel gennaio del 2018, in Inghilterra, Don Lane, un corriere diabetico del Dorset, morì a causa di una crisi dovuta alla sua condizione, per non aver potuto fare i check-up necessari al controllo della sua patologia. La ragione? Non poté lasciare il lavoro per paura di subire le pesanti multe in caso non fosse riuscito a coprire un turno di consegne.

Questo caso fu di ispirazione per l’allora 83enne regista, attivista e scrittore Ken Loach e il suo sceneggiatore da quasi trent’anni, Paul Laverty, nel portare alla luce Sorry, we missed you, uscito in Italia nel gennaio pre-pandemico del 2020. Il film racconta la storia di Ricky ed Abby, una coppia di quarantenni che per cercare di sbarcare il lunario, far sopravvivere la famiglia e non finire stritolati dai debiti, si sottomettono a impieghi che gli fagocitano la vita. In particolare, Ricky, finisce nelle fauci di una compagnia di spedizioni (Amazon sotto mentite spoglie) che lo assolda al grido di due delle più grandi bugie della cosiddetta gig economy: “diventa imprenditore di te stesso” e “non lavori per noi ma lavori con noi”.

Per chi non avesse visto il film, Ken Loach come sempre non la manda a dire e mostra tutta la discesa agli inferi del Ricky che crede di lavorare per se stesso, a partire dai momenti più degradanti come quello di dover fare pipì in una bottiglietta per risparmiare qualche secondo sulla tabellina di marcia, trucco a sua volta appreso da chi è diventato ancora più bravo a privarsi anche dei bisogni fondamentali pur di guadagnare . Perchè in questi giorni viene in mente questo “vecchio” film di Ken Loach, anche se a Cannes, lo scorso maggio, abbiamo già avuto il piacere di visionare il suo nuovo lavoro, The Old Oak?

Semplice: in Italia si sta discutendo del salario minimo, se sia giusto considerarlo necessario come sostiene chi ha occhi per guardare il mondo o sia invece solo un ultimo baluardo della vecchia Europa sindacalista e il neoliberismo è ancora la soluzione giusta. Loach, nel 2019, parlava di un’Inghilterra all’indomani della vittoria schiacciante di Boris Johnson, che aveva appena dichiarato il sì definitivo all’uscita dall’Unione Europea. Il suo film però, pur parlando di un altro paese, è un’opera chiave per provare a spiegare, con esempi concreti, il perché la garanzia di un salario minimo, pur nella contrattazione collettiva, ha senso.

L’onorevole Giorgia Meloni ha da poco dichiarato che “noi in Italia abbiamo la contrattazione collettiva. Quando noi introduciamo un salario minimo per legge, quel parametro diventa aggiuntivo e quindi di maggior tutela, o sostitutivo e quindi di minore tutela? Io sto cercando di fare una cosa più concreta”. La prima risposta a questo, guarda caso, l’hanno data a suo tempo proprio Loach e Laverty commentando il loro film: “Quando c’è un partito di destra al governo, nei momenti di crisi, ti dicono sempre: “siamo tutti sulla stessa barca, combattiamo insieme”. Vi ricordate David Cameron? Era il nostro Primo Ministro e questo del siamo tutti nella stessa situazione era il suo motto. Basta nominare l’austerity per confutare questa affermazione, come se veramente avessimo sofferto tutti le stesse pene. Continuano invece a succedere le stesse cose, un Jeff Bezos diventa l’uomo più ricco del pianeta mentre la gente comune lavora al suo posto”.

Sorry we missed you racconta la trappola del credere che i sindacati, le ferie, il congedo per malattia siano specchietti per le allodole e vecchi porti sicuri, che il lavoro autonomo, tutto sommato, garantirebbe comunque. Loach mostra la fregatura: facciamo la conoscenza di Ricky (Ricky (Kris Hitchen) nel momento in cui ne ha avuto abbastanza di lavorare per altre persone ed è deciso a guadagnare di più. Affascinato dall’idea di essere “padrone del proprio destino”, di fatto si vende l’impossibile per potersi comprare un van e diventa schiavo di uno scanner a tempo e multe per ogni consegna fatta fuori il tempo massimo dettato dalla compagnia per cui, teoricamente, dovrebbe lavorare autonomamente. “Ci hanno propinato l’idea che il mondo del lavoro sta cambiando e che quelli che prima erano considerati i lavori sicuri, ora stiano svanendo”, chiosa Loach.

“La gig economy ha creato una nuova forma di sfruttamento della forza lavoro, la pretesa dell’essere imprenditore di se stessi quando invece, come in questo caso, si è semplicemente un driver che lavora per una compagnia che non si prende responsabilità – continua il regista. Se qualcosa va storto, l’errore lo paga il lavoratore e questo vale per un driver o per un’operatrice socio-assistenziale autonoma come è Abby, la moglie di Ricky nella pellicola. Sono le aziende private a gestire queste persone senza nessuna ripercussione, sfruttandole e guadagnandoci”. Su l’Unità dello scorso 6 luglio 2023, Cesare Damiano non solo ha illustrato il perché bisogna sostenere la proposta di legge del Pd e delle altre forze di opposizione sull’introduzione del salario minimo legale ma ha chiesto anche il rafforzamento di questa misura con una riforma della contrattazione e un taglio strutturale del cuneo fiscale.

Per chi? Per il 20% della forza lavoro che è oggi priva di garanzie, i Ricky e gli Abby di Italia che Ken Loach ha rappresentato così realisticamente ed amaramente. Si potrebbe rispondere, come hanno fatto in tanti, che i governanti smetterebbero di essere così entusiasti della gig economy e gli zero-hour contract (i contratti ad orario flessibile) se si trovassero loro nella condizione di dover rinunciare ai loro stipendi fissi, alle ferie pagate, alle pensioni in cambio di un lavoro “autonomo” così estenuante da non poter accedere neanche a una pausa gabinetto o a un salario minimo.

Questa affermazione è tanto vera quanto forse ovvia, quindi l’unica maniera di comprendere è visualizzare, grazie a Ken Loach, chi sono le persone che si possono salvare e salvaguardare grazie al salario minimo. Se non vogliamo pensare a Ricky ed Abby come persone singole, forze lavoro slegate da un contesto, per empatizzare meglio ha senso collocarle dentro un caposaldo delle politiche di destra, la famiglia. Quel 20% di persone di cui scrive Damiano e che Loach e Laverty raccontano, sono quelle che quando sono a lavoro fingono un sorriso ma che a casa, per quel poco che ci saranno, ci arrivano stanche, digiune, tese, preoccupate: la pressione aumenta e il senso di tutto si perde. La distanza emotiva oltre che fisica tra genitori e figli aumenta in modo esponenziale fino a diventare siderale. Si lavora per lavorare e non si lavora per vivere.

La flessibilità è solo un modo diverso di definire lo sfruttamento? Lo capiamo ogni minuto di più nello scorrere dei 102 minuti del film, recuperabile, per chi non l’avesse visto, su Rakuten, Chili, Prime Video e TimVision. Oltre al salario minimo, la soluzione per continuare a combattere questa situazione è, citando ancora una volta Ken Loach, la rabbia e l’indignazione, la protesta organizzata e pianificata che diventa rivolta collettiva verso delle condizioni di lavoro inumane che il nostro sistema continua a portare avanti sulle pelle di chi non ha più la voce per far sentire le sue ragioni.

9 Luglio 2023

Condividi l'articolo