I numeri
In Iran 387 esecuzioni in sei mesi, ma il regime ne rende note solo 43
Sono almeno 387 le esecuzioni compiute in Iran negli ultimi sei mesi. Ma il regime ne ha rese note solo 43. Si vergogna?
Esteri - di Elisabetta Zamparutti
È notizia di questi giorni la pubblicazione del rapporto semestrale di Iran Human Rights sulle esecuzioni compiute in Iran. Ne hanno contate, dal 1° gennaio al 30 giugno, 354. Un aumento del 36% rispetto l’anno precedente. Sono state 206 le esecuzioni compiute per droga, il che segna un incremento del 126% rispetto al 2022. Il 20% (71) delle esecuzioni compiute in questa prima parte dell’anno riguarda, secondo IHR, appartenenti all’etnia baluci, tra le più coinvolte nelle manifestazioni esplose dopo la morte di Masha Amini. Cinque sono i partecipanti a manifestazioni giustiziati in questa prima parte del 2023.
Anche Nessuno tocchi Caino fa il suo conteggio. Per noi i numeri sono più elevati: almeno 387 le esecuzioni compiute in questo primo semestre. Un numero che diviso per i giorni complessivi ci dice che la media persiana è di due impiccagioni al giorno. Ma c’è un altro dato che fa riflettere. L’esiguità del numero di esecuzioni fatte conoscere dal regime attraverso le sue fonti ufficiali: 43. Mi viene allora in mente la parola vergogna che in persiano si scrive e si dice “Bisharaf”. Perché l’omertà sul reale numero di esecuzioni esprime, secondo me, la vergogna che lo stesso regime prova rispetto a ciò che fa. Vergogna come senso di fallimento, di madornale e irrimediabile errore, di inadeguatezza rispetto alle sfide del nostro tempo. La vergogna è qualche cosa di profondo, oserei dire di identitario.
Il regime si vergogna di ciò che fa, lo tiene nascosto, perché è vergognoso. Ma lo fa. Perseguita fasce socialmente deboli e reprime minoranze. Oltre ai baluci, quella araba, curda e azera. E poi, stato totalitario qual è, non sopporta il concetto di “doppia nazionalità”. Quest’anno ha giustiziato due uomini con doppia cittadinanza. Il primo, a gennaio: Alireza Akbari, inglese/iraniano, ex vice ministro alla Difesa, condannato a morte per essere stato ritenuto colpevole di “corruzione e di aver danneggiato la sicurezza interna ed esterna del Paese passando informazioni di intelligence”; il secondo in maggio, si chiamava Habib Chaab, era svedese/iraniano, accusato di “terrorismo” e “corruzione in terra”. Però riesce a usare il sequestro di ostaggi stranieri come merce di scambio.
L’ultima volta è accaduto circa un mese fa quando l’Iran ha liberato l’operatore umanitario belga Olivier Vandecasteele, che era stato condannato per spionaggio in cambio, da parte del Belgio, della consegna di Assadollah Assadi, condannato per terrorismo. Assadi, diplomatico all’ambasciata iraniana in Austria, era stato arrestato nel 2018 in Belgio insieme ad altri due iraniani con l’accusa di aver organizzato un attentato terroristico durante un raduno a Parigi di un gruppo iraniano di opposizione in esilio, il Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI) che comprende i Mojaheddin del Popolo Iraniano. Nel 2021 Assadi era stato condannato a 20 anni di carcere.
Su questo una riflessione si impone. Perché chi sia l’Iran lo sappiamo. Ne conosciamo la vergogna che ci viene raccontata dalle esecuzioni capitali che contiamo giorno dopo giorno, che ci racconta il rapporto semestrale di Iran Human Rights. Il problema è se sappiamo chi siamo o cosa vogliamo essere noi, Paesi cosiddetti democratici. Penso a quanto di recente accaduto in Francia dove, dopo una lunga conversazione telefonica tra Macron e Raisi, suo omologo iraniano, viene deciso che una manifestazione indetta a Parigi per il primo luglio dal Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, con migliaia di dissidenti provenienti da tutto il mondo, viene sospesa. La decisione è chiaramente politica. Il pretesto sono le ragioni di sicurezza.
La realtà è che un Presidente fa all’altro un favore nel momento in cui gli chiede di non fornire armi, droni alla Russia. Il divieto a manifestare arriva in un momento in cui non erano ancora esplose in Francia le rivolte dopo la morte del diciasettenne. Sta di fatto che 24 ore prima si pronuncia un tribunale amministrativo e dà ragione agli oppositori iraniani al regime. Secondo il tribunale, il diritto a manifestare prevale sulle paventate ragioni di sicurezza che avevano indotto le forze dell’ordine a porre il divieto. La manifestazione si tiene senza alcun problema. Scoppia anche la rivolta a Parigi che quella sì ha posto dei problemi. Ed ecco che, domenica scorsa, di fronte ai disordini esplosi per le strade della Francia, l’Iran l’ha invitata a “porre fine al trattamento violento del suo popolo” e ha esortato i propri cittadini a evitare viaggi non essenziali in Francia. Mi viene da dire: che vergogna!