Le alleanze in Europa

Tajani contro Salvini: “Con nazi e Le Pen non ci stiamo”

Il capo dei padani risponde a muso duro: “Chi non sta con la destra fa solo un favore ai socialisti”. Grane in vista per Meloni: confinarsi nell’estrema destra o abbracciare Schlein in Ue?

Politica - di David Romoli

4 Luglio 2023 alle 18:30 - Ultimo agg. 5 Luglio 2023 alle 09:37

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Tajani contro Salvini: “Con nazi e Le Pen non ci stiamo”

Botte da orbi nella maggioranza. Un Tajani così bellicoso non lo si era mai visto. Niente a che vedere con la prudenza di FdI che all’affondo di Salvini, la proposta di riproporre in Europa la stessa maggioranza che governa l’Italia, aveva risposto glissando ed evitando di prendere una posizione chiara.

Il leader di Fi, che per la prima volta sembra essere davvero tale, non chiude le porte: le spranga e le blinda. Parla, e ci tiene a segnalarlo, “anche come vicepresidente del Ppe” e il suo no è senza appello: “Per noi è impossibile qualsiasi accordo con AfD e con il partito della signora Le Pen”. Cioè con quell’eurogruppo Identità e Democrazia di cui fa parte anche la Lega e che secondo Salvini dovrebbe formare anche nel Parlamento europeo un’alleanza modellata su quella italiana, con il Ppe e con i Conservatori di Giorgia Meloni.

La replica di Salvini, che avrebbe dovuto incontrare a Roma Marine Le Pen ma ha derubricato il faccia a faccia a colloquio in rete ufficialmente causa riots, è altrettanto ruvida. “Mai la Lega andrà con la sinistra e non accetto veti sui nostri alleati”, assicura a Marine e si premura poi di far sapere al mondo. “L’unica speranza di cambiare l’Europa è tenere unito tutto quel che è alternativo alla sinistra e chi si comporta diversamente fa un favore ai socialisti”, aggiunge velenoso. La reazione di Tajani era quasi obbligata, anche se non era invece previsto che fosse così ruvida, esplicita e senza appello.

Il partito che si vuole campione di moderazione e liberismo non può andare a braccetto con i neonazisti tedeschi ma soprattutto un partito aderente al Ppe non può aprire neppure il minimo varco ai nemici giurati del Ppe stesso in Germania, a quell’AfD che pesca i propri consensi in crescita proprio nel bacino della Cdu. L’azzurro addolcisce la pillola assicurando che “la Lega è cosa ben diversa: saremmo lieti di averla parte di una maggioranza. Ma senza LePen e AfD”. Insomma, se vuole essere in partita dopo le elezioni europee Salvini deve mollare i tedeschi in odore di neonazismo e madame Le Pen. È un’apertura solo per modo di dire.

In questo momento abbandonare gli alleati del gruppo Identità significherebbe per il capo della Lega consegnarsi inerme alla potente e molto più forte alleata premier in Italia e presidente dei Conservatori in Europa. Il gruppo di estrema destra nell’Europarlamento promette invece di essere dopo le prossime elezioni molto più forte di quanto non sia ora. In Germania AfD ha conquistato ieri il secondo sindaco, dopo lo shock del primo Comune conquistato nella storia appena pochi giorni fa. Le previsioni accreditano al gruppo di estrema destra un esorbitante 20%. Il Rassemblement National punta a fare il pieno e i riots delle banlieues gonfiano le vele di LePen.

Dunque la Lega risponde a muso altrettanto duro, affidando la replica a Marco Zanni, presidente di Identità e democrazia, e Marco Campomenosi, capodelegazione al Parlamento europeo: “Non è il momento dei diktat. Davvero l’amico Tajani preferisce continuare a governare con Pd, socialisti e Macron? Ci rifiutiamo di pensare che qualcuno che si definisce di centrodestra possa preferire Macron e le sinistre a Le Pen”. L’argomentazione messa in campo dalla Lega è contundente e la premier lo sa sin troppo bene. Per una leader che ha costruito buona parte delle proprie fortune elettorali sulla coerenza e sull’evitare le piroette nelle quali si producevano tutti gli altri, alleandosi con chi era considerato sino al giorno prima nemico giurato, non sarebbe facile spiegare perché si allea in Europa con chi in Italia la tratta da fascista contro il partito che, in patria, è il suo principale alleato.

Dunque Meloni fa l’anguilla, intervistata dal Corriere della Sera si limita a dire che “cresce la consapevolezza che l’accordo innaturale tra Popolari e Socialisti non sia più adeguato alle sfide che l’Europa sta affrontando” e che “a Bruxelles sui singoli provvedimenti si creano alleanze allargate alternative alla sinistra”. Sono formule diplomatiche, studiate per non dire prima dell’apertura delle urne che il partito sulla carta più a destra che ci sia in Italia è pronto in Europa all’alleanza con i centristi ma non con la destra.

Fa parte delle regole del gioco elettorale che la Lega forzi la mano, di qui al prossimo 9 giugno, per costringerla ad assumere pubblicamente quella posizione, lucrando così consensi nell’elettorato più “sovranista”. Ma anche, e probabilmente soprattutto, per forzare l’alleata a escludere alleanze con la sinistra tanto apertamente e fragorosamente da ritrovarsi poi impastoiata dopo le elezioni. Per quanto riguarda il progetto di alleanza Popolari-Conservatori, infatti, Salvini può strepitare a volontà: se sarà praticabile nulla fermerà Meloni e il capo leghista non si aspetta che si fermi.

Al contrario, un’alleanza europea di quel genere gli permetterebbe di giocare la doppia parte del sostenitore esterno sulle scelte più marcate a destra edell’oppositore intransigente su tutte le altre. Posizione che, se assunta non da un partito europeo periferico ma da un gruppo parlamentare forte come potrebbe essere nella prossima legislatura quello di Identità, sarebbe redditizia in termini di voti e consensi sia in Italia che nell’Unione.

Le cose starebbero però molto diversamente se i numeri o l’opposizione di mezzo Partito popolare non permettessero al presidente dei parlamentari del Ppe Weber e alla premier italiana di centrare l’obiettivo a cui congiuntamente mirano, l’asse Ppe-Conservatori. In quel caso a Bruxelles sono già in molti a scommettere su un’opzione ben diversa, l’allargamento ai Conservatori dell’attuale maggioranza Ursula. Salvini mira a ostacolare e possibilmente a rendere impraticabile proprio quell’opzione, che precipiterebbe la Lega ai margini non solo a Strasburgo ma anche a Roma. Se quella ipotesi prenderà corpo, Giorgia Meloni sarà costretta a decidere se procedere lo stesso ed entrare in una maggioranza con il partito di Elly Schlein oppure puntare i piedi ritrovandosi però in questo caso schiacciata sulla linea di Salvini e di Identità e democrazia.

I rischi che corre questa maggioranza e il governo di destra sono legati soprattutto a quell’appuntamento e a quella scelta. Per antica abitudine si continua a pensare che le elezioni europee e le trame politiche che ne conseguono siano di secondaria importanza, utili solo per verificare, come in una specie di supersondaggio, la forza dei partiti. La realtà è opposta: quel che succede in Europa incide a fondo e spesso in modo deflagrante nei singoli Stati. Se Meloni deciderà di entrare comunque in una maggioranza con i liberali, sempre che accettino e non pare facile, o peggio anche con i socialisti, la Lega sarà tentata di rompere. Se anche se non lo facesse, passerebbe comunque a una sorta di durissima e logorante “opposizione dall’interno”.

Se invece la leader di FdI si sposterà a destra, la camicia diventerà presto troppo stretta per Fi, soprattutto se il risultato elettorale sarà confortante o non troppo deludente per il partito azzurro. A quel punto l’attrazione magnetica tra Renzi da un lato e gli eredi di Berlusconi dall’altro si farà probabilmente irresistibile. Del resto Renzi, sulla cui abilità manovriera non è lecito alcun dubbio, ha sempre affermato di aspettare le elezioni europee per provare a dare il colpo fatale a questo governo. Parole certamente non spese a caso.

4 Luglio 2023

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