La lettera alla segretaria
Sull’immigrazione va rovesciata l’egemonia della destra
Negli ultimi anni si è concepita l’immigrazione come una sorta di grande “danno da ridurre” e quindi le politiche e le scelte delle istituzioni come quelle da inserire in una cornice del genere.
Politica - di Pierfrancesco Majorino
Ho letto con davvero grande interesse la lettera aperta rivolta a Elly Schlein da parte della Comunità della libreria Eli di Roma e pubblicata da l’Unità, lo scorso 1 di luglio. Dico subito che ne ho condiviso il senso e il desiderio di fondo, quello riguardante la necessità di imprimere una grande svolta politica e culturale al dibattito sull’immigrazione.
Siamo infatti permanentemente coinvolti da un confronto tossico esercitato sulla pelle – e la vita – delle persone. Il Partito Democratico oggi è in campo esattamente con questo spirito. Ovviamente il compito che ha davanti chiunque voglia cimentarsi con uno sforzo del genere non è semplice. In questi anni infatti si è imposta – e certamente è avvenuto anche in ragione di un eccesso di timidezza che ha attraversato proprio il campo democratico e progressista – una visione distorta del fenomeno migratorio.
Si è affermata, in altre parole, una visione che ha concepito l’immigrazione come una sorta di grande “danno da ridurre” e quindi le politiche e le scelte delle istituzioni come quelle da inserire in una cornice del genere. Ciò ha prodotto una legislazione micidiale, ben incarnata dalla Bossi-Fini e da ultimo dal cosiddetto “Decreto Cutro”, e generalmente un atteggiamento miope o particolarmente cinico che si è consolidato, io credo, facendo leva sulla condizione dell’insicurezza (sociale e non solo) permanente.
Una condizione sulla quale ha soffiato la destra, come fosse un fuoco da alimentare, un obiettivo da perseguire. Destra che ha saputo, va detto, costruire una sorta di propria egemonia, perfino a prescindere dagli interventi normativi che si sono succeduti negli anni. Abbiamo bisogno, invece, è questo il cuore del ragionamento della lettera che mi sento di condividere maggiormente, di una proposta radicalmente diversa.
La strada da imboccare, allora, non deve essere quella di concepire l’Italia o l’Europa come una fortezza assediata da difendere dall’invasione, ma semmai quella di una gestione accurata – e anche ferma- del fenomeno che si fondi sull’immediata istituzione di una missione europea di soccorso, sull’estensione dei canali d’accesso legali ai nostri territori, sul conferimento del “diritto alla ricerca temporanea del lavoro” per un ampio numero di soggetti (la proposta “Ero Straniero”, sostenuta negli anni da Don Virginio Colmegna, Emma Bonino, Giorgio Gori e tanti altri andava e va in questa direzione) come requisito sufficiente per essere presenti regolarmente, su grandi interventi nel campo dell’integrazione (il fatto che si debba a Livia Turco l’ultimo vero piano nazionale in materia la dice lunga), sulla qualità dell’accoglienza diffusa. Il contrario di questo spettacolo osceno fatto del continuo e reiterato richiamo all’ossessione dell’efficacia del rimpatrio come unica, alla fine, grande questione da affrontare.
Ovviamente per cogliere un risultato del genere serve, lo dicevo all’inizio, un grande lavoro politico nelle istituzioni e nella società. Il PD lo intende portare avanti perdendo ogni reticenza, come ha saputo recentemente dimostrare sulla questione (presente nella nostra comunità politica come una ferita) chiamata sostegno alla guardia costiera libica. Dico di più: in un contesto del genere dovrà trovare finalmente una sua collocazione anche il rilancio di una grande battaglia di civiltà. Quella dello ius soli.
*Responsabile nazionale Immigrazione del Pd