Le proposte della destra

Gestazione per altri, il reato universale è un’idea da Stato etico

Il governo ha perso l’occasione per operare una distinzione tra commercializzazione e scopi solidaristici della maternità surrogata. Ma più grave è la trovata di estendere l’ambito di applicazione del delitto...

Politica - di Adelmo Manna

1 Luglio 2023 alle 14:00

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Gestazione per altri, il reato universale è un’idea da Stato etico

L’attuale Governo, mediante la proposta di legge n. 2599, di iniziativa dei deputati Carfagna ed altri, presentata alla Camera dei Deputati il 22 luglio 2020, e la proposta di legge n. 306, d’iniziativa dei deputati Meloni ed altri, presentata alla Camera dei deputati il 23 maggio 2018, ha inteso sottoporre anche tale reato al principio di universalità a livello di legge penale dello spazio, così da poter inquisire, secondo la legge penale italiana, anche tali fatti pur se commessi all’estero da cittadino italiano, ex art. 3, comma 2, c.p., nonché, in particolare, nella proposta Carfagna, di estendere la penale rilevanza anche agli stranieri cui si sono rivolti i cittadini italiani (in argomento, in senso giustamente critico, il presidente dell’AIPDP M. Pelissero, in Sistema penale, 29 giugno 2021).

In primo luogo, riteniamo che il legislatore abbia perso un’importante occasione per operare una netta distinzione nell’ambito della maternità surrogata, giacché la legge 19 febbraio 2004 n. 40, ed esattamente all’art.12, comma 6, punisce in qualsiasi forma la surrogazione di maternità, con la reclusione da tre mesi a tre anni e la multa da ben 600 mila sino addirittura ad 1 milione di euro. È pur vero che la Corte Europea dei diritti dell’uomo riconosce in argomento un ampio margine di apprezzamento agli Stati nazionali, giacché si tratta di opzioni che implicano valutazioni etiche rimesse ai singoli ordinamenti (Corte EDU, 26 giugno 2014, Menneson c. Francia punto 79 motivazione). Ciò, ovviamente, non significa che tutti gli ordinamenti puniscano in qualsiasi forma la maternità surrogata, giacché altrimenti non si capirebbe il senso delle proposte di legge governative da cui abbiamo preso le mosse.

Siamo, tuttavia, persuasi che il legislatore si sarebbe dovuto porre un previo problema relativo alla distinzione tra la maternità surrogata a scopo solidaristico e quella, viceversa, frutto di commercializzazione. Se, infatti, il diritto penale dovrebbe “essere costituzionalmente orientato”, tale opzione appare imprescindibile, come, d’altro canto, nel lontano 1967, avvenne con il riconoscimento della liceità del trapianto di rene tra vivi, con la legge del 26 giugno n. 458, che costituì un’espressa eccezione all’art. 5 c.c., che invece vieta gli atti di disposizione del proprio corpo “quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica”.

Orbene, appare evidente come l’esempio da ultimo riportato si fondi sul principio solidaristico, rilevante ex art. 2 Cost., che infatti fa riferimento ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Si potrebbe, tuttavia, anche con riguardo alla maternità surrogata per scopi solidaristici, ritenere che il riferimento al principio solidaristico come “dovere” abbia un’impronta troppo cogente, per cui potrebbe apparire preferibile fare riferimento ad una libertà di scelta in senso solidale, con evidente riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo, sempre ex art. 2 Cost.

Ad ogni buon conto e venendo ora alla maternità surrogata, se si comprende e si giustifica la ragione di punire la commercializzazione dell’utero in affitto, proprio allo scopo di tutelare i soggetti economicamente più deboli, tale giustificazione è invece del tutto assente nel caso di maternità surrogata a scopi solidaristici. Se, infatti, una donna che non può portare a termine una gravidanza chiede alla sorella, o alla cugina, oppure ad una cara amica, di portare in grembo il nascituro e quest’ultima accetta per il legame affettivo di carattere parentale, o anche soltanto amicale, non si vede la ragione di punire anche tale forma di surrogazione di maternità, che non lede per nulla la dignità della donna, che, invece, è profondamente lesa nel caso della commercializzazione dell’utero in affitto.

Per queste ragioni riteniamo di aver dimostrato chiaramente come l’attuale Governo abbia, con le proposte di legge dianzi indicate, perso un’importante occasione per distinguere anche a livello penale i due tipi di maternità surrogata. Ciò che tuttavia più rileva in senso negativo, è addirittura la proposta di considerare la maternità surrogata come un “reato universale”. È evidente lo scopo di estendere l’ambito di applicazione del delitto di maternità surrogata anche ai fatti commessi dal cittadino italiano all’estero e cioè quello di ostacolare il c.d. turismo procreativo. Ciò, però, contrasta in primo luogo con la prevalente letteratura scientifica che infatti richiede, come requisito seppure implicito, anche la c.d. doppia incriminazione, cioè a dire che il fatto debba costituire reato anche nell’ordinamento dove lo stesso è stato commesso.

Ciò, infatti, avrebbe l’effetto di scardinare del tutto le frontiere tra ordinamenti, imponendo ai giudici dello Stato richiesto di consegnare un soggetto per un fatto che non è preveduto come reato dal proprio ordinamento (di Martino, 2006). A ciò si aggiunga come la Corte EDU ha ritenuto come anche nei casi di surrogazione di maternità, quest’ultima è volta a riconoscere il legame di filiazione con entrambi i componenti della coppia che del minore si prende cura, almeno nei casi in cui sussiste il legame biologico con uno dei due segno pertanto che la gestazione per altri non è di per sé tale da riflettersi negativamente sul diritto di famiglia (cfr. le sentenze gemelle 26 giugno 2014, ric. n. 65192/11, Menneson c. Francia, e 65941/11, Labassee c. Francia).

In sintesi ci sembra di poter rilevare come le proposte in esame si muovano entro un orizzonte di “accentuato paternalismo”, che intenderebbe estendere l’applicazione della legge penale anche a condotte che in altri ordinamenti risultano del tutto lecite. Una sorta, cioè, di “paternalismo indiretto“espressione di un’idea di Stato tutore della moralità dei suoi cittadini ovunque vadano”, in contrasto con i principi del liberalismo politico (Pulitanò, in Cass. pen., 2017).

Da ultimo, la proposta Carfagna va addirittura ancora più in là, giacché prevede l’estensione dell’applicazione della legge penale italiana anche ai fatti commessi all’estero dallo straniero, ovviamente a favore di un cittadino italiano. Ciò, però, non solo contrasta con l’art. 10 del codice penale italiano, che non ammette tale estensione, ma è un’espressione di manifesta irragionevolezza, rilevante ex art. 3 Cost, perché impone anche agli stranieri il divieto penale proveniente dalla legge italiana, quando magari questi ultimi, in base alla lex loci, si sono comportati in modo del tutto legittimo.

In conclusione, un esito davvero paradossale di “panpenalismo”, che risulta espressione di uno Stato etico e, soprattutto, confessionale, che si pone anche in netto contrasto con la laicità dello Stato, che non è un carattere, bensì un principio direttamente giustiziabile, perché ricavabile dagli artt. 19 e 21 della Carta costituzionale.

*Prof. Avv, Emerito di diritto penale nell’Università di Foggia

1 Luglio 2023

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