Il caso dell'on. Soumahoro
Valditara cerchi il bullismo a Montecitorio
In fondo, mica gli hanno tirato le banane... E allora che protestate a fare?
Editoriali - di Iuri Maria Prado
Come negavano, indignatissimi, che fosse razzista il movente della campagna di aggressione e denigrazione ai danni di Aboubakar Soumahoro, responsabile di non aver ripudiato la moglie griffata e di non aver rinunciato allo stipendio parlamentare guadagnato sulla pelle dei migranti lasciati senza cibo, così gli stessi, scandalizzatissimi anche solo per l’ipotesi, negano che il colore della pelle c’entri qualcosa con gli strilli e gli sberleffi che in Parlamento si levano ogni qual volta osi prendere la parola questo deputato col fango finto sugli stivali e con la lacrima facile quando lo prendono in castagna.
Cioè quando si scopre che ha avuto l’ardire di accendere un mutuo anziché vivere nelle baracche con quelli che fa finta di difendere, o la sfrontatezza di parlare dei diritti dei migranti mentre la suocera si faceva gli affari suoi al piano di sotto. Il tutto, ovviamente, da parte di quelli che quotidianamente, già prima e da sempre, denunciavano il maltrattamento degli immigrati: e che notoriamente hanno continuato a farlo con i carichi residui dopo che il clan Soumahoro è stato messo in condizione di non nuocere dal valoroso giornalismo d’inchiesta.
E neghino pure. Ma le giustificazioni ieri risuonate alla Camera, dopo l’ultima onda di urli e schiamazzi sul tentativo di Soumahoro di concludere un intervento, avevano lo stesso segno ipocrita di quelle al tempo dello “scandalo”: ma figurarsi, si diceva allora, che c’entra il colore della pelle? Lì c’erano le notizie, signori miei, i fatti: volevi forse che si soprassedesse giusto perché c’era di mezzo uno di colore? Peccato che i fatti da accertare erano dati per certi prima dell’accertamento. Peccato che lui in realtà non c’era di mezzo in nessun modo (salvo che per il delitto di convivenza con la compagna).
E soprattutto peccato che una simile persecuzione giornalistica non si era mai vista prima. E non si era mai vista prima perché il problema non stava in ciò che Soumahoro aveva fatto (niente), ma in ciò che era: un nero, che per il riflesso razzista è tutto. E quel che successe allora sui giornali e in televisione genera quel che succede ora in Parlamento, con i berci e i fischi rivolti non a ciò che dice Soumahoro ma al fatto stesso che Soumahoro si alzi e prenda la parola. Perché è un nero? No, il principio è più democratico: perché è un nero che pretende pure di parlare. Stia zitto e vedrà che nessuno gli grida niente.
Il ministro Valditara, che sta compilando protocolli contro il bullismo, potrebbe utilmente valutare l’opportunità di ampliare la portata della normativa: perché c’è caso che sui giornali e tra i banchi parlamentari si tengano comportamenti teppistici che magari non attentano direttamente alle tranquillità scolastiche, ma insomma offrono temibili spunti di emulazione. Vai infatti a spiegare ai ragazzi che non si discriminano quelli di colore, se poi vedono i giornali che ridacchiano sulle magagne del “talentuoso ivoriano”. Vai a dirgli che l’Italia ripudia il razzismo, se poi assistono a una seduta parlamentare col nero zittito dai fischi. Ma noi siamo fissati, si sa. Razzismo, razzismo… Manco gli avessero tirato le banane.