Canagliata contro la premier

Meloni come Soumahoro, linciata perché “non poteva non sapere”

Editoriali - di Piero Sansonetti - 15 Maggio 2023

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Meloni come Soumahoro, linciata perché “non poteva non sapere”

I giornali dell’affollato fronte giustizialista classico, da qualche giorno, attaccano Giorgia Meloni per una questione molto vaga che riguarda sua madre e forse un vecchio fidanzato della madre. Non ho capito bene neanche quale sia precisamente l’accusa, perché gli articoli sono pasticciati e scritti in modo arruffato. Credo che la tesi sia che la madre di Giorgia Meloni abbia fatto affari con il suo ex marito. È una canagliata contro il Presidente del Consiglio? Direi di sì. Per due ragioni. La prima è che quasi certamente la madre di Giorgia Meloni è una persona assolutamente onesta e del tutto innocente. La seconda è che Giorgia Meloni e sua madre sono persone diverse. E che l’attacco trasversale a una persona, realizzato colpendo o ricattando un suo parente, è – più o meno – una infamia. Sempre.

I giornali di destra insorgono contro la canagliata. Sono molto scandalizzati. Fanno bene. Trascrivo il titolo di Libero, per esempio: ”Per colpire la Meloni i giornali usano la madre”. Per me il titolo è perfetto. Però non posso scordare i titoli che Libero e tutti gli altri giornali (credo tutti ad eccezione del Riformista) dedicarono qualche tempo fa ad Aboubakar Soumahoro. Sindacalista africano eletto deputato alle ultime elezioni. Fu un linciaggio.

Perché? Per via della suocera accusata di avere gestito male alcune strutture di accoglienza ai profughi. Non sappiamo se la suocera di Soumahoro sia colpevole o innocente. Lei dice di essere innocente. Sappiamo però che Soumahoro non è stato accusato assolutamente di niente, è stato solo linciato gratuitamente: tutti quelli che oggi giustamente si indignano per l’attacco giustizialista a Giorgia Meloni, allora si misero alla testa delle orde giustizialiste, gridando la frase che da trent’anni è la bandiera di quelli che amano le forche: “Non poteva non sapere!”.

A me viene una grande tristezza quando vedo così clamorose le contraddizioni sui temi del diritto e del garantismo. Esplode in modo del tutto evidente la realtà di una intellettualità e di un mondo della politica e del giornalismo che non ha una sua idea precisa di gogna, pensa solo che la gogna sia uno strumento utile per annientare i nemici e sia però una oscenità se si accanisce con gli amici. Non c’è neppure un velo di cultura, di sapere, di onestà, e di solidità intellettuale in questa posizione. È pura tribalità.

Una delle ragioni per le quali l’Unità sta tornando in edicola è questa: combattere senza tregua una battaglia fortemente, minoritaria, contro il giustizialismo e la sopraffazione che da anni l’armata mediatico-giudiziaria sta esercitando in questo paese. Quando quasi quattro anni fa ci siamo incontrati, con Alfredo Romeo, imprenditore napoletano perseguitato da alcune procure, abbiamo discusso esattamente di questo: di come costruire, da zero, una cultura garantista in Italia e come far entrare questa cultura nel Dna della sinistra. Perciò abbiamo lavorato per riportare in edicola l’Unità e per ridare alla sinistra italiana uno strumento essenziale di pensiero e di combattimento. A partire dal garantismo per poi estendere l’idea garantista a tutta la società. Garantismo per noi significa diritto, non violenza, lotta alla sopraffazione, lotta al potere, uguaglianza, difesa degli strati più deboli della popolazione: i lavoratori, soprattutto i più poveri e i meno garantiti, gli immigrati, le donne, i prigionieri.

Per condurre questa battaglia serve ricostruire una ideologia. Scusate se uso questa parola, ma per me non si può evitare di adoperarla. Non l’ideologia che Marx disprezzava, quella che considerava un vestito posticcio che maschera i sistemi di interesse, ma l’ideologia nel senso che Gramsci, il fondatore di questo giornale, chiamava col termine “intellettuale organico”. E cioè la capacità di diffondere e fare penetrare nella società un sistema di idee, complesso, solido, che sia la chiave per immaginare e cominciare a costruire la modernità. Ci sono due ipotesi diverse di modernità: più profitti o più equità sociale. È su questo terreno che destra e sinistra devono darsi battaglia, non sulla fanghiglia.

Cari amici, una volta si diceva cari compagni, noi ripartiamo da qui. Vogliamo offrire alla sinistra uno strumento per informarsi ma anche per costruire un pensiero collettivo e una reale capacità di lotta. Vi diciamo: scordatevi gli scandalismi. Non è cercando di demolire la reputazione degli avversari che si vincono le battaglie vere. Non è con la melma, con lo spionaggio, con l’appoggio alle birbonate di una gran parte delle Procure italiane. Le battaglie vere richiedono idealità, idee e capacità di combattere. Non di delegare ad altri, alle toghe o ai giornalisti gossippari.

Io torno all’Unità dopo quasi vent’anni. Ho lasciato l’Unità nel 2004 per andare a dirigere Liberazione. Precedentemente avevo lavorato all’Unità per trent’anni. Insieme a grandi giornalisti e grandi direttori. Ne ricordo solo un paio: Reichlin e Chiaromonte. Due giganti. Due grandi intellettuali. Ho imparato parecchie cose da loro. Anche l’anticonformismo. L’Unità che torna in edicola vuole essere una sintesi tra il grande spirito di quel passato – la cultura, la saggezza, la responsabilità, il conflitto – e la ricerca della modernità. Nella certezza che la modernità sia uguaglianza. E libertà. E disarticolazione del potere.

Saremo un giornale socialista, garantista e cristiano. Che cercherà di tenere insieme Gramsci, Rosa Parks, Roncalli, Mandela e Pannella. Dateci una mano.

15 Maggio 2023

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