Il peso delle parole
“Africani”, “zingare” e i tic dei sovranisti: il ceppo italico è un po’ razzista
Editoriali - di Iuri Maria Prado
Nessuno pensa seriamente che al governo ci sia una rappresentanza del Ku Klux Klan che, travestita da innocua compagine ministeriale, vuole impiantare in Italia un regime segregazionista. Ma chiunque capisce che abbondano pericolosamente da quelle parti – quando va bene – una certa sprovvedutezza, una desolante sciatteria, una evidente inadeguatezza nel maneggiare questioni assai serie, che è molto facile e altrettanto sbagliato liquidare al rango di irrilevanti minuzie solo perché chi vi si esercita si rende ridicolo. Le smorfie scimmiesche di Mussolini erano bensì ridicole: ma non era ridicola l’Italia adunata ad assistere a naso in su a quelle esibizioni.
Mesi fa, durante una trasmissione televisiva sul “Caso Soumahoro”, m’era capitato di dire che saremo senz’altro un Paese di bravissima gente, nel quale – per l’amor di dio – non c’è nessun razzismo e dove – per carità – figurarsi se c’è discriminazione: fermo restando, osservavo, che tanta tolleranza non impedisce a un ministro della Repubblica di annunciare alla “zingaraccia” l’invio delle ruspe né a un illustre quotidiano di titolare sugli “africani” che viaggiano senza biglietto, una scelta giornalistica di cui pare non si abbia riscontro se il viaggiatore a sbafo è di Biella o di Frosinone.
In studio c’era una gentile parlamentare di Fratelli d’Italia che con adorabile candore decideva di obiettare che quel titolo era invece appropriatissimo, perché “gli italiani pagano il biglietto, e se non pagano gli danno la multa”. Quella povera creatura non capiva, evidentemente, che cosa implicasse quel suo modo di intendere la faccenda: e cioè che, posta la renitenza africana al dovere di pagare il biglietto, è gioco forza multare gli africani. Che è poi il principio che scende dritto dritto dalle denunce via social con cui ministri e parlamentari si occupano delle “borseggiatrici rom” e indugiano sulla provenienza geografica dello stupratore: e cioè – ecco il principio – che bisogna intervenire non sui borseggi, ma sulla causa che li determina, che evidentemente è la “questione zingara”; e non sullo stupro ma ancora sulla causa, che altrettanto evidentemente è la genetica attitudine al delitto dell’immigrato.
Le ultime prestazioni di un ministro già noto per essersi abbandonato a leggiadre piacevolezze in argomento, cioè quel signore che l’altro giorno, a illustrazione della politica demografica del governo, ha spiegato che si tratta di investire sul “ceppo” italico, appartengono, se va bene, al rango delle sprovvedutezze di cui parlavo sopra. Anche questo ministro è una creatura sicuramente benintenzionata, poverino, ma nemmeno lui, come quella sua collega che non vedeva nulla di male in un sistema sanzionatorio anti-africano, capisce che una qualsiasi ipotesi normativa articolata sul “ceppo” nazionale sente anche da lontano di pratica discriminatoria: un afrore che nel Paese che compilò le leggi razziali dovrebbe essere ripugnante per chiunque e forse innanzitutto per il legislatore.
Il dramma è che per questi non è chiaro che se non si dice “negro, stai zitto” non è per temperanza colloquiale, ma per il fatto poco trascurabile che per tre o quattrocento anni essere “negri” giustificava la deportazione, le catene e la schiavitù. Se non capisci che non si racconta la barzelletta sull’avarizia degli ebrei non perché non è divertente, ma perché quello stereotipo è stato adoperato per caricarli sui treni piombati e bruciarli nei forni, sei alternativamente un ignorante o uno stupido: due cose da cui non sei assolto giusto perché sei un incolpevole figlio della Nazione che a quel tempo “manco era nato”.
Ma, se non lo capiscono loro, bisognerà che qualcuno glielo faccia capire. Non imponendo stolidi giuramenti antifascisti, ma non cedendo nemmeno di un millimetro all’indifferenza, al che sarà mai, alla retorica della sottovalutazione, quando fa capolino anche solo il sospetto dell’infezione razzista. Una patologia di cui non solo si può essere portatori sani, ma rispetto alla quale il “ceppo” italiano ha già dimostrato tragicamente di non essere immune.
P.S. Quando ho scritto queste righe, l’altro ieri, il senatore leghista Claudio Borghi non aveva ancora denunciato, sul suo profilo Twitter, lo scandaloso comportamento di un quotidiano che, nel dare la notizia del tentato rapimento di un bambino a Milano, aveva omesso di informare che la presunta rapitrice (presunta lo dico io, Borghi non aveva spazio per la precisazione) era marocchina.