Gli ideali e le intenzioni
Il Pci era garantista, come si è diffuso il culto delle procure
Il suo ultimo atto in materia di giustizia fu l’adesione al referendum sulla responsabilità civile dei magistrati nel 1987.
Politica - di Giuliano Cazzola
L’eutanasia del Pci cominciò il 12 novembre del 1989 nella storica sezione della Bolognina in Piazza dell’Unità, a Bologna, la capitale del comunismo d’Occidente. Il Muro di Berlino non era ancora crollato del tutto dopo la notte del 9 novembre (il 7 novembre si era celebrato l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, ricorrenza abolita da Putin). Achille Occhetto fu veloce a compiere la “svolta’’, ancor prima che il gallo cantasse tre volte.
L’agonia (che fu ripresa da servizi televisivi, film e documentari come se riguardasse tutti gli italiani) si protrasse fino all’ultimo congresso del PCI che si aprì il 31 gennaio 1991 a Rimini. E si concluse con la vittoria della mozione di Achille Occhetto, accompagnata dalle sue calde lacrime. Il 3 febbraio nacque il Partito Democratico della Sinistra, avente come simbolo una quercia e, notevolmente ridotto, il vecchio simbolo del PCI della falce e martello posto simbolicamente alla base del tronco dell’albero, vicino alle radici. La scelta naturale sarebbe stata quella di rientrare nel filone europeo del socialismo democratico che – pur con tutte le Bad Godesberg attraversate – manteneva un solido pensiero politico, uno spessore culturale ed una visione di società.
Del resto il PCI nelle zone in cui governava (come l’Emilia Romagna) era un grande partito socialdemocratico. I grandi sindaci comunisti – tranne che a Milano – erano i veri successori dei sindaci socialisti degli anni ’20, buoni amministratori, pragmatici, in linea con la dottrina di Olaf Palme per il quale il capitalismo era una pecora da mantenere in buona salute per tosarne la lana. Si prenda il caso del più grande sindaco che Roma ha avuto nel dopoguerra, quel Luigi Petroselli, funzionario di partito, che in pochi anni costruì dei quartieri popolari laddove sorgevano delle baracche – vere e proprie favelas – senza acqua corrente, servizi e fognature.
Fu il ripudio delle radici storiche a incamminare gli eredi del PCI – fino a coronare il sogno dell’amore impossibile con la sinistra democristiana – in un deserto in cui non vi erano non solo ideologie, ma dove persino gli ideali si riducevano a buone intenzioni, a fioretti, a letterine di Natale per quanto riguarda i problemi dello Stato, le politiche economiche e sociali, mentre veniva in primo piano una subcultura “radicale’’ dei diritti civili, estranea alle priorità del movimento operaio. Ci fu un tempo – per fortuna superato da mezzo secolo – in cui i dirigenti del PCI definivano il divorzio “un lusso borghese”. Ma è singolare che oggi nessuno del PD si chieda se la maternità surrogata fa perdere voti o acquisire consensi. Ma questo è tutto un altro discorso rispetto alle questioni che intendo affrontare.
Può sembrare strano, ma il Pci era persino garantista. Forse perché non aveva contratto alcun debito con le procure come avvenne da Tangentopoli in poi. Il culto delle procure si diffuse a tal punto nella sequela PDS, DS e PD da effettuare addirittura dei sacrifici umani, di abbandonare al loro destino fior di militanti incappati nella rete delle procure. Si pensi ad un dirigente come Antonio Bassolino, processato e assolto per 19 volte, o a Filippo Luigi Penati, stretto collaboratore del segretario in carica e a tanti altri che dopo essere stati assolti hanno lamentato l’ostracismo e l’assenza del partito.
La situazione attuale rasenta in paradosso. Sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio Elly Schlein vorrebbe rinchiudere il partito nel “ridotto della Valtellina” della ANM, in compagnia dei partiti, dei quotidiani e dei talk show manettari, anche a costo di non raccogliere “il grido di dolore” dei suoi sindaci. Sarebbe il caso che il gruppo dirigente antipartito del PD riflettesse su due questioni. Parlando nei giorni scorsi ai magistrati in tirocinio il presidente Mattarella li ha invitati a rifuggire “da ricostruzioni normative arbitrarie, dettate da impropri desideri di originalità o, peggio, di individualismo giudiziario”.
Io credo– posso sbagliarmi – che in questo riferimento sia compreso quell’abuso giuridico, estrapolato dalla giurisprudenza, che viene definito “concorso esterno in associazione mafiosa’’. Ma anche l’abuso d’ufficio, pure essendo un reato tipizzato nella legge, è una specie di passepartout che consente molte malversazioni (lo dimostrano le implacabili statistiche sulle archiviazioni). L’altra questione ha un rilevo storico. L’ultimo atto del Pci in materia di giustizia fu l’adesione al referendum (promosso da radicali e socialisti) sulla responsabilità civile dei magistrati svoltosi l’8 e 9 novembre 1987.
Il SI prevalse con più dell’80% dei voti validi (la partecipazione fu del 65%). Certo, ci fu il traino dello sciagurato referendum contro il nucleare, ma la scelta dell’elettorato fu netta. Successivamente, il Pci votò anche a favore della legge Vassalli che dava attuazione, sul piano normativo, agli esiti della consultazione. Responsabile per la segreteria (di Berlinguer prima; di Natta, poi) sui temi dello Stato era Aldo Tortorella, già partigiano combattente ed esponente della sinistra del partito.
Allora, peraltro, l’ordine giudiziario esponeva – giustamente – le stimmate del martirio, nella lotta contro il terrorismo e la mafia. Si ritenne tuttavia che non si violasse nessun principio se – nei casi previsti – i magistrati fossero chiamati a rispondere anche personalmente. Si disse allora che la legge Vassalli fosse troppo cauta. In effetti non impedì le degenerazioni che hanno annichilito la giustizia in tutti questi anni.