La rivolta della Wagner

Intervista a Dario Fabbri: “O la pace o l’atomica: Putin è a un bivio”

«Prigozhin non aveva in mente un golpe, ma averlo esiliato non rafforza il Cremlino che ha dato prova di fragilità. Ora Putin è più debole: la presenza di Zuppi fa pensare a un’apertura al cessate-il-fuoco»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

29 Giugno 2023 alle 11:00

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Intervista a Dario Fabbri: “O la pace o l’atomica: Putin è a un bivio”

I due giorni che sconvolsero la Russia e la comunità internazionale. L’Unità ne discute con Dario Fabbri, direttore di Domino, tra i più autorevoli analisti italiani di politica estera.

In molti in questi giorni si sono esercitati nel dare una definizione di ciò che è avvenuto in Russia tra venerdì e sabato scorsi. Si è detto e scritto di “golpe”, di “guerra civile” e via definendo. Qual è la sua lettura?
Le incongruenze sono davvero tante. È una storia che fa acqua da tutte le parti. Io credo che sia nata come una sorta di manifestazione di “protesta” della Wagner. Prigozhin ci ha preso gusto pensando che da Rostov sul Don potesse fare un altro po’ di moine marciando verso Mosca. Poi gli è stato spiegato che non c’era grandissimo margine, gli altri apparati non lo hanno seguito, ma non penso nemmeno che lui avesse in testa il colpo di stato. Non credo che sia così folle. E poi, con quali mezzi? La Wagner ha in tutto 20-25mila uomini. Tutto è possibile, ma allora devi avere dalla tua tutto lo stato maggiore delle Forze armate che invece è il suo grande nemico. Prigozhin si è battuto contro i vertici militari, volendone prendere il posto. Oppure devi avere la popolazione dalla tua ma non ci sono risultanze al riguardo. Non si è vista un’anima in giro. Non ci sono state né manifestazioni contro né manifestazioni pro. A parte un piccolo gruppo di persone a Rostov, propriamente attirato dalle imprese del gruppo in Ucraina. A noi può sembrare strano, ma Prigozhin è più famoso qui da noi, in Europa, in Occidente, che in Russia. Le sue intemerate, tutto ciò che ha detto o ha lasciato intendere contro Putin, contro l’“Operazione speciale” in Ucraina, in Russia mica l’hanno visto o sentito. Mica veniva trasmesso sui canali televisivi quando diceva abbiamo sbagliato tutto, stiamo perdendo la guerra, Putin è un cialtrone, Shoigu un incapace e via insultando. Tutte cose che l’opinione pubblica russa non vede o non legge. E comunque non riconosce in questo soggetto una espressione politica di livello.

La tempistica…
Era già stato deciso per decreto che dal primo luglio la Wagner doveva essere inquadrata nelle forze armate russe. Prigozhin stesso ha dichiarato che questo non lo potevamo accettare, perché voleva dire l’estinzione. A quel punto, come se stesse entrando in un ventre molle, ha visto che non c’erano resistenze apparenti e ha proseguito la marcia finché gli è stato spiegato che si era creato il cordone attorno a Mosca e che quindi doveva fare la guerra e alla fine si è accontentato…

Di cosa?
Di quello che appare evidente essere un baratto. Nessuno gli tocca gli affari. Lui va in esilio un po’come capitava agli altri oligarchi che si erano messi in testa improvvisamente di voler fare politica e che Putin spediva in esilio senza però toccargli gli affari. È quello che Prigozhin spera di spuntare adesso. Quanto al futuro della Wagner, questo è un altro paio di maniche.

C’è chi ha detto o scritto che da questa prova di forza Putin ne esce più forte. Lei come la vede?
Non sono di questo avviso. Putin non ne esce rafforzato. Chi lo scrive, in estrema sintesi, sostiene che di fatto lui ha reso innocua la Wagner e quindi il suo potere si è rafforzato. Non è così semplice.

Perché?
Le ragioni sono molteplici. Anzitutto, nella Wagner ci sono (c’erano?) 25mila uomini. Certo, è una milizia che ha dimostrato di avere notevoli capacità sul terreno ma anche perché l’esercito russo quelle capacità non ce l’ha. Hanno approfittato, Prigozhin e i suoi mercenari, del fatto che l’esercito russo è davvero sgangherato e quindi una milizia di mercenari addestrati, che ha fatto la guerra in ogni teatro o quasi dell’Asia e dell’Africa, risulta migliore, tuttavia sempre quelli sono. Il fatto che Putin ne abbia fatto a meno non necessariamente è un punto di forza, anche perché comunque sul campo in Ucraina erano in grande difficoltà. I sottoufficiali e le truppe regolari della Wagner entreranno, lo stanno già cominciando a fare, nell’esercito russo, quello regolare. In questa fase stanno discutendo soprattutto degli stipendi perché quelli della Wagner prendono 3-4 volte quello che prende un soldato semplice russo. Nel momento in cui li inquadri nell’esercito regolare, si genera già un problema non da poco. Resta il fatto che perdere un elemento come questo della Wagner non è un vantaggio di per sé sul campo. Può essere un vantaggio politico per Putin, ma resta l’immagine di un paese come la Russia, un grande impero sebbene quasi alla canna del gas, che per più di un giorno è stato in balia di una milizia, di impresentabili soggetti che dal Rostov, sul Don, sembrava volessero arrivare a Mosca. Aver fermato questa resistibile marcia non mi sembra un atto di forza putiniano, anche se il Cremlino prova a dipingerlo in questo modo.

In Occidente c’era chi aveva “tifato”, e operato, non solo per la sconfitta dell’aggressore russo in Ucraina, ma per la disintegrazione della Federazione Russa. Poi però si è materializzato l’incubo di un paese nel caos, alle prese con una anarchia nucleare.
Quello che è apparso evidente è che era davvero più un tentativo scenografico che altro. Ma che in prospettiva ha creato lo scenario più pericoloso, quello di un paese con quasi 6mila testate nucleari precipitato nel caos e nell’anarchia. Uno scenario da incubo che non vuole nessuno tranne forse i polacchi e gli ucraini, ma per quest’ultimi è comprensibile visto quello che hanno subito. Gli americani non vogliono in alcun modo che questo scenario possa adombrarsi. Va ricordato che quando finisce la Guerra fredda, la prima preoccupazione di Bush padre, che allora era presidente degli Stati Uniti, era che l’Unione Sovietica, e quindi anche la stessa Russia, non si disgregasse, non diventasse un puzzle di cinquanta repubbliche in lotta tra fra di loro con le armi atomiche. Le prime dichiarazioni di Bush allora, quando ci fu il collasso dell’Unione Sovietica, erano tutte improntate alla prudenza assoluta. Ed era inevitabile che fosse così. Quello che è successo tra venerdì sera e sabato scorsi ha riproposto uno scenario che oggi non sembra concreto di per sé ma che in Occidente, partendo dagli Stati Uniti e passando per la Francia, la Germania, l’Italia, ammesso che abbia una voce in questa vicenda, e anche gli inglesi che pure sono fortemente anti russi come possono essere i polacchi, temono fortemente anche per una ragione geopolitica e di equilibri di potere su scala globale.

Vale a dire?
Anzitutto si creerebbe un enorme buco nero che qualcuno dovrebbe mantenere. Per gli americani sarebbe un problema gigantesco perché già sono distratti così dall’indopacifico, a quel punto s’impantanerebbero in Europa sul serio e per un tempo indefinito. E con risvolti imprevedibili. Qui abbiamo a che fare con il più grande arsenale atomico del mondo. Non è uno scherzo. E messi davanti al collasso assoluto, se si creasse un territorio gestito da signori della guerra, per giunta corrotti, alla testa di repubbliche sparse, beh l’uso dell’arma atomica non lo può escludere nessuno.

In tutto questo, anche nei due giorni che sconvolsero il mondo, l’Europa che figura ha fatto?
È stata a guardare. Le principali cancellerie sono state molto caute. Soltanto a babbo morto la Cia ha detto “noi sapevamo tutto, avevamo visto tutto”, ma questo è un classico. Nelle ore più calde tutte le cancellerie, da Parigi a Berlino, Londra, la stessa Washington, non solo l’Europa ma l’Occidente allargato era molto prudente, “sono affari interni alla Russia, monitoriamo, noi non c’entriamo niente, noi non ne sappiamo niente”… Probabilmente davvero le intelligence occidentali non ne sapevano granchè, perché è vero, come la Cia ha raccontato ex post, che erano stati ammassati mezzi e munizioni al confine ma questo non è necessariamente il prodomo di una marcia verso Mosca, che ha colto un po’ tutti di sorpresa, anche perché Prigozhin sono mesi che le spara enormi contro il Cremlino e non aveva mai fatto niente. Credo che la cautela fosse improntata proprio a questo. Mi pare evidente che l’idea di una Russia putiniana non fa piacere a nessuno in Occidente, ma forse l’idea di una Russia in preda al caos fa ancora meno piacere. Si aggiunga il fatto che alla testa di un possibile golpe c’era Prigozhin che forse è peggio di Putin, non fosse altro perché è anche un narcotrafficante, per citare solo una delle altre attività che gestisce. Non c’era niente di cui rallegrarsi.

Gli eventi russi che ricadute potrebbero avere sul fronte ucraino?
In un contesto come questo, Prigozhin non ha detto “noi vogliamo arrivare a Mosca per fare questo o quello della guerra”. Non ha detto “noi vogliamo prendere il potere per mettere fine alla guerra” ma neppure il contrario: “noi vogliamo il potere per aumentare l’intensità perché Putin è uno smidollato che non sa usare neanche l’arma atomica, quindi ci pensiamo noi”, o follie di questo tipo. Non ha detto chiaramente né questo né quello. O meglio, ha detto tutto e il contrario di tutto. Una delle due opzioni, specialmente dopo quanto successo, è ciò che il Cremlino dovrà perseguire.

Vale a dire?
O aumenta l’intensità a livelli catastrofici della guerra o persegue un cessate-il-fuoco. Mi pare che si stia andando almeno da parte russa, per una evidente debolezza e non perché Mosca abbia scoperto la luce, verso la ricerca di un cessate-il-fuoco. Non può essere un caso che dopo nemmeno 48 ore dopo questo fallito (presunto) golpe, chi viene chiamato a Mosca è il cardinale Zuppi. L’idea è tentare di arrivare a un cessate-il fuoco, anche perché per la Russia sarebbe vantaggioso. L’impressione è che possano perdere del terreno anziché guadagnarlo nelle prossime settimane e mesi. Si potrebbe anche dire che è stato un golpe ulteriormente “strano” perché nelle ore più intense, gli ucraini non hanno sfondato il fronte russo nel Donbass. In un paese in preda al caos qualche perdita ce l’ha, ma tranne l’altro ieri a Kherson grandi movimenti non ce ne sono stati. L’impressione anche tra i soldati russi è che lo stato maggiore non fosse granché preoccupato da quello che succedeva in patria. La Russia deve decidere se andare verso l’extrema ratio, “adesso basta, useremo anche l’arma tattica nucleare se continuate la controffensiva”, oppure perseguire il cessate-il-fuoco. Credo che per debolezza possano puntare sulla seconda opzione. Ma ovviamente Mosca non decide da sola.

29 Giugno 2023

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