Presidente Assopacepalestina

Intervista a Luisa Morgantini: “I palestinesi hanno bisogno dei pacifisti che sono spariti”

Ci sono nuove generazioni di israeliani che si uniscono ai palestinesi che difendono la loro terra. Sono una speranza, vanno sostenuti

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

24 Giugno 2023 alle 09:00

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Intervista a Luisa Morgantini: “I palestinesi hanno bisogno dei pacifisti che sono spariti”

Una vita in Palestina, con la Palestina nel cuore. In difesa di un popolo sotto occupazione e di una pace giusta, tra pari. È Luisa Morgantini. Già Vicepresidente del Parlamento Europeo con l’incarico delle politiche europee per l’Africa e i diritti umani. E’ tra le fondatrici della rete internazionale delle Donne in nero contro la guerra e la violenza parte del coordinamento nazionale dell’Associazione per la pace. Ha fondato ed è attualmente presidente dell’associazione AssoPacePalestina. Ha ricevuto il premio per la pace delle donne in nero israeliane e il premio Colombe d’Oro per la Pace di Archivio disarmo. E’ tra le 1000 donne nel mondo che sono state candidate al Premio Nobel per la Pace.

In Palestina si continua a morire nel silenzio dei media e della comunità internazionale. L’Unità ha raccontato la storia del piccolo Mohammad Tamimi, 3 anni, ucciso dall’esercito israeliano. Anche qui, silenzio pressoché generale.
Una vergogna che mostra, tranne eccezioni, la tua per esempio, la miseria morale e la mancanza di etica del giornalismo mainstream. Non è solo il silenzio che colpisce, bensì la narrazione che si assume, quella del vincitore e di un alleato, non si raccontano i fatti, non si viene a vedere con i propri occhi la realtà, si accetta la narrazione di Israele, sempre vittima mentre nascondono i crimini commessi ogni giorno contro i palestinesi, si ha paura di essere tacciati di antisemitismo. Nelle redazioni, università, negli enti locali, amici di Israele o lo stesso Ambasciatore, chiedono di non ospitare iniziative che semplicemente chiedono il rispetto della legalità internazionale, per non dire delle minacce e diffamazioni fatte nei confronti, per esempio, della relatrice sui diritti umani per le Nazioni Unite, Francesca Albanese. La Comunità internazionale pratica nei confronti di Israele due pesi e due misure, reitera ogni volta che le azioni d’Israele mettono in pericolo la pace, ma diventa complice delle sue politiche non attuando nei suoi confronti nessuna pratica di sanzioni. Oggi che l’attuale governo israeliano esprime attraverso i suoi ministri il peggio dell’umanità, non si osa disconoscerli e trattarli per quello che sono: criminali al potere.

La tua è anche una testimonianza dal campo. Da settimane sei nella Cisgiordania insanguinata.
Qui si continua a morire, in questi giorni, Sedil, 15 anni del campo profughi di Jenin è stata uccisa nella sua casa durante l’assalto dell’esercito Israeliano, 6 palestinesi uccisi , un centinaio di feriti e 7 militari israeliani feriti. Dall’inizio dell’anno sono stati uccisi più di 170 palestinesi tra cui 27 bambini. Al funerale di Mohammed (3 anni) a Nabi Saleh, i soldati hanno sparato gas lacrimogeni e pallottole vere, molti i feriti, alcuni ricoverati in ospedale, altri come Bilal Tamimi con ossa del braccio spezzate. Ho partecipato al funerale di Mohammed, una pena infinita, mi sono venute alla mente le immagini del funerale di Shireen Abu Akla con i soldati che attaccavano anche la bara.
I palestinesi, che vivono sotto occupazione militare da più di 55 anni, minacciati ed abusati ogni giorno, le cui terre vengono confiscate per fare posto ai coloni, ogni giorno più nazionalisti e religiosi , autori di veri e propri progrom come a Huwara o in questi giorni a Turmas Ayya e nei villaggi palestinesi bruciando auto, dando fuoco alle case e sparando ai palestinesi che escono nelle strade, secondo i coloni e ministri in carica, come Ben Gvir o Smotrich , devono andarsene, perché questa terra è degli ebrei per diritto divino è scritto nella Bibbia.

I governanti israeliani si inalberano quando vengono accusati di aver instaurato un regime di apartheid in West Bank.
Negano l’evidenza, l’apartheid non è praticato solo nei territori palestinesi occupati nel 1967, ma anche nello stesso stato israeliano dove vivono circa due milioni di palestinesi, che sono discriminati, basta vedere la differenza abissale tra i bilanci assegnati ai comuni palestinesi, e a quelli israeliani. Ai palestinesi non è permesso acquistare case nelle zone abitate da ebrei israeliani. Nei territori occupati strade che possono essere usate solo da israeliani, palestinesi rinchiusi in enclave, ai palestinesi di Gerusalemme est viene data una carta d’identità di residente temporaneo, e sono famiglie che da centinaia di anni vivono lì, se un palestinese della Cisgiordania o Gaza, si sposa con una donna di Gerusalemme est o palestinese di cittadinanza israeliana, devono vivere separati perché viene negato il ricongiungimento famigliare, ma il centro dell’apartheid è la demolizione delle case palestinesi, nessun permesso per costruire case, e centinaia, centinaia di demolizioni o sotto ordine di demolizione. Dai Palestinesi alle Nazioni Unite, alle associazioni per la difesa dei diritti umani, israeliane come Bet~Selem o internazionali come Human Rights Wacht e Amnesty, la politica di apartheid israeliana viene denunciata per ciò che è: un sistema di dominio e controllo ed è un crimine contro l’umanità.

Cosa resta dell’Israele che crede nel dialogo, in una pace giusta con i palestinesi, l’Israele della disobbedienza civile e dell’azione non violenta a fianco della società civile palestinese?
I grandi movimenti si sono dissolti, Peace now fa monitoraggio delle colonie, vi sono organizzazioni oltre a Btselem come Ir Amin o Bimkom che difendono i diritti dei palestinesi, o Zochrot dichiaratamente antisionista, che commemora i massacri come quello di Deir Yassin compiuti nel ‘48. La società israeliana è dominata da fanatici fondamentalisti e nazionalisti, è una società razzista non solo contro i palestinesi ma anche al proprio interno, i movimenti di questi mesi contro le proposte di riforma della giustizia hanno messo in luce le contraddizioni di questo paese. Il fallimento degli accordi di Oslo, la frantumazione del territorio palestinese in bantustan, le restrizioni di movimento (prima di Oslo i palestinesi potevano recarsi a Gerusalemme o in Israele), ha contribuito alla fine del dialogo e incontri tra Palestinesi e israeliani. Vi sono però nuove generazioni di israeliani che si uniscono ai palestinesi che difendono la loro terra come a `Masafer Yatta o la Valle del Giordano, o a Sheik Jarrah dove i palestinesi vengono espulsi dalle loro case per far posto a coloni, non per dialogare ma per lottare insieme, anche loro vengono picchiati e arrestati, sono giovani che si rifiutano di prestare servizio militare, che credono nell’ uguaglianza. Sono una speranza, pochi si, ma proprio per questo vanno sostenuti.

Tra i giovani palestinesi cresce disincanto e sfiducia verso una inamovibile leadership ottuagenaria. Il mancato ricambio è solo da attribuire all’occupazione israeliana?
E come non esserlo, visto che in questi anni invece di libertà e autodeterminazione hanno visto solo confisca di terra, arresti, vi sono più di 5.000 prigionieri e detenzione amministrativa, crescita delle colonie, nel 1993 vi erano 150.000 coloni oggi 700.000, restrizioni di movimento. Un territorio diviso non solo dal muro illegale, ma dall’assedio di Gaza e dalle divisioni palestinesi, Hamas a Gaza, Fatah e altre forze politiche nella Cisgiordania. I giovani e non solo reclamano unità ed elezioni. Dalla prima Intifada ad oggi molte cose sono cambiate, come da noi del resto. Oggi i giovani vivono nei social, e non solo nelle zone urbane anche in quelle rurali. E’ straordinario come malgrado l’occupazione militare israeliana, la cultura palestinese sia’ vibrante ed attraverso il cinema, il teatro, la musica i giovani si esprimono. Si ci sono responsabilità palestinesi e non solo perché la leadership è in grande parte ottuagenaria o corrotta, in realtà non sa coinvolgere la popolazione anche nella difficoltà delle scelte e di fronte alle proteste sceglie la repressione. Ma la più grande responsabilità è la nostra, quella di una comunità internazionale, dell’Unione Europea, del nostro governo che non agisce contro la politica di colonizzazione e apartheid d’Israele, contribuiamo alla sopravvivenza dei palestinesi, continuiamo a dare aiuti (anche se sempre meno) ma come diceva Salam Fayyad primo ministro palestinese, agli emissari Europei, “fate il vostro dovere, noi palestinesi siamo in grado di costruire il nostro stato e la nostra economia, la soluzione per noi è politica vogliamo la libertà sulla nostra terra, fate pagare a Israele il prezzo delle violazioni dei diritti umani dei palestinesi.

In Italia il movimento pacifista di cui tu sei una figura storica non sembra avere più, come è stato per lungo tempo in passato, la Palestina nel cuore. Il dibattito è tutto centrato sulla guerra in Ucraina. Cos’è, perdita di memoria storica o altro?
C’è molto di più, non solo il movimento per la pace ha molto meno voce nelle piazze, la forza del movimento si è infranta dopo la sconfitta non del movimento in Italia ma nel mondo, siamo stati il popolo di Seattle, siamo stati milioni nel mondo a dire no alla guerra, in Italia i nostri balconi erano pieni di bandiere della pace, e chiedevamo una pace che non è assenza di guerra, ma giustizia, uguaglianza, fine della povertà. La nostra sconfitta ha mostrato quanto poco democratico sia il nostro sistema. Guerra dopo guerra si è affermata non la cultura della nonviolenza ma quella della forza, siamo arrivati ad avere viceministri che chiedono l’introduzione nelle scuole dell’educazione alle armi. In verità la Palestina non è mai stata centrale per il movimento pacifista, che si era impegnato nella lotta contro i missili contro il nucleare per il disarmo. Solo durante la prima Intifada, fu il movimento pacifista italiano insieme ad associazioni come Arci, Acli, Sindacati a costruire insieme a palestinesi e israeliani la grande catena umana che circondava le porte di Gerusalemme, la chiamammo Time for Peace, era il 1990, sembrava scoppiare la pace, ci furono le trattative di Madrid e poi gli accordi di Oslo mentre in Europa si aprivano la guerre nella repubblica federale di Jugoslavia, il movimento si impegnò contro le guerre e sostenendo le forze della nonviolenza in Croazia, Bosnia, Kossovo, Belgrado. Il campo della Pace esiste e lavora incessantemente per il disarmo, in Ucraina e Russia sostiene che vuole la pace e non questa deriva nazionalista con tutti alle armi. Eppure in questo momento più che mai, la Palestina, i palestinesi hanno bisogno di essere nell’agenda di chi crede nei diritti umani. I Palestinesi hanno bisogno di essere protetti, ora, subito, dall’orda di coloni fanatici e di un governo che persegue invece della pace, una politica predatoria e coloniale, che cerca di annullare la storica presenza palestinese.

24 Giugno 2023

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