Il libro
Chi è Don Virginio Colmegna, con i dimenticati e chi vive ai margini
La sua storia di sacerdote ha attraversato le vicende italiane attraverso la storia della città di Milano
Cultura - di Fabrizio Mastrofini
Don Virginio Colmegna, classe 1945 (nato a Saronno, ordinato sacerdote nel giugno 1969) è protagonista di una stagione importante, potremmo dire profetica, nella Chiesa e nella società. La sua storia di sacerdote ha attraversato le vicende italiane attraverso la storia della città di Milano: le migrazioni interne dal Mezzogiorno, le scuole popolari alla Bovisa (quartiere popolare e operaio) dal 1969 e le 150 ore, le lotte per la casa e per una scuola democratica e partecipata, i movimenti studentesco e operaio, la politica e il sindacato, il referendum sul divorzio e i preti operai, la deistituzionalizzazione e la deindustrializzazione del periodo più recente.
Gli anni di don Virginio sono quelli del cardinale Colombo arcivescovo di Milano, prima, e poi – soprattutto – gli anni del cardinale Martini e il periodo delle cooperative realizzate a Sesto San Giovanni, il terrorismo e la riconciliazione, le nuove povertà e le prime immigrazioni, la Caritas e dal 1994 la rivista Scarp de’ Tenis, la Casa della Carità e “SON” – Speranza Oltre Noi – l’ultima iniziativa di don Virginio. Ma non c’è solo una parte importante della storia d’Italia, attraverso Milano, nella dettagliata ricostruzione di Andrea Donegà in questo libro Don Colmegna: al centro dei margini (Homeless book, 102 pp.) , che fa parlare la viva voce dei tanti protagonisti.
Nel descrivere i rapporti tra don Virginio e il cardinale Martini, vediamo in azione un modo di farsi della Chiesa che ha molto da dire oggi. Una frase di don Virginio precisa tutto il suo percorso umano, sociale, ecclesiale. Ricordando la sua esperienza in parrocchia, a Sesto San Giovanni, negli anni Ottanta del Novecento (sembra il secolo scorso, ma in fondo sono “soltanto” 40 anni fa…), spiega: “Mi riconoscevo in quella visione pastorale che si andava concretizzando e non mi sembrava vero di veder realizzare ciò che inseguivo dai tempi della Bovisa quando resistevo alle sirene del dissenso ecclesiale e cercavo un modello di Chiesa nuovo, sobrio e libero”.
In questa frase c’è qualcosa di notevole. Gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, sono il periodo del cosiddetto “dissenso” ecclesiale, originato dalla speranza delusa di vedere velocemente realizzati i cambiamenti del Concilio Vaticano II. A quell’epoca di tensioni e reciproche sconfessioni (Paolo VI era intervenuto contro don Franzoni e le “comunità di base”, colpevoli di legittimare il dissenso dei cattolici in politica all’epoca della Democrazia Cristiana, che sembrava l’unica aggregazione politica possibile per i cattolici… oggi incomprensibile…), la vicenda di don Colmegna fa vedere che un’altra dimensione ecclesiale è possibile.
Certo, è stata resa possibile dall’incrocio di condizioni speciali: la sapienza ecclesiale di don Colmegna e la visione del cardinale Martini, capace di coinvolgere il sacerdote in una visione più ampia. Don Virginio si trova immerso in un clima culturale di alto livello che fa perno – come accortamente registra il libro – sul “personalismo comunitario di Emmanuel Mounier” che “indicava nella relazione con l’altro la strada che ci costituisce persone e genera la comunità, un pensiero capace di dare luogo ad una fraternità vera e non ideologica, invitando ad aprirsi all’incontro”. E nelle pagine del libro, si moltiplicano gli incontri significativi che generano relazioni importanti: dai ragazzi disagiati, alle cooperative come risposta collettiva ai bisogni delle persone, fino alla primavera del 1993 quando il cardinale Martini chiede a don Colmegna di diventare direttore della Caritas diocesana. E qui inizia un’altra vicenda umana ed ecclesiale tutta da scoprire.
Si raccontano infatti, ad esempio, le storie dei progetti di reciprocità tra la Caritas Ambrosiana e quella di Napoli capace di promuovere cooperative nel capoluogo campano e di custodire iniziative e impegni che uniscono le due regioni ancora oggi su sostenibilità e legalità. Ma soprattutto colpiscono le esperienze della cooperativa “Farsi Prossimo”, diventata poi Consorzio, e la messa in atto di un sistema di mutualità interna tra cooperative, capace di coinvolgere gli imprenditori e attuare progetti economici concretissimi, attraverso il recupero di ciò che scartiamo, attivando un circuito virtuoso capace di anticipare il tema della sostenibilità (oggi centrale) e attivando allo stesso tempo percorsi di inserimento o reinserimento lavorativo e sociale per le persone “ai margini”.
“Il sistema Caritas che si sviluppò in quegli anni – scrive Donegà – fu un intreccio di cooperative che nel tempo hanno assunto la gestione di comunità, sportelli, equipe di strada, centri di accoglienza e residenze protette, salvaguardando sempre l’idea di fondo di stare a pieno titolo, e responsabilmente, sul territorio”. A raccontare ci sono le voci di molti di coloro che hanno accompagnato don Virginio per un pezzo di strada: persone semplici, giovani incontrati ai tempi dell’oratorio, sindacalisti, professori e intellettuali che hanno voluto condividere ricordi, sentimenti, pensieri e impegno, orgogliosi di aver preso parte a una storia collettiva fatta di intelligenze che si incontrano e riconoscono su un sentiero lastricato di comuni valori. Il libro inizia e si conclude a “SON”.
Una storia individuale può essere anche una significativa storia collettiva. È questa la vita di don Virginio Colmegna che ha, da sempre, collocato il suo punto di osservazione nei margini, dove meglio si avvertono i cambiamenti, per interrogare la società e le sue contraddizioni. Dall’incontro con le persone, e da una straordinaria capacità di lettura dei bisogni, ha saputo immaginare risposte innovative promuovendo attività sociali che, in molti casi, hanno anticipato i tempi.
Nella Postfazione Elena Granata, docente al Politecnico di Milano (la Prefazione è di Giangiacomo Schiavi, del “Corriere della Sera”), riassume bene il significato emblematico del percorso di don Colmegna, attraverso il quale scopriamo o riscopriamo che “il cattolicesimo ha qualcosa da dire oggi ai molti distratti, agli indifferenti e ai delusi, ma anche ai molti credenti intorpiditi, quando sa proporre una pastorale della convivenza e dell’abitare insieme. È lì che coglie le profonde solitudini del nostro tempo, che raccoglie le storie dei più dimenticati, che prende con sé i destini pieni di dignità che ogni essere umano porta con sé con il proprio venire al mondo”.