Clima sempre più teso

Pd in rivolta contro Elly Schlein: “Decide da sola, ora basta”

Zingaretti invoca programmi concreti, invece di opinioni. Bonaccini lancia la sua corrente. Big infuriati. Lunedì sarà una lunga Direzione

Politica - di David Romoli

9 Giugno 2023 alle 15:00

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Pd in rivolta contro Elly Schlein: “Decide da sola, ora basta”

Da Zingaretti l’alleato a Bonaccini l’ex rivale non c’è dirigente del Pd che non ripeta il leit-motiv d’ordinanza: “Nessun tiro al bersaglio sulla nuova segretaria. I problemi sono altri”. Parole dovute ma solo parole. Per chiunque conosca anche solo un po’ il Pd il senso degli scricchiolii sempre più rumorosi di questi giorni è chiarissimo. Segnalano che c’è precisamente il problema che tutti si sbracciano per negare: dubbi crescenti, per usare un eufemismo, sulla segreteria in carica da poco più di tre mesi.

L’intervista di Zingaretti di ieri, per esempio, lanciava un segnale percebile anche per chi non conosca i codici del Nazareno ma più evidente di come non si potrebbe per chi invece, dall’interno del partito, con quei codici ha dimestichezza. Se un ex segretario che è stato fondamentale nel sostenere la candidatura dell’outsider Elly dice che «le persone chiedono al Pd un punto di vista sul domani e un progetto, non solo opinioni pur autorevoli» il messaggio è esplicito. Se sottolinea che la segretaria “sta parlando con molte e molti fuori di noi, e credo sia un bene” sta muovendo una critica acuminata, camuffandola da complimento.

La segretaria è consapevole di doversi muovere subito, prima che sia troppo tardi e che i malumori diventino irrecuparabili. Ha convocato per stamattina la segreteria, con all’odg la preparazione di una direzione, quella di lunedì, in cui cercherà di mettere in campo proprio quel che secondo Zingaretti difetta oggi: proposte precise, in grado di dare il senso di un progetto, non solo “opinioni”. Ma la direzione stavolta è al buio e ad alto rischio. “Per la prima volta proprio non so dire cosa succederà e questo dice molto”. Dice moltissimo in realtà, dal momento che chi parla conosce il Pd, e prima ancora i Ds e il Pds, come le proprie tasche. Non si può escludere niente, neppure che finisca sul tappeto il nodo della guerra, il più potenzialmente divisivo che ci sia nel partito, certamente alla base ma anche al vertice.

La segretaria ripete che la linea in materia bellica non è in discussione e che la decisione di eleggere vicepresidente del gruppo alla Camera un esterno pacifista come Paolo Ciani serve solo a “dare voce a tutti”. Nella minoranza nessuno le crede. Forse ancor più della sconfitta alle amministrative l’ombra che grava sulla Direzione di lunedì è proprio il disastro del voto sulle armi all’europarlamento. Tutti sanno che la batosta non può essere rinfacciata solo a una leader in carica da pochissimo, anche se il segnale di Brescia e Vicenza, le piazze in cui il Pd ha vinto ma con candidati moderati che navigavano in direzione opposta a quella del “nuovo corso”, non è troppo confortante.

Ma col voto sulla legge Asap le cose stanno diversamente: la responsabilità di non essere riuscita a prendere e a difendere una posizione chiara e di essersi così esposta ad attacchi da ogni lato è solo della leadership, “Ci siamo fatti prendere a schiaffi da tutti: dalla destra, dai 5S e dal Terzo Polo”, mastica amarissimo qualcuno. E la partita non è finita, dal momento che il voto finale dell’europarlamento sarà il mese prossimo. I tormenti ricominceranno sin troppo presto. È probabile che emergano in Direzione le critiche che si moltiplicano e rimbalzano di angolo in angolo.

“Per capire come stiamo messi – assicura un altro esponente anche lui di lungo corso e vasta esperienza – basta uno sguardo al Transatlantico nelle giornate chiave. C’è il capannello degli orlandiani, quello di chi è vicino a Zingaretti e così via: tutti ugualmente nervosi, tutti all’oscuro di cosa intenda fare la segretaria. Si tratta di dirigenti che hanno appoggiato Schlein al congresso e che lei ora tiene all’oscuro di tutto. Il problema non è solo che non ascolta nessuno. È che non dice niente a nessuno, a parte i quattro o cinque di cui si fida e che per lo più non vengono dal Pd e non conoscono neanche un po’ il partito”.

È il mantra del giorno: “collegialità”. La chiede Bonaccini, furioso per la defenestrazione di Piero De Luca dalla vicepresidenza del gruppo alla Camera e che si è infine deciso a formare una propria area. Nascerà in luglio non si chiamerà corrente perché la parola suona male però sarà a tutti gli effetti tale. Ma soprattutto la chiedono, palesemente esasperati, i dirigenti che invece hanno combattuto la battaglia per Elly e si sentono oggi sbattuti ai margini per far spazio a new entries che con la cultura del Pd hanno poco e niente a che spartire.

Elly sa di dover affrontare il tema, si impegnerà ad ascoltare tutti però senza farsi condizionare dalle antiche correnti, insomma salvo poi fare a modo suo e difficilmente basterà, di certo non a lungo. Perché in realtà anche l’accusa di scarsa collegialità, pur se davvero sentita, esaurisce solo in parte le critiche e il disagio che monta.

Il caso De Luca-Ciani è da questo punto di vista esemplare. Moltissimi fanno notare che se l’obiettivo era mettere alla porta Piero De Luca per fare un dispetto al padre Vincenzo come chiedevano alcuni neodirigenti campani oggi molto vicini alla leader, metodo già discutibile, la strada maestra in un partito strutturato era quella di cambiare l’intero ufficio di presidenza in nome dell’innovazione, senza dare l’impressione di defenestrare il figlio per punire il padre.

E anche sul caso Ciani a denunciare l’imperizia è un coro: se si mette alla vicesegreteria del gruppo un esterno in dissenso su un punto centrale come la guerra, bisogna prima parlarci, spiegargli che non deve dare subito interviste esplosive, gestire la cosa politicamente, non andare alla cieca per poi ritrovarsi in una situazione che chiamarla imbarazzante è poco.

Ancor più che dagli appunti alla luce del sole, quelli sulla vaghezza della proposta politica o quelli sulla sindrome del segretario assediato che comunica solo con i fedelissimi, Elly Schein deve guardarsi oggi da un verdetto che sarebbe ancor più esiziale e definitivo: quello di essere un corpo estraneo che non conosce e non capisce cosa sia il Pd, fondamentalmente incompatibile con un vero partito e circondatasi da elementi altrettanto alieni. Precisamente quello che nel Pd molti, pur senza osare dirlo, iniziano a pensare.

9 Giugno 2023

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