I garantisti nel processo...
Meloni e grillini, adesso parlateci di Bibbiano: Giorgia andrà lì col cartello “Era innocente”?
Oggi non si tratterebbe più di invocare la giustizia a forma di pugno di ferro a suo tempo agognata, ma di registrare quella assolutoria che ha restituito alla pace una vittima di quell’indagine infondata
Editoriali - di Iuri Maria Prado
Giorgia Meloni non era ancora presidente del Consiglio quando organizzava video-siparietti all’ombra del cartello stradale di Bibbiano, i comizi itineranti nelle contrade presidiate dalla sinistra che coordinava e copriva l’azione di un esercito di orchi impegnato a strappare i bambini alle famiglie legittime.
Ma solo per un conato di compostezza istituzionale, crediamo, e non per resipiscenza, Giorgia Meloni oggi non si abbandonerebbe ad analoghe sceneggiate: anche perché oggi non si tratterebbe più di invocare la giustizia a forma di pugno di ferro a suo tempo agognata, ma di registrare – mortacci sua – quella assolutoria che ha restituito alla pace un protagonista, vale a dire una vittima, di quell’indagine infondata e del circostante canaio politico-giornalistico.
Si vede che a quell’altezza di tempo ancora non valeva lo slogan poi adibito a segno distintivo delle promesse elettorali di destra in argomento di giustizia, cioè “Garantisti nel processo, giustizialisti nella pena”: perché quanto a giustizialisti nella pena, figurarsi, si va sulla fiducia e non c’è bisogno che forniscano pezze d’appoggio; ma circa l’altro requisito, cioè garantisti nel processo, diciamo che da quelle parti rappresenta tutt’al più un modo di dire. E nel caso di Bibbiano, appunto, nemmeno quello visto che la tromba delle notizie di agenzia e le solite lenzuolate del giornalismo d’inchiesta, quello che va in prima pagina il giorno dell’arresto e in trafiletto quello del proscioglimento, erano sufficienti al richiamo delle telecamere per la comunicazione di tutto lo sdegno Rosario&Ordine per l’orrore di quelle colpe inutili da accertare tanto esse erano evidenti.
Durante una di quelle sue requisitorie strillone, Giorgia Meloni spiegò che “Se poi qualcuno sarà innocente, beh – vivaddio – meglio”. Non aveva ancora candidato Carlo Nordio, il quale potrebbe spiegarle oggi ciò che ella forse non capiva allora: e cioè che uno non è innocente “poi”, è innocente sempre finché non si dimostra il contrario. E si dimostra nel processo, con le prove: non in piazza, col megafono. C’è poi il caso, ed è il caso di ieri, che un pezzo notevole dell’indagine e delle accuse su cui facevi tutto quel chiasso sia impacchettato in una sentenza che assolve: e allora dovresti capire che una decisione così non si limita a travolgere le pretese punitive della parte pubblica, ma anche le fondamenta demagogiche di quella tua campagna biecamente giustizialista.
Perché chi è stato ritenuto non colpevole in questi giorni era innocente anche quando tu facevi i tuoi comizi, era innocente quando lo accusavano ed era innocente durante il processo in cui il tuo garantismo è rimasto per così dire quiescente. Giorgia Meloni aveva assunto un atteggiamento e toni almeno formalmente meno sguaiati rispetto a quelli cui si lasciava andare il Movimento 5 Stelle (memorabile il ministro dei Gilet Gialli, Luigi di Maio, che prometteva di non allearsi mai e poi mai “col partito che in Emilia Romagna toglieva alle famiglie i bambini con l’elettroshock, per venderseli”): ma nella sostanza concorreva in modo appena più sorvegliato e con vene al collo appena più rilassate a rappresentare un’identica istanza di giustizia spiccia, quella che non può permettersi troppe delicatezze se si discute di salvare i bambini da certi mostri.
Ebbene, siccome il processo adesso continua nei confronti di altri, la presidente del Consiglio potrebbe utilmente mantenere la promessa che fece a suo tempo, e cioè di tenere gli occhi sulla faccenda. Nel farlo, potrebbe dire che ha imparato la lezione, e ha capito che a volte finisce a processo un innocente. Uno che non meritava nessuna condanna, e tanto meno certi comizi.