La nomina
Caos Pd, il pacifista (non iscritto) Ciani vicepresidente Dem alla Camera scuote il partito: cambia la linea su Kiev?
«Le mie posizioni non impegnano né il gruppo né il partito. Ma mi sono candidato come indipendente perché credo sia possibile in questo gruppo portare avanti molte mie convinzioni per la giustizia sociale e la pace»
Politica - di David Romoli
Il suo nome, spuntato a sorpresa all’ultimo momento, era stata la sorpresa nel nuovo ufficio di presidenza della Camera, eletto dopo settimane di sofferenza due giorni fa. Tra i vicepresidenti, al posto del “bonacciniano” Andrea De Maria, diventato tesoriere, c’era Paolo Ciani, niente tessera del Pd in tasca e anzi segretario a tutti gli effetti di un altro partito, Demos, Democrazia solidale.
Nel gioco delle correnti lo si può collocare vicino a Zingaretti ma è una definizione tirata per i capelli perché la biografia politica di Ciani è tutt’altra cosa, è il percorso della sinistra cattolica impegnata attivamente nel sociale. «È determinante per noi raccogliere e reinterpretare per l’oggi lo spirito che animava i politici cattolici nella ricostruzione di un Paese distrutto dalla guerra», scriveva pochi mesi fa su Avvenire. La sorpresa della nomina inattesa non è rimasta a lungo isolata.
Ieri mattina campeggiava infatti una sua intervista inusuale ed esplosiva. Ciani non prenderà la tessera del Pd: «Non mi iscrivo, a differenza dei colleghi di Art. 1». Non considera il Pd casa sua: «Non sono del Pd, quindi non posso dire: ora i cattolici si sentono a casa nel Pd». È contrario alla gestazione per altri, ma in questo anche tra leader e tesserati è in folta compagnia. La bomba però è la conferma della posizione sulla guerra e le armi a Kiev: «Non credo nella vittoria militare, cioè armare l’Ucraina perché possa vincere». Posizione, aggiunge, che nel Pd non è affatto peregrina: «È un fronte molto più ampio di come è rappresentato nei numeri del gruppo». È così e lo sanno tutti ma nessuno sinora, dai vertici del gruppo parlamentare o del partito, aveva detto senza perifrasi che il re è nudo.
Le reazioni sono diluviate tutto il giorno, centrate essenzialmente sul vero punto dolente, anzi dolentissimo, la guerra. “Non si cambia linea con un’intervista”, strilla Fassino. Guerini è sbrigativo quanto irritato: “La linea sull’Ucraina non è in discussione”. Con tutto il rispetto Parrini segnala che così si disarma l’aggredito, e non è precisamente una posizione inedita. La più inviperita è Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo: «Grande confusione sotto il cielo. Ciani non si iscrive al partito ma vuole cambiarne la linea. Ma il sostegno del Pd alla resistenza ucraina non cambierà».
Alla fine Ciani chiarisce quello che era già chiarissimo: «Le mie posizioni non impegnano né il gruppo né il partito. Ma mi sono candidato come indipendente perché credo sia possibile in questo gruppo portare avanti molte mie convinzioni per la giustizia sociale e la pace». Il nervosismo in realtà si spiega proprio con la consapevolezza di quanto quelle convinzioni siano condivise da una parte sostanziosa degli elettori del Pd. È impossibile che la segretaria non fosse consapevole delle idee di Ciani e della sua determinazione nel perseguirle comunque. La sua biografia non permetteva dubbi.
Attivo nella comunità di Sant’Egidio già a 14 anni, poi per due volte segretario della Consulta delle aggregazioni laicali nella comunità stessa. Nel 2015 è tra i principali artefici della nascita dell’associazione Demos, che si trasformerà in partito nel 2018 e al primo congresso, nel 2022, lo eleggerà segretario. La posizione è subito netta: «Siamo una forza politica collocata nel centrosinistra che vuole costruire una società più giusta a partire dai fragili, contrastare le diseguaglianze, accogliere e valorizzare la presenza dei migranti». In assoluta coerenza, nel gennaio scorso, era stato l’unico parlamentare del Pd a votare apertamente contro le armi a Kiev. «Continuare a inviarle non porterà alla soluzione del conflitto e non ho votato in contrasto col mio partito perché il mio partito è Demos e la nostra linea sulle armi è sempre stata chiara».
Sceglierlo come vicepresidente del gruppo è stata da parte di Elly Schlein una scelta coraggiosa e anche una delle prime mosse coerenti con la sua biografia e con quanto si aspettano da lei gli elettori che la hanno incoronata rovesciando il verdetto degli iscritti. È una scelta che non le renderà la vita più facile perché la presenza ai vertici del gruppo di un vero pacifista darà voce a un umore che nella base è diffuso e crescente e pertanto moltiplicherà l’insofferenza e la tensione tra chi già considera la segretaria, che sin qui è stata in realtà prudentissima, quasi invisibile, troppo “estremista”.
Bonaccini, per esempio, chiede di rinunciare al tiro al bersaglio sulla segretaria “sport preferito da Pd che andrebbe messo da parte”. Poi però spara a sua volta: «Dobbiamo lavorare per evitare una deriva minoritaria che ci metta all’angolo». Senza contare, tra i guai di cui sopra, l’ira funesta di De Luca padre per la retrocessione drastica di De Luca figlio: «In politica come nella vita non c’è nulla di più volgare dei radical chic senza chic». È una dichiarazione di guerra.