Il marchio e la storia

Cosa vuol dire la fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia e perché va spenta

Editoriali - di Iuri Maria Prado

30 Maggio 2023 alle 16:00

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Cosa vuol dire la fiamma nel simbolo di Fratelli d’Italia e perché va spenta

Giorgia Meloni dice che la fiamma tricolore che ancora adorna il simbolo di Fratelli d’Italianon c’entra niente con il fascismo”, una vicenda che la sua destra “ha consegnato alla storia”. Si tratterebbe però di capire a quali rivendicazioni, a quali testimonianze, a quale manutenzione identitaria adempia l’ostentazione di quel marchio.

Che cosa s’intesta la destra di Giorgia Meloni guardando la vicenda storica e politica dell’Italia repubblicana? Di che cos’è fatta – spurgata dalle contaminazioni più imbarazzanti – la tradizione cui la fiamma tricolore dovrebbe dare segno di meritevole persistenza? Per carità di patria (riferimento di desolante esattezza) possiamo anche dimenticare i primi conati di quell’esperienza nell’immediato dopoguerra e lo stampo dichiaratamente repubblichino che li contrassegnava.

Ma poi? Poi per vedere qualcosa che non si riducesse alle cupezze seminariali e al manganellismo che simultaneamente presidiavano quei pregressi vagheggiamenti bisognava attendere l’inizio degli anni Sessanta: e lì quella destra non si giustapponeva con un profilo alternativo a qualcosa, a qualsiasi cosa, ma con il sostegno al governo Tambroni.

E’ di quella vicenda che si fa testimonianza la fiamma tricolore nel simbolo della destra attuale? O la fiamma tiene viva la memoria delle esemplari iniziative del movimento sociale ai tempi del divorzio, inchinate al più retrivo e reazionario clericalismo che ancora a metà degli anni Settanta avrebbe tenuto il Paese indietro di decenni? O ancora: quel simbolo serve forse a ricordare gli entusiasmi della destra ai tempi del terrore giudiziario? Perché anche lì s’è vista la pasta civile e democratica di quella destra, con l’inesausta opera di istigazione a che la magistratura eversiva facesse finalmente il suo ripulisti spazzando via un sistema partitocratico cui la destra non opponeva nulla, se non la pretesa di parteciparvi maggiormente.

Anche quel capitolo vergognoso fa parte della storia nobilmente rivendicata dal tricolore fiammeggiante? E potremmo a lungo continuare, snocciolando la serie infinita di appuntamenti cui la destra si è presentata dicendola male e facendola peggio. La realtà è che quel simbolo dovrebbe essere dismesso sulla scorta di ben diverse consapevolezze e preoccupazioni, altro che per assoluzione dal fascismo “consegnato alla storia”: dovrebbe essere levato di mezzo perché ripropone e perpetua la vicenda di una tradizione politica che ha puntualmente avversato, non promosso, le acquisizioni civili e democratiche del Paese e altrettanto puntualmente ha favorito, non combattuto, i tentativi spesso riusciti di eroderne il residuo liberale e di progresso.

Prima che col fascismo, la destra deve fare i conti con sé stessa. E a ben guardare anche più rigorosamente di altri, perché la sua storia di esclusione protocollare non ha impedito ma semmai favorito l’accreditamento di un notabilato radicatissimo nel potere che per decenni esso faceva le mostre di contrastare: paradossalmente, con la patina fascista adibita a scriminante di una italianissima e costituzionalissima malversazione politica. Ci vorrebbe un lavacro un po’ più impegnativo, per spegnere quella fiamma. Ma non è negli intendimenti né alla portata di questa destra.

30 Maggio 2023

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