L'abuso di decreti

Intervista a Gaetano Azzariti: “Parlamento catatonico, serve una scossa”

Interviste - di Angela Nocioni

28 Maggio 2023 alle 13:58

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Intervista a Gaetano Azzariti: “Parlamento catatonico, serve una scossa”

Gaetano Azzariti, costituzionalista, docente ordinario di Diritto pubblico alla Università Sapienza di Roma.

Professore, abbiamo capito male o è una grossa strigliata da parte del Quirinale la convocazione del presidente del Senato La Russa e del presidente della Camera Fontana per richiamare la loro attenzione sull’alto numero di decreti legge che il Parlamento si limita a convertire in legge?
Il presidente della repubblica interviene quando i poteri oltrepassano il limite del costituzionalmente sopportabile. E un decreto legge a settimana, senza rispettare i requisiti della straordinaria necessità ed urgenza, che vengono usati per far passare misure tra loro disomogenee sono decisamente oltre ogni limite, stravolgono gli equilibri tra governo e parlamento rischiano di porre l’azione del governo fuori da ogni controllo. Bene ha fatto il garante della costituzione ad intervenire. Speriamo sia ascoltato.

Un po’ più di uno a settimana in media, un record del governo Meloni: più di quanto abbia fatto il governo Draghi, più di Conte, più di Renzi.
È una piaga della nostra democrazia la decretazione d’urgenza. Dall’inizio degli anni Ottanta tutti i governi ne hanno abusato. I numerosi interventi della Corte costituzionale non sono stati ascoltati. Solo il divieto della reiterazione è stato sostanzialmente rispettato, per il resto ogni monito dei garanti è restato lettera morta. Questo lungo declino ha raggiunto un record assoluto con l’attuale governo. Siamo di fronte al ribaltamento di ciò che è scritto in Costituzione. Il decreto legge da strumento eccezionale è diventata la regola assoluta.

Possibile che di fronte a questa pioggia di decreti il Parlamento abbia varato solo 5 leggi ordinarie?
Se si guarda al rapporto tra le pochissime leggi di iniziativa parlamentare e il profluvio di conversioni dei decreti del governo emerge chiaramente la profonda crisi della democrazia costituzionale. Il punto è che il Parlamento non riesce a svolgere la sua attività, è diventato un organo ratificante la volontà del governo. Si limita a convertire decreti legge del governo ovvero a ratificare trattati internazionali. Non ha più una sua autonoma voce, quando tenta di modificare quel che chiede il governo in un decreto legge proponendo degli emendamenti non condivisi dall’esecutivo gli si impone la fiducia, quindi è diventato di fatto un organo subordinato al governo. Anche questa è una tendenza di lungo periodo che ora, spudoratamente, viene rivendicata dal governo Meloni senza più neanche vergognarsene. Questo governo fa un uso del tutto strumentale del sistema delle fonti. Pensiamo alla mancanza palese del presupposto costituzionale di necessità e urgenza. Il primo decreto del governo Meloni, quello anti rave, ne è un esempio folgorante. Non esistevano rave in corso, l’unico che aveva dato adito al decreto era stato annullato dunque nulla impediva a un governo, che pur avesse voluto reprimere queste manifestazioni giovanili di presentare un disegno di legge, discuterlo in parlamento e farlo approvare in via ordinaria. Si è voluto invece fare un uso strumentale delle fonti del diritto e farne un normale modo di operare.

Non esistono dei garanti della Costituzione apposta per evitarlo?
Non vengono ascoltati. Un esempio: lo ha detto la Corte, lo ha richiamato il presidente della repubblica, è persino stato scritto in una legge dello stato, il decreto legge per rispettare la costituzione deve essere omogeneo, dovrebbe cioè riguardare una sola questione. Il governo approva invece decreti omnibus, che contengono le misure più diverse e sono lo strumento usato, anche in sede di conversione, per far passare le norme più disparate. Ricordo, in proposito, che il presidente della repubblica nel promulgare la legge di conversione del decreto mille proroghe ha manifestato il suo dissenso, e non è la prima volta. In quest’ultimo caso egli ha accompagnato alla promulgazione una lettera in cui specificava che la promulgazione era necessaria per evitare gli effetti negativi della decadenza delle norme effettivamente urgenti, ma che alcune previsioni contenute violavano le norme internazionali e decisioni del giudice amministrativo (quelle in riferimento alla proroga delle concessioni balneari), invitando a cambiare. Eppure è rimasto inascoltato. Un altro principio che dovrebbe essere rispettato, previsto  dalla legge 400 del 1988, ribadito dalla Corte costituzionale, riguarda la immediata applicabilità delle norme, invece vengono emanati decreti con norme differite che non hanno effetti immediati. Tutto ciò è contrario alla ratio stessa del decreto legge. Nel complesso, insomma, sono comportamenti strumentali, che si sono affermati per prassi successive. Contro la lettera e lo spirito della costituzione.  Forse, e ancor peggio per alcuni aspetti, potremmo definirli atteggiamenti a-costituzionali, ossia: assunti senza che si sia proprio preso in considerazione quel che dice la Costituzione.

Ma il presidente della repubblica non è obbligato ad emanare un decreto, potrebbe anche non farlo, perché non si rifiuta?
No, la sua è una considerazione di carattere formale. È vero che i decreti sono emanati dal presidente della repubblica, ma i casi di rifiuto di emanazione si contano sulla punta delle dita di una mano, il più eclatante è stato il decreto nel caso Englaro (Eluana Englaro, morta nel 2009 a seguito dell’interruzione della nutrizione artificiale voluta dalla famiglia e al centro di una lunga vicenda giudiziaria n.d.r.) . In quell’occasione il presidente manifestò il suo dissenso, ci fu la delibera del Consiglio dei ministri e il presidente si rifiutò di promulgare quel decreto legge per una ragione molto specifica. Il presidente, garante della Costituzione, rilevò non tanto vizi nel merito – il caso Englaro è un caso giuridicamente, umanamente e politicamente molto delicato – quanto che il decreto si contrapponeva ad una sentenza appena emanata dalla Corte di Cassazione, quella che avrebbe permesso alla giovane l’interruzione dell’uso dello strumentario che la teneva in vita. Fu dunque in difesa della divisione dei poteri che il presidente fu costretto a non emanare. Questo per dire che il capo dello stato nel momento dell’emanazione dei decreti del governo non effettua una valutazione di mera legittimità costituzionale, questa semmai spetta alla Corte costituzionale.

Possibile che la Corte non si dia strumenti efficaci di intervento?
Non riesce nemmeno la Corte a frenare questa valanga dei decreti, nonostante i suoi plurimi interventi sul tema. Potrebbe essere il Parlamento che dopo l’approvazione del decreto legge interviene in sede di conversione. Infatti, in base ai regolamenti, la commissione affari costituzionali prima di esaminare il merito di un decreto legge effettua (dovrebbe effettuare) un controllo dei presupposti di costituzionalità. Si tratta di una norma introdotta da tempo nei regolamenti che si è rilevata molto deludente perché in Parlamento la valutazione non può essere giuridica, finisce per essere del tutto inefficace: necessariamente politica la valutazione dei parlamentari varia al variare della maggioranza. D’altra parte può dirsi che il Parlamento sia pienamente responsabile del suo stesso svilimento. Se non convertisse alcuni decreti palesemente privi dei requisiti costituzionali, evitasse di abusare del potere emendativo e non utilizzasse il momento della conversione in legge del decreto per infilare qualche norma di comodo, eviterebbe di farsi sottrarre passo dopo passo tutto il suo spazio autonomo. Invece non lo fa. Se si mettesse a fare leggi di iniziativa parlamentare, invece che convertire a raffica i decreti governativi, salverebbe la sua funzione.

Ma con questi rapporti di forza in Parlamento il governo se li può convertire da solo i decreti, la maggioranza governativa è schiacciante…
No, è schiacciata, è diverso. I parlamentari della maggioranza – di qualunque maggioranza – sono i maggiori responsabili della distorsione del sistema politico nel suo complesso. Nulla impedirebbe a una maggioranza solida di fare approvare in Parlamento un disegno di legge in materia anti rave o immigrazione. Invece aspettano il decreto.

Si può usarlo anche per fare il ponte sullo stretto di Messina?
Questo è incredibile dal punto di vista costituzionale, ditemi voi dove sono rinvenibili la necessità e l’urgenza per istituire la società che, forse nei prossimi anni, semmai si troveranno le risorse, si propone di fare il ponte sullo stretto di Messina. Una maggioranza parlamentare seria dovrebbe confrontarsi anche col proprio governo e frenarne gli eccessi per riappropriarsi delle sue prerogative. Nell’attuale maggioranza non è solo Salvini a volere il ponte di Messina, immagino. Perché non fare allora presentare ad un deputato un disegno di legge sul punto, assumendo il parlamentare e non il governo l’iniziativa in parlamento? Il governo deve intervenire – sostituendosi ai parlamentari – solo nei momenti eccezionali, non previsti. Evidentemente il ponte sullo stretto non lo è.

Non ha strumenti di difesa il Parlamento per combattere questo intenzionale abuso?
Il Parlamento è travolto dal ritmo di un decreto legge a settimana. In passato non solo il presidente della repubblica ma anche i presidenti di Camera e Senato hanno mostrato segni di insofferenza. Gli attuali presidenti di Camera e Senato dovrebbero rivendicare le prerogative delle camere. Ricordo che i presidenti dei due rami del Parlamento rappresentano l’istituzione, in questa loro veste dovrebbero farsi gelosi custodi delle prerogative parlamentari.

E l’opposizione quali strumenti ha?
Le opposizioni ormai in Parlamento giocano un ruolo marginale, tutte le opposizioni, perché i regolamenti hanno compresso il dibattito. Possono protestare. Ricordo che Meloni quando era all’opposizione protestava vivacemente contro l’abuso di decreti, ora sta guidando l’attacco alla una fase terminale del potere d’iniziativa parlamentare. Il Parlamento non fa più le leggi ormai, non discute più, ma gioca solo in seconda battuta. Le opposizioni sono impotenti di fronte a questa paralisi.

Non sarà responsabilità del governo se i singoli parlamentari non svolgono il loro ruolo di legislatori. Giorgia Meloni semmai è responsabile dell’abuso di decreti, ma perché dovrebbe esserlo della mancanza di iniziativa del parlamento?
Non fa le leggi il Parlamento perché non ha il tempo per farle e perché è in grave difficoltà di funzionamento. La riduzione del numero dei parlamentari doveva comportare riforma dei regolamenti che invece sono stati riformati poco al Senato e per nulla alla Camera. Oggi l’attività parlamentare sta vivendo un momento di estrema confusione. Il governo in questo momento nel rapporto col Parlamento ha un eccesso di poteri, lo controlla passo passo. Gli emendamenti, cioè il cuore dell’attività del singolo parlamentare di maggioranza e di opposizione, non possono essere liberamente presentati e discussi, vengono solo accolti o respinti. C’è un processo di selezione del tutto informale in base al quale sono ammessi soltanto quegli emendamenti “segnalati”, ovvero stabiliti dai gruppi parlamentari. Molto spesso quali emendamenti accogliere e quali no viene deciso con il governo, insieme al ministro competente. Anche questo è uno stravolgimento.

Come si è arrivati a far scegliere al governo quali emendamenti salvare? Concretamente cosa avviene?
Allora: bisogna organizzare i lavori parlamentari, ci pensa la conferenza dei gruppi parlamentari e comunque ci pensano i gruppi. C’è un problema di tempi. Ogni gruppo ha dei tempi di discussione assegnati in base alla consistenza del gruppo stesso. Nella presentazione di emendamenti c’è una prassi distorsiva. Le opposizioni, non potendo parlare, presentano centinaia di emendamenti che non possono essere discussi. La conferenza dei capigruppo ne fa una selezione. Si discuterà solo gli emendamenti segnalati. Segnalati da chi? C’è una certa opacità perché nessuna norma regolamentare fa questa  distinzione. Quindi se va bene a segnalare quali emendamenti discutere saranno i gruppi che faranno una auto-selezione e quindi magari in discussione è il rapporto del gruppo con i propri componenti, ma molto spesso questa trattativa viene fatta fuori dai gruppi contrattando con lo stesso governo.

E l’opposizione tace?
All’opposizione in modo del tutto informale si lasciano degli spazi, le si lasciano quegli emendamenti sui quali vuole fare battaglia politica, gli altri vengono ritirati. Se l’opposizione non accetta l’unica arma rimasta è quella dell’ostruzionismo parlamentare.

Questo avviene sulla base di quale fonte di legge?
Nessuna fonte di legge, pura prassi vigente da qualche tempo e che è oramai dilagante. Causa e conseguenza della concentrazione di potere nelle mani del governo. Guardiamo cosa succede con la copertura finanziaria. Le leggi, gli emendamenti, che prevedono spese devono avere la loro copertura finanziaria. Cosa avviene? Che mentre il governo, avendo dietro di sé la ragioneria dello stato, il ministero dell’economia, tutte le strutture a disposizione, non ha difficoltà a trovare copertura finanziaria, un deputato di opposizione non ha nemmeno le conoscenze possibili per mettere a punto le coperture necessarie per presentare emendamenti che comportano spese e infatti questi emendamenti molto spesso sono dichiarati inammissibili. E forse lo sono pure, ma il presupposto sarebbe obbligare le strutture di governo a fornire i dati a tutti i parlamentari o creare una struttura che abbia davvero le competenze necessarie per valutare le coperture finanziarie. In parlamento esiste l’ufficio parlamentare di bilancio che controlla i conti del governo e ad esso potrebbe essere affidato questo ruolo di individuare e studiare le coperture finanziarie anche per proposte di singoli parlamentari per mettere tutti i parlamentari nelle condizioni di poter esercitare il loro mandato.

E l’accorpamento di infiniti commi in un articolo solo a cosa serve?
A giocare con la fiducia. Le leggi più complicate dell’anno sono le finanziarie, riguardano tante cose e dovrebbero essere composte da centinaia di articoli. Invece siccome si pone la fiducia sull’approvazione di quelle norme, e siccome la fiducia si pone sull’articolo, le leggi vengono scomposte in migliaia di commi. Se leggi una finanziaria la trovi composta in migliaia di commi e pochi articoli. Nell’ultima legge finanziaria bisogna cercare negli anfratti per scoprire che all’articolo 1, commi 791 e 805 era nascosta tutta la normativa riguardante la determinazione dei Lep, presupposti per poter attuare l’autonomia differenziata. Ci si potrebbe ingenuamente chiedere: ma come, una riforma ritenuta così importante su cui una parte del governo sta puntando tante delle sue carte, viene approvata nello spazio di un mattino nascosta in commi dalla numerazione stratosferica? In queste condizioni è evidente che il parlamento nemmeno li discute. in effetti è così: il Parlamento è mero soggetto ratificante. Non discute nel merito alcunché di quel che fa il governo. Sulle riforme strutturali non tocca palla, soggetto passivo. Nel disegno legge Calderoli si prevede che il Parlamento possa solo esprimere un indirizzo sulla bozza di intesa non vincolante per il governo, potrà solo dire sì e no alle intese quando sarà obbligata ad intervenire ai sensi del terzo comma del 116.
È una strategia complessiva finalizzata a tacitare il Parlamento e far parlare solo il governo. Siamo tutti in attesa delle riforme costituzionali preannunciate sulla forma di governo, non sappiamo ancora quale presidenzialismo verrà scelto dall’attuale maggioranza, conosciamo solo il soggetto che lo presenterà’: lo presenterà il governo. La stessa cosa ha fatto Renzi quando era presidente del Consiglio, con Boschi alle riforme. Pietro Calamandrei in Assemblea costituente diceva che quando si discute di Costituzione i banchi del governo devono rimanere vuoti, adesso siamo passati a una situazione in cui è il Parlamento che tace e i banchi del governo sono il centro della decisione politica e parlamentare. Un Parlamento residuale che deve essere coinvolto solo alla fine per approvare l’autonomia differenziata, ovvero le riforme predisposte dal governo, ma – in fondo – questa è considerata una formalità. Speriamo che almeno per le riforme costituzionali alla fine si pronuncerà Il corpo elettorale. Vedremo cosa dirà.

Magari si fa carico di far saltare tutti i giochi fatti alle spalle del Parlamento col Parlamento consenziente?
Giochi fatti alle spalle della Costituzione, della ratio della Carta, della divisione dei poteri che la nostra Costituzione impone e che sono stati stravolti da tempo, ma deve riconoscersi che quest’ultimo governo è campione in questo senso.

Nessun intervento della Corte per evitare distorsioni è stato efficace?
Il divieto di reiterazione del decreto è quello che ha più funzionato perché reiterazioni non ce ne so più tante e sono minori. I richiami sulla necessaria omogeneità e sull’immediata applicabilità sono stati completamente disattesi, come sono disattesi i moniti del presidente della repubblica, le promulgazioni con dissenso. Entrambi i garanti stanno mostrando forte irrequietezza. Siccome di fronte al record di uso di decreti lo stress costituzionale sta diventando insopportabile, non escludo che ci possano essere nuovi interventi più incisivi. Come è stato nel caso della sentenza sul divieto di reiterazione. Essa arrivò dopo una lunga sequenza di moniti ai vari governi che si mostrarono tutti ciechi e sordi ai solleciti della Consulta.
Oramai siamo arrivati a una situazione estrema: la strumentalizzazione delle fonti che coinvolge l’intero sistema non solo la decretazione d’urgenza. Si pensi, ad esempio, ciò che è avvenuto durante l’emergenza Covid, quando noi costituzionalisti auspicavamo – allora sì – un uso corretto del decreto legge perché  l’emergenza pandemica conteneva i presupposti sia della necessità che dell’urgenza, mentre i governi Conte e Draghi usarono invece i famosi Dpcm, i decreti del presidente del Consiglio, che sono uno strumento ancora meno garantista. Questo uso strumentale delle fonti sta stravolgendo per intero il nostro sistema normativo: le leggi non le fa il parlamento e quando le fa è per questioni minute, si limita a una microlegislazione di carattere quasi amministrativo. Quindi fa quello che dovrebbero in realtà fare i regolamenti (ovvero il governo), non legifera più per iniziativa parlamentare sulle grandi questioni. è il governo a fare le grandi riforme, anche quelle che non hanno nessun presupposto di urgenza e dovrebbero avere un iter ordinario, e nei casi in cui ci sarebbe da fare atti straordinari usa un Dpcm che non rispetta il sistema delle fonti. Un caos cui bisognerebbe rimettere ordine.

Di fronte a un abuso di decreti che sta disegnando un costume dell’esercizio del potere del governo in sfregio alla Costituzione, il presidente della repubblica non può usare uno strumento più persuasivo di quelli usati finora?
Sì certo, il rinvio alle camere delle leggi di conversione
Se non lo fa è per decisione politica, o no?
Può essere invece anche per questioni di equilibri costituzionali. Prendiamo in considerazione la promulgazione con dissenso del decreto mille proroghe. Il presidente disse in sostanza: io potrei rinviare, non lo faccio perché cadrebbe tutta la normativa e siccome nelle tante proroghe ci sono norme di effettiva urgenza, mi limito a manifestare dissenso nell’auspicio che gli organi responsabili dell’indirizzo politico ascoltino e intervengano. Eppure sulle concessioni balneari stiamo ancora qui ad aspettare una condanna europea che arriverà perché siamo inerti. Gli organi di indirizzo politico hanno un potere di decisione, a loro spetta muoversi. Non al presidente che ha un potere di persuasione. Rinviare un decreto convertito alle camere vuol dire farlo decadere. Questa è la remora.

Prendiamo il caso del decreto Cutro: non poteva rifiutare l’emanazione? Avrebbe fatto cadere sulle norme, d’accordo, e qual era il problema se decadevano quelle norme lì? Perché questa timidezza, queste remore da parte di Mattarella?
È delicata più di quanto non sembri la questione dell’effetto di decadenza della legge che è la conseguenza che viene prodotta da un rinvio alle camere di un decreto. Dona al presidente un potere di veto che il presidente non ha. Questa ragione oggettiva porta il capo dello stato ad essere cauto. Ma penso che una decisione in questo senso sia  nell’ordine del possibile. Visto che siamo arrivati a un livello di alterazione della Costituzione molto evidente non escludo che un presidente prima o poi lo faccia. Ma rimarrebbe anche in questo caso da ricordare che titolare della potestà legislativo è e rimane il Parlamento, il presidente in esercizio del suo potere di stimolo può solo rinviare. Un Parlamento catatonico come quello di questi tempi se non reagisce non può essere salvato da altri soggetti, neppure dai garanti della Costituzione. La Corte costituzionale ad esempio per tre volte – per il caso Cappato, per la responsabilità penale giornalisti e per l’ergastolo ostativo – ha rinviato le sue decisioni di un anno ed anche più, proprio per permettere al Parlamento di intervenire e legiferare, ma il Parlamento non è intervenuto non è intervenuto o lo ha fatto in modo pasticciato (sull’ergastolo ostativo) lasciando che fosse la Consulta a decidere. La presidente della Corte, Sciarra, ha detto pubblicamente nell’ultima conferenza stampa che se il Parlamento non risponde cambierà strategia. Anche il Presidente della repubblica potrebbe cambiare strategia.

Come?
Ho detto: cominciando a rinviare la legge di conversione, è questo lo strumento più diretto.

Uno meno diretto, ma legittimo?
Una espressione di dissenso nel momento dell’emanazione del decreto legge. Il presidente può manifestare il suo dissenso sin dall’origine, senza attendere la conclusione dell’iter di formazione della legge. Potrebbe dire: emano il decreto ma mi rivolgo pubblicamente alle camere chiedendo che in sede di conversione i problemi costituzionali vengano affrontati e risolti. Un intervento forte che verrebbe a incidere sull’attività degli organi politici richiamando alla propria responsabilità il parlamento. Ma la distorsione ormai è tale da non escludere che prima o poi il presidente si convinca della necessità di interventi di tale natura.

28 Maggio 2023

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