Il dramma di 500 migranti

Deportati verso un lager, Roma guarda e acconsente

Politica - di Luca Casarini - 28 Maggio 2023

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Deportati verso un lager, Roma guarda e acconsente

Cinquecento persone, tra cui sicuramente 56 bambini e 45 donne, e un neonato partorito a bordo, sono state deportate dal Mar Mediterraneo della zona Sar maltese, e dunque di responsabilità di uno stato europeo, nei campi di concentramento gestiti dalle milizie del Generale Haftar, a Bengasi in Libia.
L’operazione, disumana ed illegale, è stata coordinata dalle autorità maltesi ma anche il governo italiano, attraverso il Centro di Coordinamento dei soccorsi in mare che fa capo a Salvini, ha seguito tutte le fasi dell’azione criminale. Senza né fare nulla per impedirla, né inviare alcuna informativa in tal senso agli organismi europei preposti al controllo del rispetto dei diritti umani alle frontiere.

Il vecchio peschereccio carico di profughi e richiedenti asilo siriani, pakistani, bengalesi ed egiziani, era partito da Tobruk presumibilmente il 22 maggio, stipato all’inverosimile: in stiva, sul ponte di coperta, in quello superiore. La fuga dall’est del Golfo della Sirte viene spesso organizzata così. Numeri molto alti e imbarcazioni di legno. Il 23 pomeriggio Alarm Phone riceve la prima richiesta di aiuto dalla barca: il motore si è fermato dopo aver percorso 170 miglia dalle coste libiche, e già oltre trenta miglia dentro la zona Sar maltese. Il centralino di soccorso informa tutte le autorità, Malta e Italia in primis, e lancia l’allerta anche a tutte le navi del soccorso civile che sono operative: Sea Eye4, Life Support di Emergency, Ocean Viking di sos Mediterranee e Humanit1 di SoSHumanity, tutte impegnate nei pattugliamenti molto più a ovest, ma che subito hanno raccolto l’indicazione. La nave di Emergency in particolare, che inizia a dirigere a tutta velocità verso la posizione, nonostante fosse in quel momento a oltre 12 ore di navigazione. Dalle autorità maltesi silenzio assoluto. Quelle italiane, impegnate con la nave Diciotti in altre operazioni, non danno informazioni, perché “formalmente non gli compete”.

Quando da un peschereccio stracarico di persone viene lanciato l’SoS per “motore in avaria” bisogna preoccuparsi all’ennesima potenza. Perché quel tipo di imbarcazioni, sovraffollate tanto da far abbassare pericolosamente la linea di galleggiamento, hanno una pompa di sentina collegata al motore. Se si ferma il motore, si ferma tutto, e l’acqua inizia ad entrare. L’unica è buttarla fuori a mano, ma tante persone così schiacciate in stiva, non permettono movimenti.

L’ultima telefonata dalla barca alla deriva, ormai da oltre 15 ore, è captata da Alarm Phone alle 6.20 del mattino del 24 maggio: “stiamo imbarcando acqua, abbiamo paura, i bambini piangono…”. Sono sempre nella stessa posizione, a est delle coste maltesi, alla deriva. Ma proprio in quei minuti viene tracciato uno strano avvicinamento della barca da parte di una “crew boat” classe “Charlie” che va proprio sul punto segnalato. Spengono subito l’AIS, il dispositivo di riconoscimento obbligatorio, ma si fa a tempo ad identificarla: è la Tareq Bin Zeiad, che staziona a Bengasi normalmente, e prende il nome dalla famigerata e potente milizia guidata dal figlio del Generale Haftar, Saddam. La Tariq Ben Zeyad fino a pochi mesi fa si chiamava “Charlie4” ed era registrata sotto la bandiera di comodo di St. Kitts and Nevis, ma di proprietà e gestita da una società degli Emirati, il più solido alleato politico militare di Haftar.

La Tariq poi sparisce dai tracciati, e anche il peschereccio pieno di gente. Si scopre, grazie a testimonianze di parenti e al comunicato ufficiale dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni delle Nazioni Unite, che li hanno agganciati e trainati fuori dalla zona Sar maltese, giù fino a Bengasi. Un respingimento e deportazione di massa fatto trainando per oltre 170 miglia e circa 30 ore, una barca già in condizioni pericolose con decine di bambini piccoli a bordo.

Il portavoce delle Nazioni Unite, nel rendere pubblico ciò che è accaduto, ribadisce che “la Libia non si può considerare un luogo sicuro”, visto il trattamento che aspetta questi profughi. Da mercantili presenti nell’area, si sa che Malta coordinava “ufficialmente” le operazioni.

L’Italia sa tutto, e nonostante il respingimento di massa sia vietato dalla Convenzione di Ginevra, e la deportazione sia un crimine contro l’umanità, non dice una parola. O forse molto peggio. Questa operazione condotta da Haftar si inserisce nel quadro dei nuovi accordi che gli stati rivieraschi della sponda nord, tra cui Malta e Italia, hanno stipulato con il signore della guerra che domina la Cirenaica. Fermare donne, uomini e bambini. Riportarli indietro, nell’inferno dove devono stare. L’incontro di Roma del 3 e 4 maggio scorso tra il governo italiano ed Haftar, è stato preparato con cura dai nostri servizi segreti. Il Falcon gestito dalla compagnia di copertura “CAI”, che i servizi usano per spostarsi, è stato tracciato mentre atterrava a Bengasi già il 2 gennaio. Alle 9.00 del mattino, ripartito poi alle 17.00. Orari d’ufficio per pianificare l’indicibile.

28 Maggio 2023

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