Le ultime mosse
Il balletto del Terzo polo: cosa prevede l’accordo tra Renzi e Calenda
Nel week end Carlo Calenda si è preparato allo show down sbracciandosi per Bruce Springsteen al Circo Massimo, biglietto regalato dai collaboratori per il cinquantesimo genetliaco
Politica - di David Romoli
Nel week end Carlo Calenda si è preparato allo show down sbracciandosi per Bruce Springsteen al Circo Massimo, biglietto regalato dai collaboratori per il cinquantesimo genetliaco. Matteo Renzi, più terragno, ha invece proseguito con le incursioni nel campo di Azione: sabato avrebbe razziato buona parte della segreteria romana (ma lo scippato smentisce). Ieri è stato il turno della segreteria di Rimini e qui di smentite non se ne registrano. L’ex premier, giusto poche ore dopo aver giurato che lui contro Calenda non ha mai detto neppure mezza sillaba, ha tirato ieri, proprio alla vigilia della cruciale assemblea dei senatori convocata per la tarda serata, una bordata da affondamento: “Calenda è stato un ottimo ministro e credo che sarebbe stato un ottimo sindaco ma forse la leadership di un partito non è il lavoro più adatto alle sue caratteristiche”. “Ma se ogni giorno ci arrivano randellate! Per Boschi sono pazzo, per Paita indecente, per Renzi ho preso le pillole sbagliate”, sbotta lo springstiniano.
Con presupposti di questo tipo la sorte del chiarimento in corso, ieri sera il gruppo del Senato con i leader presenti, oggi quello della Camera, sembrerebbe già scritto. Invece i pontieri sono frenetici. Si consultano, si lanciano messaggi, cercano di ricucire. Il leit-motiv collettivo, su una sponda e sull’altra, è facilmente prevedibile e non infondato. “Se ci dividiamo ci rimettiamo il collo”, tubano terrorizzate le colombe di Italia viva. “La rottura sarebbe un punto di ritorno ed è paradossale perché in Parlamento lavoriamo bene”, replicano i pacifisti di Azione.
Renzi però giura di essere il primo a non volere lo sfascio. Lo garantisce a porte chiuse ai suoi. Lo fa ripetere alla presidente dei senatori, che ha convocato la riunione inizialmente fissata per sabato e slittata a ieri perché altrimenti i parlamentari di Azione la avrebbero disertata. “La nostra intenzione non è rompere i gruppi in Parlamento ma nemmeno farci ridere dietro dall’Italia. Basta attacchi in stile grillino. Oggi chiederemo un impegno esplicito sulla lista unitaria per le europee”, cinguettava in mattinata la capogruppo su Twitter sintetizzando i concetti squadernati in un’intervista al Corriere.
Le reciproche rimostranze per le “mancanze di rispetto” e le ginocchiate sotto la cintura non sono solo teatro: l’ex premier e il suo ex ministro si sopportavano a mala pena già quando figuravano nello stesso governo. Ma il vero oggetto del contendere è la lista unitaria per le europee. Calenda è irremovibile: “Nessuna garanzia, valuteremo come e con chi andare in autunno”, anticipava domenica e ieri ha ufficializzato la posizione nel documento da presentare all’assemblea dei senatori: “Riteniamo che occorra valutare con tutte le formazioni politiche e le associazioni dell’area Renew Europe, a partire da +Europa e dai liberaldemocratici europei, la possibilità di una lista comune”.
Senza la resa del leader di Azione su quel fronte tenere insieme i gruppi parlamentari sarà però molto difficile e il fratello-coltello di Iv ritene di avere il coltello dalla parte del manico. Perché lui, grazie al trasferimento dell’ex Pd Enrico Borghi, i 6 senatori necessari per fare il gruppo li ha mentre a Calenda, con solo 4 senatori, non resterebbe che il mesto rifugio del gruppo Misto. Senza neanche poter ambire alla presidenza perché Avs ha gli stessi numeri e comunque, per regolamento, rimettere in discussione l’attuale capogruppo Peppe De Cristofaro è quasi impossibile. Alla Camera, invece, nessuno dei due può vantare i ben 20 deputati necessari per fare gruppo, tanti quanti erano prima del taglio dei parlamentari per quanto illogico sembri e sia. Ma tutti e due dovrebbero poter contare sulle deroghe che di solito vengono concesse per i partiti che si sono presentati ovunque alle elezioni.
Il presunto mazziato, Calenda Carlo, però ha qualcosa da obiettare. E’ vero che Renzi dispone dei sei senatori necessari ma a spulciare bene i regolamenti si evince che in caso di scissione di un gruppo presentatosi alle elezioni con lo stesso simbolo le teste necessarie diventano nove: “E che fa La Russa? Una deroga ad personam?”. Questione delicata e da azzeccagarbugli ma anche spinosa. Perché col clima di smottamento progressivo che si respira nei reparti di Calenda il rischio di ulteriori fuoriuscite è concreto. Le solite sospette sono le ex ministre berlusconiane passate al Terzo Polo, Mara Carfagna e soprattutto Maria Stella Gelmini, che è senatrice. Nei corridoi della politica c’è chi la vuole già sulla porta, chi scommette sull’indisponibilità di Gelmini a stare strettissima in un gruppo Misto guidato dalla Sinistra radicale. “Sono solo veline”, commenta Calenda e magari è vero. Ma anche qualora così non fosse chissà se la ex dirigente azzurra sceglierebbe davvero Iv o non preferirebbe invece un ritorno da figliola prodiga ad Arcore. Senza contare che in campo ci sarebbe anche Maurizio Lupi che, fresco di riconferma alla guida di Noi Moderati, gesticola a più non posso per segnalare ai profughi del Terzo Polo che lui dispone di una capanna. Certo di paglia, però ospitale.
Ma perché il leader di Azione recalcitra tanto di fronte a una lista unitaria che è vitale per lui quanto per Renzi? In buona parte perché non gli sfugge la manovra del capo di Italia viva, che lo sta spingendo anche con poca eleganza ai margini per gestire a modo suo il Terzo Polo: come una nave corsara che deve navigare tra destra e sinistra spostandosi di volta in volta a seconda delle convenienze. Inoltre, probabilmente, perché si tiene di riserva la carta di un’alleanza con +Europa. Ma anche in questo caso la soglia di sbarramento del 4% sarebbe vicina al miraggio. Alla fine sia Iv che Azione, se vogliono sperare in un ingresso nel Parlamento europeo, dovranno tentare la sorte insieme. Solo che entrambi i leader, ma soprattutto Renzi, puntano ad arrivare all’appuntamento senza più di mezzo l’ingombrante alleato.