La proposta
Abuso d’ufficio, il reato impalpabile che Costa vuole eliminare: i casi dei 150 amministratori locali assolti
Giustizia - di Tiziana Maiolo
Eliminare dal codice penale il reato di abuso d’ufficio, trasformarlo in illecito amministrativo. Ne sono convinti da sempre Carlo Nordio e Silvio Berlusconi, e i garantisti di Forza Italia, ma anche Matteo Renzi e Carlo Calenda, e con loro anche molti parlamentari del Pd, come quelli della Lega e una parte consistente di Fratelli d’Italia. E l’Anci, l’associazione degli amministratori locali che portano sul corpo lividi e ferite per il reato di “sputtanamento”. Che è poi il problema principale anche dopo le assoluzioni. Ma colui che più di tutti ha impugnato questa bandiera è indubbiamente Enrico Costa, uno che ha a cuore le regole dello Stato di diritto.
Così ieri ha fatto un passo in più rispetto a tutti gli altri deputati che stanno discutendo in commissione giustizia alla Camera una serie di proposte di legge che vanno dall’abolizione dell’articolo 323 del codice penale fino alla sua sterilizzazione di fatto pur mantenendolo formalmente come reato. Il deputato Costa, in conferenza stampa con lo stato maggiore di Azione, da Carlo Calenda a Maria Stella Gelmini, ha sciorinato sul tavolo i “casi”. Le situazioni di 150 amministratori locali, che sono persone con i loro corpi e sentimenti, che hanno visto la propria vita ribaltata, gettata in pasto ai lupi, che hanno dovuto rinunciare a guidare la propria comunità per un reato da cui poi, ma molto poi, erano stati assolti.
Il 96 per cento dei casi, dicono le statistiche, finisce con l’archiviazione. Anche perché, ci dice la storia, molte situazioni sono determinate da quel singolare metodo di lotta politica, un tempo caro alla sinistra e poi travasato nel mondo grillino, che consiste nel rivolgersi alle procure come forma di ricorso per una gara persa o un posto pubblico attribuito ad altri. Ripicche politiche destinate a finire in fumo, ma che spesso lasciano sul terreno gravi danni politici e umani. Ricordate la vicenda del sindaco di Parma Federico Pizzarotti, il primo amministratore di un capoluogo di provincia che portò alla vittoria il Movimento cinque stelle e che fu cacciato dal suo partito proprio per quell’informazione di garanzia? Bene, quel provvedimento della magistratura, che in seguito fu archiviato, era stato la conseguenza di un esposto del Pd locale. Infondato, ma intanto in grado di cambiare il corso della storia. In molti casi le conseguenze comportano che si arrivi a capovolgimenti politici che disattendono i risultati elettorali, soprattutto se interviene una condanna in primo grado che fa scattare quell’altro miracolo dell’ingiustizia che si chiama “legge Severino” e che determina la sospensione dall’incarico dell’amministratore.
Che questo reato, “vago, generico, impalpabile”, come lo definisce lo stesso Costa, “che porta ad aprire migliaia di inchieste, anche se poi le condanne sono rarissime”, vada portato là dove avrebbe sempre dovuto stare, nel mondo delle sanzioni amministrative, è cosa buona e giusta. Che esista anche un rischio, come paventato dall’avvocato Giulia Bongiorno, responsabile giustizia della Lega, è altrettanto vero. Il timore deriva dalla conoscenza delle astuzie e dell’ingordigia di tanti pubblici ministeri. Di quelli che, quando hanno individuato il tipo d’autore, pur di mettergli i denti nel collo sono pronti anche a contestare il reato più grave, in assenza di quello più morbido dell’articolo 323. Del resto non lo fanno già oggi, quando contestano il reato associativo anche quando non esiste, pur di poter arrestare e intercettare? Non lo hanno già fatto, negli anni di Tangentopoli, quando hanno arrestato intere giunte comunali e regionali, arricchendo il reato di abuso d’ufficio con qualche inesistente turbativa d’asta?
È vero, il rischio c’è, e non saremo noi ad auspicare che qualcuno leghi le braccia dietro la schiena ai pm per impedire loro di fare il proprio dovere. Già immaginiamo gli strilli del sindacato delle toghe per la violazione dell’indipendenza e autonomia della magistratura. Ma ci vuole un po’ di coraggio, soprattutto da quella parte della maggioranza, un po’ di Fratelli d’Italia e della Lega che hanno ancora l’orecchio sensibile alle sirene delle toghe e la certezza della pena. Riflettano sulle migliaia di sindaci dei piccoli paesi, soprattutto, quelli che si fanno in quattro ogni giorno anche solo per spostare un tombino o le radici di un albero che deformano il marciapiedi proprio davanti alla casa di un disabile in carrozzina. Quelli che il cittadino saluta per strada chiamandoli per nome. Gli stessi che da un giorno all’altro perdono la moneta che ha più valore nelle loro tasche, la fiducia di chi li ha votati e voluti a guidare una comunità. Lasciare in graticola, esposto al sospetto di sguardi dubbiosi per dieci dodici anni un sindaco solo perché un concorrente politico lo ha denunciato per una nomina, vi sembra giusto?