Le ambiguità della premier
Crimini di guerra e contro l’umanità, la Corte penale dell’Aja a caccia dei trafficanti libici: Meloni gli stende tappeti rossi
Esteri - di Luca Casarini
Sono stati emessi dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, i primi mandati di cattura nei confronti di esponenti di spicco delle milizie libiche accusati di “crimini contro l’umanità” per le torture, gli stupri, gli omicidi di massa di migranti e rifugiati internati nei lager. La notizia non ha avuto troppo rilievo, anche se quel tribunale è lo stesso che ha emesso il mandato di arresto per Putin, con grande plauso e riconoscimento dei governi occidentali. Il motivo della sordina c’è, ed è grande quanto una casa: i signori raggiunti dal provvedimento fanno parte di quegli apparati, come la sedicente “guardia costiera libica”, messi in piedi in particolare dall’Italia a partire dall’allora ministro Minniti, e finanziati con oltre un miliardo di euro dal 2017 ad oggi per fermare, con ogni mezzo, donne, uomini e bambini migranti, per impedirgli di raggiungere le nostre coste e tentare così di salvarsi la vita.
I mandati di cattura sono per ora sei, ma siamo evidentemente “solo all’inizio”, come ha avuto modo di dichiarare il procuratore internazionale Karim Khan che li ha firmati, parlando dell’inchiesta lunga e complessa che vuole far luce sul “sistema Libia” caratterizzato sulla violazione sistematica dei diritti umani di coloro che, su richiesta delle istituzioni europee, vengono bloccati o respinti tramite cattura in mare e deportazione, nell’altra sponda del Mediterraneo. “Una spirale di indicibili violenze che continuano tutt’ora” dice Khan.
L’inchiesta, lunga e a dir poco complessa visti gli autorevoli membri delle istituzioni italiani ed europei che potrebbero finirci dentro mani e piedi, coinvolge i due principali gruppi di potere che spadroneggiano in Libia dopo la guerra di “regime change” del 2011, mossa dalla Francia di Sarkozy e dall’asse atlantico per far fuori Gheddafi. Alcuni dei ricercati fanno parte dell’insieme delle milizie che governa la Tripolitania, dove ad esempio l’attuale Ministro degli Interni Trebelsi è descritto dai rapporti dei servizi americani e dalle schede delle Nazioni Unite come uno dei più crudeli e potenti trafficanti di esseri umani. Era a Roma il 21 febbraio scorso, alla Scuola Superiore di polizia insieme a Piantedosi che l’ha accolto all’ingresso del palazzo di Via Pier della Francesca 3, con un grande sorriso e una calorosa stretta di mano. Altri ricercati fanno invece parte delle milizie che hanno in mano la Cirenaica, con a capo il famoso generale Haftar, quello che veniva indicato come la quinta colonna in Africa della Wagner e di Putin. Lui era a Roma il 3 e 4 maggio invece, ricevuto da mezzo governo a Palazzo Chigi ma in particolare dalla Presidente del Consiglio Meloni.
Una visita organizzata nei minimi dettagli dai servizi italiani, con tanto di corridoio diplomatico di sicurezza e jet di stato a Ciampino, per quello che fino a ieri era il “grande nemico” dell’occidente. Insomma, come per effetto di magia, la lotta ai trafficanti in tutto il globo terraqueo annunciata da Meloni, li porta tutti a Roma. Ma invece delle manette hanno i tappeti rossi. D’altronde, la funzione di questi signori nel quadro della politica di respingimento e di esternalizzazione della frontiera messa in pratica con insistenza da Giorgia Meloni, deve avvalersi di gente senza scrupoli e dalle spiccate doti criminali. In questo il governo di destra è più convinto e più zelante dei predecessori di centrosinistra. Si potrebbe dire che manca di quel limite, quell’imbarazzo e vergogna, che la violazione sistematica dei diritti umani dovrebbe provocare. Minniti e Gentiloni hanno di certo aperto la strada con il famigerato “memorandum Italia –Libia”. I deputati del Pd, quando hanno votato a più riprese il suo rinnovo, se la raccontavano come “passaggio necessario per stabilizzare e democratizzare quel paese”. Difronte ai fatti concreti, lager, torture, bambini lasciati affogare in mare, e aumento della destabilizzazione fino al punto che nemmeno uno straccio di finte elezioni hanno mai potuto tenersi in Libia, balbettavano.
Ora invece la Meloni, e la sua destra, rivendicano la “legittima difesa dei confini” dalla “sostituzione etnica”. E quindi, altro che Piano Mattei, sui migranti vige lo stato di eccezione come in guerra, dove certo i diritti umani non valgono. La guerra è contro donne, uomini e bambini indifesi. Innocenti, inermi. Sono civili, ma quali guerre hanno mai rispettato i civili? I soloni della realpolitik spiegano che è ovvio che gli accordi vadano fatti con i criminali, i dittatori, gli autocrati. Mettendo da parte Putin, con tutti gli altri si possono e si devono fare, dicono con aria professionale e a volte contrita, che il tutto non sembri troppo cinico. Ma invece è “baro” oltre che cinico. Perché il processo al quale stiamo assistendo non solo ha delle vittime che gridano vendetta, una strage continua che ha trasformato il Mediterraneo nella più grande fossa comune del pianeta, ma condanna anche i paesi di transito dei migranti a non potersi liberare di quei dittatori, milizie, sistemi di potere, che proprio grazie ai soldi e ai mezzi forniti per fare il lavoro sporco, si impadroniscono del potere.
La guerra, come dice Cacciari, è regolata nella storia da uno “Ius bellum”, un “diritto”. Esso contiene anche lo “Ius mendaci”, cioè il diritto degli stati in guerra a mentire. Ed è esattamente ciò che accade anche nella guerra contro i rifugiati. Gli stati mentono alle loro opinioni pubbliche, non solo attraverso la propaganda o con la creazione ad arte del “nemico”, l’invasione, la sostituzione etnica e altre boiate da suprematisti de ‘noantri, ma anche sul livello al quale si spingono nel pianificare e compiere azioni atroci. I diritti umani, che sono alla base delle nostre costituzioni del dopoguerra, regnano ma non governano. Ma appunto, quale sia l’interesse per quelle costituzioni, questo governo e la sua nuova claque composta da quelli che fino a ieri erano relegati negli scantinati della vita pubblica e oggi sono promossi ad agenti della “nuova egemonia culturale della destra”, appare ogni giorno più chiaro. Non ci resta che dubitare, disobbedire e combattere.